La maggior parte dei naufraghi soccorsi dalla Geo Barents, il “carico residuo” che il governo italiano non ha voluto far sbarcare nel porto sicuro più vicino, è sbarcata a Brindisi – ennesima destinazione vessatoria imposta alla nave di MSF per allontanarla dall’area di intervento – e dalle pagine del Giornale arriva l’ennesimo attacco contro gli operatori umanitari, definiti addirittura “pirati”. Una anticipazione di un fermo amministrativo, forse anche di un sequestro della nave, che si dà per certo. Il “Decreto Piantedosi”, un decreto legge (n.1 del 2023) che appare in più punti in violazione delle regole internazionali ed europee sui soccorsi in mare, non darebbe scampo.

Secondo l’accusa, che evidentemente proviene da fonti riservate che anticipano il trattamento che sarà riservato alla Geo Barents dopo il suo arrivo a Brindisi, il peschereccio soccorso in acque internazionali al limite della zona SAR maltese confinante con la zona SAR italiana, non sarebbe stato” in avaria” e avrebbe avuto “carburante sufficiente” per sbarcare i migranti in Italia. Evidentemente la fonte giornalistica, se non tutti i migranti, erano a conoscenza dei livelli di carburante nei serbatoi, come dello stato di funzionamento del motore, e l’avvicinamento dei gommoni calati dalla Geo Barents al peschereccio sballottato dalle onde del mare in burrasca, era per “bloccare” l’imbarcazione in difficoltà, e non per dotare nel più breve tempo possibile tutti i naufraghi di giubbetti salvagente. Il solito rovesciamento dei fatti che caratterizza l’intera ricostruzione proposta dal giornale. Se anche i migranti del caicco naufragato davanti alle coste di Cutro “fossero stati costretti a sbarcare” prima che il loro barcone entrasse nelle acque territoriali italiane, e trasbordati su un mezzo di soccorso, forse oggi non staremo a contare tante vittime.

Le autorità maltesi, che su richiesta italiana hanno assunto il coordinamento dei soccorsi, hanno coordinato solo le due navi commerciali che non potevano effettuare i trasbordi, ma limitarsi a fare muro contro le onde ed il vento nel mare in burrasca, rifiutandosi di coordinare invece l’unica nave presente sulla scena, la Geo Barents, che poteva effettuare una operazione di salvataggio con immediatezza ed in sicurezza, come i fatti hanno dimostrato. Già il giorno precedente il salvataggio, alle 15,18 del 3 aprile, Alarm Phone, aveva riferito su Twitter di avere contattato il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano, ricevendone l’indicazione di contattare quello maltese, “in quanto autorità competente’”. Poche ore più tardi nella zona in cui il peschereccio veniva sballottato da onde sempre più alte il vento soffiava da nord ovest a 27 nodi ed il mare era agitato. Non ci sarà nessuno che potrà smentire questo fatto.

Probabilmente come in altre circostanze simili, nelle quali si sono verificati naufragi, le stesse autorità marittime non hanno ritenuto ricorrere una situazione di pericolo (distress) tale da richiedere un intervento immediato. I maltesi hanno atteso soltanto che il barcone raggiungesse le acque italiane per dismettere la loro competenza. Le autorità italiane, che erano state informate per prime dell’evento di soccorso, e che avevano declinato la propria competenza senza coordinare ed intervenire immediatamente, hanno invece atteso, come traspare dall’articolo del Giornale, che il peschereccio entrasse nelle acque di loro competenza, esponendo così a rischio le persone a bordo di un mezzo che nelle condizioni di sovraccarico e di mare agitato nelle quali si trovava avrebbe potuto capovolgersi in ogni momento. Forse chi scrive davanti ad una tastiera, o segue li tracciamento di una imbarcazione davanti ad uno schermo, non si rende conto dei problemi di navigabilità che può avere un peschereccio di venti metri o poco più, con oltre 400 persone a bordo. Per non parlare della mancanza di cibo e acqua, dopo giorni di navigazione, e delle temperature ancora molto fredde, oltre che delle condizioni di singole persone, tanto che per una di loro, subito dopo il trasbordo sulla Geo Barents, si è resa necessaria una evacuazione medica (MEDEVAC). Le condizioni di distress che imponevano un intervento immediato, c’erano tutte. Almeno secondo le Convenzioni internazionali ed i Regolamenti europei, che, in base all’art. 117 della Costituzione, ancora valgono più di un decreto legge o di un provvedimento di fermo amministrativo di un prefetto.

Secondo lo scambio di mail tra la plancia di una delle navi coinvolte dalla Centrale di coordinamento (MRCC) di Malta nelle operazioni di soccorso, mail giunte in possesso dell’articolista con rara tempestività, il barcone soccorso non sarebbe stato “alla deriva” e anzi si trovava in normali condizioni di navigabilità tanto da procedere ad una velocità elevata verso le coste italiane. Esattamente lo stesso tipo di informazioni trasmesse da Frontex alle autorità italiane nel caso del caicco turco poi naufragato davanti alle coste di Cutro, ritenuto i normali condizioni di navigazione, tanto che dopo il rientro dei mezzi della Guardia di finanza non veniva lanciata alcuna operazione di ricerca e soccorso, anche quando si perdevano i contatti con l’imbarcazione, in avicinamento alle coste italiane. E su questo stesso tipo di informazioni, trasmesse da un sottomarino presente sulla scena dei soccorsi operati dalla Open Arms il primo agosto del 2019, in acque internazionali a nord delle coste libiche, che si basa  la difesa dell’ex ministro dell’interno Salvini nel processo ancora in corso nei suoi confronti a Palermo. Un processo nel quale la difesa cerca di spostare sui giorni dei primi soccorsi, e quindi sulla criminalizzazione della Open Arms, le responsabilità contestate all’imputato per il successivo periodo di prolungato divieto di sbarco dalla nave, ormai ancorata di fronte al porto di Lampedusa, dopo una ordinanza del TAR Lazio che sospendeva il divieto di ingresso nelle acque territoriali.

 

La logica politica, e propagandistica, di questi attacchi è sempre la stessa, le ONG opererebbero soccorsi in autonomia, con la finalità di portare in Italia migranti irregolari. E per fondare questi attacchi si devono invertire i ruoli: non sono le autorità competenti, gli MRCC, le centrali di coordinamento dei soccorsi in mare, che non rispondono, che non coordinano, che non inviano tempestivamente i mezzi di soccorso, ma le Organizzazioni non governative, ormai l’acronimo ONG ha un ricorrente connotato dispregiativo, che infrangerebbero sistematicamente le leggi, al fine di favorire l’invasione del nostro paese, andando in giro per il Mediterraneo a caccia di migranti irregolari, “clandestini” anzi,,perché il termine naufraghi non è ammesso, e poi chiedendo all’Italia un porto di sbarco. Questo il ribaltamento dei fatti, che questa volta non ha assunto i contorni tragici della strage di Cutro per la grande professionalità con la quale gli operatori umanitari di Medici senza frontiere hano condotto le attività di ricerca e salvataggio, in conformità con i doveri di soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei non solo a tutti i comandanti delle navi, ma anche alle autorità statali, ed alle centrali di coordinamento (MRCC e NCC) delle attività SAR (Search and Rescue) e delle operazioni di sorveglianza marittima contro l’immigrazione irregolare (law enforcement). Ed anche il comandante della Guardia costiera italiana, ammiraglio Carlone, ha ammesso che in caso di distress (pericolo grave ed attuale) i soccorsi sono dovuti dalle autorità italiane anche al di fuori della zona SAR (di ricerca e salvatagio) di nostra competenza. Proprio come avvenuto in decine di circostanze, facilmente documentabili, analoghe a quelle occorse nel caso del caicco poi naufragato davanti alla costa di Cutro, ed adesso simili a quelle del peschereccio soccorso da Geo Barents. L’accertamento di una condizione di distress, pericolo immediato, che impone un soccorso immediato, o di una situazione di immigrazione irregolare, che comporta il monitoraggio a distanza, è una valutazione dalla quale dipende la vita delle persone in mare, ed è rimessa soprattutto al comandante della nave che osserva da vicino le condizioni del mare e dell’imbarcazione da soccorrere, e non può essere smentita da facili ricostruzioni giornalistiche o da uno scambio di mail tra Centrali di coordinamento che da anni si rifiutano di collaborare nei soccorsi in mare, anche perchè le autorità maltesi non hanno mai ratificato gli Emendamenti del 2004 alle Convenzioni internazionali SAR e SOLAS. Addirittura non c’è accordo neppure sulla delimitazione delle zone SAR di reciproca competenza, tanto che le acque attraversate dal peschereccio soccorso da Geo Barents ricadono in una zona SAR sovrapposta (overlapped) su cui non c’è accordo tra le autorità italiane e quelle maltesi. In questa ultima occasione si è ripetuto quanto successo altre volte in precedenza, proprio in occasione di soccorsi operati da Geo Barents, alla quale nè Malta, ne la Centrale di coordinamento di Roma hanno dato risposta, malgrado le rituali richieste di coordinamento. Ma come aveva spiegato il capo della precedente missione di MSF ad ottobre dello scorso anno,il silenzio di Malta non solleva gli altri Stati dall’obbligo di cooperare e, nel caso, coordinare i soccorsi e condurli al porto raggiungibile “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”. Nel caso che si è verificato adesso, di fronte al rifiuto delle autorità maltesi di assumere il coordinamento dell’operazione di soccorso richiesto dalla Geo Barents,le autorità italiane avrebbero dovuto coordinare le operazioni di ricerca e salvataggio della nave di MSF, più vicina alla scena del soccorso, ed in grado, a differenza delle grandi navi commerciali coinvolte da La Valletta, di mettere rapidamente in sicurezza i naufraghi. Come poi hanno effettivamente fatto.

Tra quanto sostenuto dal Giornale non c’è nessun documento che indica condizioni di mare diverse da quelle assai difficili effettivamente accertate dai soccorritori e documentate dai bollettini meteo di quelle ore, condizioni che mettevano in una oggettiva situazione di pericolo un barcone sovraccarico all’inverosimile e privo delle più elementari dotazioni di sicurezza. Come è destituito di fondamento, anche dalla giurisprudenza italiana (vedi la Cassazione sul caso Rackete e la successiva archiviazione del Tribunale di Agrigento), l’accusa ricorrente che i soccorritori avrebbero dovuto chiedere il coordinamento della loro attività di ricerca e salvataggio allo stato di bandiera (la Norvegia) e non alle centrali di coordinamento (MRCC) italiana e maltese. Quanto dichiarato al Giornale “da una fonte anonima” secondo cui la guardia costiera aveva allertato ben tre motovedette classe 300 e addirittura la nave Diciotti, per “attendere” il peschereccio quando sarebbe arrivato “inevitabilmente” nelle acque italiane, corrisponde alla stessa logica di attesa che ha portato alla strage di Cutro. E se risaliamo indietro nel tempo, si tratta della stessa prassi operativa messa in atto in occasione della “strage dei bambini”, il terribile naufragio a sud di Malta, dell’11 ottobre del 2013, su cui il Tribunale di Roma, pur affermando la prescrizione dei reati, ha accertato la responsabilità omissive delle autorità italiane.

 

Questi i fatti, del tutto capovolti dal Giornale, per anticipare i procedimenti amministrativi, e forse anche penali, che le autorità italiane stanno preparando per l’accoglienza “che si merita” la Geo Barents al suo arrivo nel porto di Brindisi. Ma si continuano a nascondere le norme che regolano queste attività di ricerca e soccorso in acque internazionali, norme che non sono a disposizione dei partiti per le loro finalità propagandistiche o dei ministri che devono eludere le loro responsabilità di governo. Che continuano ad ignorare le condanne che provengono dalle principali istituzioni internazionali per la loro politica di collusione con le autorità libiche, di abbandono in mare e di contrasto dei soccorsi operati dalle organizzazioni non governative. Ma non si può essere puniti per le omissioni altrui, come si è verificato tante volte in passato, quando si sono bloccate le navi del soccorso civile.

 

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