Ridurre la tensione e avviare subito misure concrete per la de-escalation. Avviare il ristabilimento di condizioni positive di vivibilità e di mobilità, di agibilità civile e democratica, garantire diritti e libertà di movimento, ritirando le forze speciali kosovare albanesi dal Nord e riducendo la presenza dei militari della KFOR NATO. Aprire subito spazi per il dialogo e riprendere, con rinnovato slancio, il percorso politico-diplomatico, a partire dalla implementazione effettiva di quanto sin qui già accordato e pattuito nel contesto del dialogo tra Belgrado e Prishtina mediato dalla Unione Europea. Dopo una settimana di mobilitazione, manifestazioni e proteste da parte dei Serbi del Kosovo contro quella che da più parti è stata definita una vera e propria “presa” delle amministrazioni dei comuni del Kosovo del Nord, dove sono stati insediati “sindaci” espressi dalle autorità albanesi kosovare e con pressoché nulla legittimazione nel voto popolare, come conseguenza del completo boicottaggio delle elezioni amministrative del 23 aprile scorso da parte della comunità serba del Kosovo, sempre più urgente diventa la prospettiva di un superamento della crisi e di un trascendimento della spirale di tensione, che possa, nell’immediato, ridurre il livello della tensione stessa, e, nel più breve tempo possibile, ridefinire la possibilità di una soluzione giusta e di pace, in linea con la giustizia internazionale, basata sulla Carta delle Nazioni Unite e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, per l’annosa, tuttora irrisolta, questione del Kosovo.

Dopo che il presidente francese, Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e l’alto rappresentante della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione Europea, Josep Borrell, hanno, seppure tardivamente, riaperta l’opzione di indire nuove elezioni nelle quattro municipalità del Kosovo del Nord, è apparso sulla stampa un documento (la cui autenticità, in ogni caso, non è stata, al momento di questa stesura, confermata) con il promettente titolo «De-escalation in four northern municipalities – a step by step scenario», vale a dire «De-escalation nelle quattro municipalità del Nord – uno scenario passo dopo passo» che ha il carattere di una sorta di road-map per il superamento della situazione di attuale tensione nella regione, una tensione che peraltro ha anche portato a scontri più significativi, con i militari della KFOR che hanno anche impiegato granate (trenta granate flash bang) e gas lacrimogeni contro i manifestanti. Tale road-map prevede, infatti, otto punti.

Serbia e Kosovo confermano il loro impegno nell’implementazione dell’Accordo di Base con specifico riferimento agli articoli 1, 3, 7, 9. Il Kosovo ritira le sue forze speciali e, contestualmente, la Serbia riporta le proprie forze armate al normale livello di allerta (in termini di prontezza al combattimento). La polizia ordinaria, assistita dalla missione europea per lo stato di diritto, EULEX, e dalla missione militare della NATO, KFOR, assume la responsabilità della sicurezza. Le proteste vengono ritirate, la vita ordinaria è ripristinata, funzioni e servizi pubblici riprendono regolarmente, ai dipendenti pubblici è garantito l’accesso alle sedi municipali delle quattro municipalità del Nord, e i “sindaci” si dimettono a metà Luglio 2023, consentendo quindi l’indizione di nuove elezioni municipali. Tali nuove elezioni dovranno tenersi per la fine di Agosto o l’inizio di Settembre 2023.

In particolare, i punti 3, 4, 5, 6, dovranno realizzarsi contestualmente a progressi effettivi nella definizione del quadro di autogoverno per i Serbi del Kosovo, in linea con l’art. 7 dell’Accordo di Base, nonché con l’implementazione dell’art. 1 dello stesso Accordo come misure intraprese in segno di buona fede. Si prevede infine che gli articoli 1, 2, 3, 7, 9 dello stesso Accordo di Base siano effettivamente implementati per metà Novembre 2023. Si tratta dei punti dell’accordo su cui è stato raggiunto un consenso dalle parti nell’ambito del dialogo mediato dalla UE. Serbia e Kosovo dovranno così sviluppare relazioni normali e di buon vicinato; riconoscere reciprocamente i rispettivi documenti e simboli, inclusi passaporti, diplomi, targhe e timbri doganali; risolvere qualsiasi controversia esclusivamente con mezzi pacifici, astenendosi dalla minaccia o dall’uso della forza, e, in ogni caso, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite; «garantire un livello adeguato di autogoverno per la comunità serba in Kosovo e la capacità di fornire servizi in aree specifiche,compresa la possibilità di un sostegno finanziario da parte della Serbia e un canale di comunicazione diretta per la comunità serba con il governo del Kosovo».

Inoltre è previsto un «impegno dell’UE e di altri donatori a varare uno speciale pacchetto di investimenti e di sostegno finanziario per progetti congiunti in materia di sviluppo, connettività, transizione ecologica e altri settori chiave». Argomento cruciale rimane quello della costituzione della Comunità dei Comuni Serbi del Kosovo, già concordata e approvata nei precedenti accordi del 2013 e del 2015 e ora rigettata dalle autorità kosovare perché «incompatibile con la Costituzione del Kosovo». Com’è noto, ad oggi, il Kosovo non è uno stato riconosciuto dalla comunità internazionale in quanto tale: sono meno di novanta gli Stati con cui il Kosovo ha relazioni diplomatiche e circa cento quelli che ad oggi hanno riconosciuto l’indipendenza kosovara. Occorre, per questo, più che mai abbandonare forzature, ritardi nell’implementazione delle misure già pattuite, e approcci basati sul “doppio standard”, ancora fin troppo presenti soprattutto tra le cancellerie occidentali; e traguardare subito una prospettiva di inclusione, di pace, diritti e giustizia sociale, di un Kosovo «di tutti/e e per tutti/e».