Pare che alcuni paesi hanno aperto alla possibilità dell’uso, non solo della carne creata in laboratorio, ma anche del latte prodotto artificialmente. La reazione della gente comune, a giudicare dai social media, è generalmente di puro sconcerto, e le organizzazioni e i movimenti ambientalisti sono sul piede di guerra in nome della lotta alla “artificiosità”.

Confesso di non avere le competenze e le conoscenze necessarie per potermi esprimere con certezza, ma di dubbi ne ho tanti. Cosa significa “artificiosità”? Può darsi che oggi si dia al termine un valore diverso che mi sfugge, ma se mi limito agli standard da vecchio dizionario, non posso non notare come artificioso è tutto ciò che mi circonda. Dalla tastiere con cui sto scrivendo queste note alla sedia su cui sono seduto, fino addirittura agli stessi alberi che vedo dalla finestra dividere in modo regolare le corsie del viale che costeggia la mia casa. Tutto mi appare come frutto dell’opera dell’uomo.

Capisco perfettamente come un atteggiamento di sospetto, e spesso di aperto rifiuto, verso ogni novità sia figlio della consapevolezza verso la possibile tragedia che attende l’umanità a causa della catastrofe ecologica. Tuttavia penso che a volte nell’ansia di fermare il mostro, si tenda a buttare via il bambino insieme all’acqua sporca.  Non credo che il progresso scientifico e tecnologico e la crescita economica che hanno caratterizzato la storia umana siano un male in sé. Credo piuttosto che gli esiti nefasti siano il prodotto della mancata attenzione verso le conseguenze di processi comunque non scontati perché complessi e non lineari, principalmente a causa del prevalere degli interessi di classe dei dominanti.

Un principio di prudenza deve sempre guidare tutte le nostre azioni e le nostre scelte. Tuttavia, se dopo avere verificato tutte le possibili conseguenze e i possibili pericoli, non una ma dieci, cento e mille volte, dandosi tutto il tempo necessario, si arrivasse alla conclusione ( per ipotesi ragionevolmente non contestabile) che latte e carne, o altri possibili alimenti, ricalcano perfettamente le caratteristiche di quelli che attualmente consumiamo e non presentano pericoli per la salute umana né rischi per l’ambiente, dovremmo rifiutarli per principio in quanto prodotti dell’artificio umano?

Senza considerare, tra l’altro, come con i prodotti da laboratorio potremmo magari avere più possibilità di affrontare il problema della fame nel mondo, e sicuramente potremmo liberarci di quegli allevamenti intensivi che sono oggi una delle cause principali della crisi ambientale. (A parte il fatto, per nulla secondario, che evitare di schiavizzare e uccidere sistematicamente gli animali sarebbe un’ottima cosa non solo per loro, ma anche per “allontanarci dal sangue” e rendere noi stessi più “umani”).

E visto che ci siamo mi permetto di accennare brevemente ad un altro mio dubbio. Non è che quando parliamo di eugenetica facciamo di tutte le erbe un fascio? Cosa c’entrano gli esperimenti nazisti per la creazione di un superuomo con le ricerche per eliminare le malattie genetiche? Certo sappiamo tutti benissimo come in questi casi si sa da dove si inizia, ma non si sa mai dove si va a parare. Ma è questo un buon motivo per dare due mandate alla serratura e chiuderci nella nostra stanza? Sappiamo tutti che non serve a nulla, perché tutto ciò che i tempi rendono tecnicamente possibile può e deve essere necessariamente valutato, rivisto e reindirizzato nell’interesse del futuro dell’umanità, ma non può essere semplicemente ignorato o stoppato e azzerato. State certi che ci sarà sempre qualche potente, o qualche luogo del dominio, che se ne approprierà per i suoi fini egoistici e sicuramente catastrofici. 

La stessa cosa si può dire per la presente e soprattutto futura evoluzione della Intelligenza Artificiale, ormai sempre più padrona dei nostri corpi e delle nostre menti, verso la quale occorrerà trovare le giuste contromisure, essendo tuttavia impossibile e dunque perdente cercare semplicemente di cancellarla dal nostro futuro! (Il tema tuttavia è fin troppo complesso e non possiamo occuparcene in questa sede.) 

Certo non sono i movimenti ambientalisti ad avere il pallino in mano, in modo da potere controllare gli esiti di cambiamenti e possibili innovazioni. Ma è per questo che da sempre esistono le lotte e la “piazza”. L’importante (almeno così mi sembra, senza pretesa di verità) è liberarsi di quella tentazione di “primitivismo” che caratterizza oggi chi contesta l’esistente. Una sorta di vagheggiato ritorno alla natura come ad un passato di purezza originaria, da opporre agli attuali padroni del vapore sempre più sopraffatti dalla loro ansia di potere e di possesso. Una postura intellettuale figlia di questi nostri tempi cupi e senza certezze di futuro. Un modo di guardare il mondo certo  comprensibile ma sostanzialmente fuorviante e senza molto senso, visto che proprio “l’artificio” è da sempre nella “natura” dell’uomo, fin da quando nelle caverne creava strumenti per la sua sopravvivenza. Forse l’artificiosità sarebbe più corretto chiamarla più propriamente “cultura”, e la domanda giusta da porsi è come volgere il presente, senza tentazioni passatiste o scorciatoie e in tutta la sua contraddittoria complessità, verso un futuro migliore piuttosto che verso quella catastrofe che altrimenti si annuncia imminente. 

Certo è uno strano destino (lo dico qui per puro inciso) quello che sta di fronte a noi, in gran parte eredi, per ironia della sorte, di quel Marx, anche lui e malgrado la sua grandezza, figlio dei limiti del suo tempo e perciò imbevuto di cultura storicista e scientista, che credeva quasi ciecamente nel progresso, al punto da considerare un grande passo per l’umanità l’originario avvento del capitalismo, e giungendo perfino a pensare che la liberazione dei popoli mondo avrebbe avuto origine dalla vecchia e progredita Europa, seppure trasmutata nel meglio di sé, dall’assurgere del proletariato a classe dominante.