Il dibattito sulle proposte di legge per il superamento della condizione dei bambini in carcere è in corso da tempo in parlamento. Già nella passata legislatura si attendeva una riforma che purtroppo non ha avuto il tempo di trasformarsi in legge, ma ha visto sperimentare alcune proposte di detenzione alternativa per le madri con i loro bambini, all’interno delle CASE FAMIGLIA PROTETTE, strutture che si trovano fuori dai recinti carcerari e che permettono di vivere una vita quotidiana pressoché normale.

Durante uno degli ultimi dibattimenti in aula la proposta della destra, attraverso il senatore Cirielli, è stata di segno totalmente opposto: per le donne con condanne superiori ai 5 anni, potrebbe aggiungersi l’ulteriore condanna di venire escluse dalla potestà genitoriale in quanto madri “indegne”.

D’altronde il senatore Cirielli si era già distinto per una proposta di modifica dell’articolo 27 della Costituzione, tale da rendere la pena maggiormente punitiva con limitazioni alla ratio rieducativa – e oggi il senatore non rappresenta più l’opposizione, ma la maggioranza di governo.

Da questi presupposti parte la campagna MADRI FUORI, promossa dalla Società della Ragione e con l’obiettivo di difendere i diritti delle donne detenute e dei loro bambini, oltre ad affermare un’idea di carcere che non sia solo afflittivo, ma si incarni nei valori nell’articolo 27 per come lo hanno proposto i padri costituenti.

La campagna ha così promosso un appello “a parlamentari e consigliere/consiglieri regionali, così come ai garanti e alle garanti delle persone private della libertà, di recarsi in carcere nel giorno simbolico del 14 maggio (Festa della Mamma – ndr) per incontrare le donne detenute, offrire solidarietà, prendere impegni per sostenere il loro diritto a coltivare gli affetti, a mantenere i rapporti coi figli.” Invita inoltre i volontari e operatori del carcere e la cittadinanza attiva, a promuovere iniziative ed eventi che possano contribuire al successo della campagna.

LINK ALLA CAMPAGNA MADRI FUORI : https://www.societadellaragione.it/campagne/carcere-campagne/affettivita/madri-fuori-dallo-stigma-e-dal-carcere-con-i-loro-bambini-e-bambine/

Una campagna che non poteva non vederci coinvolte come MAMME IN PIAZZA PER LA LIBERTA’ DI DISSENSO. Da quando svolgiamo i nostri presidi davanti al carcere, in solidarietà con gli attivisti e le attiviste detenute, siamo favorevoli e solidali con le associazioni e le istituzioni che si battono per un carcere maggiormente dignitoso e abbiamo spesso sostenuto le istanze e le rivendicazioni delle Ragazze delle Vallette nelle loro legittime richieste di concretizzazione dei diritti. Ricordiamo che alle Vallette manca l’acqua calda, le strutture sono fatiscenti, il cibo è di infima qualità, gli operatori e le attività proposte poche, mentre proliferano ratti e scarafaggi…

Abbiamo quindi pensato a un gesto semplice ma simbolico: per il giorno delle Festa della Mamma abbiamo inviato in carcere dei regalini, semplici saponette al profumo di rosa, da distribuire a tutte le donne/madri detenute. Un piccolo regalo che vorrebbe essere portatore di un grande messaggio: credere nel valore e nella dignità di ogni persona reclusa e testimoniare la solidarietà e importanza delle lotte per migliorare i percorsi di giustizia.

Nostri complici sono stati l’attore Marco Gobetti, che ha promosso una raccolta fondi durante il suo spettacolo, e la consigliera regionale Francesca Frediani che si è fatta garante affinché i regali fossero accettati dall’istituzione carceraria (non era un fatto scontato).

Dalla piazza al carcere quindi (il palcoscenico naturale di Marco Gobetti sono le piazze torinesi), passando dall’empatia di quella parte di società che ancora si identifica nella solidarietà.

Nella giornata di sabato altri due eventi hanno arricchito la campagna torinese di MADRI FUORI:

  • la visita alla sezione femminile e all’ICAM (Istituto a Custodia Attenuate per Madri) all’interno de Le Vallette, da parte dei senatori Anna Rossomando e Andrea Giorgis (entrambi parlamentari del PD) che hanno appurato la reclusione di 110 donne, oltre a una mamma con una figlia di 2 anni all’ICAM;
  • e Il bel convegno Madri Fuori, promosso dalla Garante dei Diritti del Comune di Torino, insieme all’associazione Sapere Plurale, alla Coop Eta Beta e alla Società della Ragione, che si è svolto in una Sala delle Colonne (all’interno del Municipio di Torino) affollatissima, che per oltre due ore ha ascoltato le testimonianze di operatori e persone impegnate nel mondo carcerario, di politici e rappresentanti  istituzionali, oltre alle testimonianze dirette provenienti da dentro le mura.

Estremamente toccante il racconto di Ivano, che ha subito la carcerazione quando era bambino assieme ai suoi genitori e che, con voce a tratti spezzata dall’emozione, ci ha fatto rivivere il disorientamento e le paure di un bimbo che non potendo comprendere cosa gli sta succedendo, riesce solo a introiettare un terrore che lo accompagnerà per tutta la vita – e sarebbe sufficiente identificarsi in una simile esperienza, per sapere da che parte stare e per cosa impegnarsi.

 Subito dopo Ivano, l’esperienza di Marina in rappresentanza delle Ragazze delle Vallette: anche adesso che vive libera, ha raccontato che i mesi più strazianti della sua lunga detenzione sono stati proprio quelli all’ICAM, nel periodo di semilibertà. Perché, nonostante sia una sezione all’avanguardia, costruita a misura di bambini, con pareti colorate e prive di sbarre, anche all’ICAM non si può fare a meno di respirare il clima del carcere, dove persino i bambini diventano dei piccoli carcerieri, giocano alle guardie, ne mutuano il linguaggio – e si arrabbiano con le loro madri quando non ottengono un permesso, o quando un’altra madre viene scarcerata. “Il pianto dei bambini in carcere è la cosa più straziante.”

Lo ha confermato anche la regista Rossella Schillaci, che nelle diverse strutture ha girato il documentario Ninna nanna prigioniera. “Quel che più colpisce” ha riferito “è che mostrando quel film nelle scuole, a volte mi imbatto in giovani studenti che rivendicano la necessità della punizione e il disprezzo per chi la subisce…” Segno del tragico avanzamento del pensiero securitario nella società.

La maggior parte delle donne recluse sono giovanissime, provengono da strati marginalizzati della popolazione, molte di loro sono analfabete. Come ci ricorda Rosetta d’Ursi (portavoce della Cooperative Eta Beta), per loro servirebbero strutture alternative, oltre a reali percorsi di accompagnamento che vadano a sviluppare quegli strumenti e competenze che possano aiutare le donne a uscire dai circuiti di devianza.

In tutta Italia, sulle 2480 donne in carcere, che a loro volta rappresentano il 4,4% della popolazione detenuta (56.674), sono 20 le madri detenute – con 22 figli al seguito. Cinque le sezioni ICAM: a Torino, Milano, Venezia, Cagliari, Lauro; mentre per il resto del paese si ricorre a una “sezione nido” all’interno delle sezioni femminili.

Sono invece ben 280.000 i bambini che ogni anno entrano in carcere per fare visita ai parenti detenuti, e che sono costretti alla stessa trafila di controlli, cancelli, perquisizioni, a cui sono sottoposti gli adulti. Alle stesse stanze spoglie. Anche per loro andrebbe ripensato un percorso meno traumatico.

E’ quindi una cultura dell’inclusione, della promozione dei diritti, del rispetto delle scelte individuali e di una visione di famiglia basata sulle relazioni affettive che si scontra pesantemente, non solo sulla questione carcere ma in molteplici aspetti della società, contro una visione di norme conservatrici, un modello di famiglia rigido e normativo e di una società securitaria e rigidamente disciplinata.

Una ben diversa visione della ‘pena’ che ci interpella tutte e tutti: istituzioni, politici/che, cittadini e cittadine, protagonist* di una società attiva, tutti dovremmo impegnarci per motivare, per diffondere il valore (e anche l’efficacia) di questo ben diverso approccio centrato sul senso di umanità – un punto che ha visto concordi tutti gli oratori invitati al convegno.

Concretamente, al di là delle parole e delle enunciazioni, il modello che dovrebbe finalmente venir riconosciuto e legittimato, al di là delle sporadiche sperimentazioni e oltre la benevolenza delle fondazioni o del privato sociale, è quello delle CASE FAMIGLIA PROTETTE, in cui mamme e bambini possano vivere affiancati da operatori, psicologi ed educatori, impegnati verso la costruzione di progetti di vita. Case gestite con fondi pubblici e continuativi, e progetti coordinati e sostenuti dalla magistratura di sorveglianza.

Una sfida sociale, culturale e politica, che sarebbe di enorme valore anche per tutti e tutte noi.

Ulteriori approfondimenti:

Nicoletta Salvi Ouazzene (Mamme in piazza per la libertà di dissenso)

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