L’Amazzonia, una vasta regione geografica del sud-America, conosciuta soprattutto per via dell’enorme foresta pluviale che ospita (la cosiddetta Foresta Amazzonica, che si estende su una superficie di 6,5 milioni di km²), può tirare un piccolo sospiro di sollievo. Dopo anni di sfruttamento forsennato, la deforestazione registrata ad aprile del 2023 è calata più della metà rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Passando quindi, da poco meno di 1000 chilometri quadrati abbattuti a 321. E, più in generale, l’area rasa al suolo nei primi quattro mesi dell’anno è stata inferiore del 38% rispetto al 2022.

Secondo l’INPE (l’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale che ha raccolto i dati), questi numeri potrebbero essere il segnale che qualcosa sta cambiando, che la rotta si sta invertendo. Tuttavia è ancora troppo presto per esultare e credere che le cifre continueranno a migliorare. Per almeno tre motivi.

Primo. La situazione è ancora piuttosto grave. Considerando l’intero periodo di misurazione dell’INPE, iniziato il primo agosto scorso, l’Amazzonia ha già perso quasi 6mila km2 di vegetazione. Un valore altissimo, che supera del 20% quello registrato tra agosto 2021 e aprile 2022. Secondo. La zona del Cerrado, un territorio ricchissimo di foreste che si estendono tra Brasile, Paraguay, Bolivia, da gennaio ad oggi ha perso più di 2mila km2 della sua estensione: un valore più alto del 17% rispetto a quello registrato nello stesso periodo dello scorso anno (solo nel mese di aprile l’aumento è stato del 31%) e del +48% in confronto alla media storica.

Quelli ‘positivi’, al contrario di questi ultimi, sono numeri ancora parziali e non sufficienti per stabilire se effettivamente il Governo Lula – insediatosi in Brasile il primo gennaio 2023 – stia ponendo un freno al disboscamento incontrollato avvenuto durante l’era del suo predecessore, Jair Bolsonaro. Soprattutto perché «la stagione secca, favorevole alla deforestazione, non è ancora iniziata», ha commentato Mariana Napolitano, responsabile della conservazione del WWF Brasile.

Certo, è anche vero che la protezione dell’Amazzonia è stata al centro di tutta la campagna elettorale di Lula. Un ideale a cui in passato ha già dimostrato di tenere molto. Tant’è che dal 2003 al 2011, gli anni in cui Lula ha governato il Brasile prima dell’attuale mandato, la deforestazione è diminuita da 27.700 KM2 all’anno a 4.500. Una svolta resa possibile soprattutto grazie alla creazione di aree di conservazione e riserve indigene.

Tale processo di protezione, annunciato da Lula, potrebbe tuttavia incontrare diversi ostacoli – ed ecco il terzo motivo per cui è meglio andarci cauti con l’entusiasmo. Innanzitutto, va ricordato che la maggioranza del Congresso è saldamente in mano al Partito Liberale di Bolsonaro, che negli ultimi anni si è reso responsabile di un peggioramento delle condizioni ambientali del Brasile. E va anche sottolineato che l’agrobusiness che devasta l’Amazzonia non è stato affrontato con politiche adeguate da parte di Lula durante gli anni del mandato.

A tal proposito, lo stesso Presidente ha ripreso in mano il discusso progetto della “EF-170 railway project”, più nota come “progetto Ferrogrão”. Si tratta di una linea ferroviaria per trasportare la soia, la cui costruzione è stata progettata nel 2012 sotto il governo di centro-sinistra guidato da Dilma Rousseff, poi dichiarata come priorità assoluta dal successivo esecutivo Bolsonaro, poi bloccata e ora di nuovo tornata ‘in vita’. I binari servirebbero a ridurre i costi di trasporto della pianta, di cui il Brasile è il secondo produttore ed esportatore al mondo. Ma non tutti sono d’accordo, principalmente perché la loro costruzione spazzerebbe via 23mila ettari di foresta pluviale. Più della metà situati nel parco indigeno dello Xingu.

Dunque, se da una parte Lula sembra erigersi difensore dei popoli indigeni e della foresta amazzonica – almeno in campagna elettorale – dall’altro continua negli stessi progetti infrastrutturali ed economici che stanno portando alla devastazione dell’Amazzonia. Quello della ferrovia non è il solo piano che l’amministrazione ha bollato come “prioritario”: c’è anche l’asfaltatura degli 870 chilometri della famosa “autostrada dell’Amazzonia”, la BR-319 che unirebbe Manaus al resto del paese. Ma le stime dicono che così si quintuplicherebbe la deforestazione da qui al 2030.

 

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