Un centinaio di persone hanno preso parte al sit-in davanti al cantiere della centrale di compressione a Case Pente. “Fuori la Snam dal nostro territorio”, “Basta con le fonti fossili, sì alle energie rinnovabili”, “siamo cittadini non sudditi delle multinazionali del fossile”, “alla Snam i profitti, ai territori i costi, i danni e i rischi”, “governo succube di Snam e Eni”: questi alcuni degli slogan scanditi durante la manifestazione, indetta dai comitati cittadini per ribadire che la lotta contro la centrale e il metanodotto non si ferma. Dopo il sit-in davanti all’ingresso del cantiere si è formato un corteo che ha percorso l’intero perimetro dell’area della centrale, di ben dodici ettari, ed è terminato davanti alla recinzione alla quale sono stati attaccati striscioni, cartelli e bandiere No Snam.

L’area di Case Pente, che la Snam definisce “marginale”, è in realtà di grande interesse paesaggistico, storico ed archeologico. E’ vicina a Pacentro, uno dei borghi più belli d’Italia, ed è all’ingresso del Parco nazionale della Maiella; rappresenta un importante corridoio faunistico per l’Orso bruno marsicano, specie ad altissimo rischio di estinzione ed è classificata, come l’intera Valle Peligna, di massimo rischio sismico. Nel sito è stata individuata dalla stessa Snam un’antica costruzione risalente all’epoca romana o italica e prima di decidere qualsiasi attività relativa alla costruzione della centrale dovranno essere effettuati gli scavi archeologici per accertare la natura dei reperti ivi sepolti da oltre duemila anni. In una lettera inviata alcuni anni fa dalla Soprintendenza archeologica alla Snam si affermava che “già dai primi elementi si può ipotizzare una delocalizzazione dell’opera”.

Negli interventi è stata sottolineata, con dati tratti dai siti ufficiali della Snam e del governo, la totale inutilità del metanodotto Linea Adriatica e della centrale. Si vogliono sperperare – è stato ribadito – ben due miliardi e quattrocento milioni di euro, che saranno a carico dei cittadini italiani, per un’opera anacronistica; le infrastrutture metanifere in Italia sono già oggi eccessive rispetto ai consumi interni e lo saranno ancora di più nei prossimi anni. Gli studi più autorevoli nel settore energetico ci dicono che entro il 2030 il consumo di gas in Italia e in Europa diminuirà di almeno il 40 per cento; pertanto anche l’idea dell’hub del gas, cioè rivendere il metano ad altri Paesi europei, non sta in piedi. L’unica strada da percorrere, se vogliamo salvare il pianeta e creare vera occupazione, è investire nelle fonti energetiche pulite e rinnovabili.

I manifestanti hanno rimarcato come, anche in questa occasione, i rappresentanti politici ed istituzionali abbiano brillato per la loro assenza ed auspicano che il Comune di Sulmona, dopo la risposta positiva avuta dall’avvocato incaricato di fornire un parere in merito, rompa ogni indugio e presenti ricorso al Tar del Lazio contro l’autorizzazione del metanodotto Sulmona – Foligno.

Comitati cittadini per l’ambiente

Coordinamento No Hub del Gas