Oggi, su tutto il territorio nazionale, inizia ufficialmente la raccolta firme per i referendum abrogativi “Italia per la pace“, in favore della sanità pubblica e contro l’invio di armi in Ucraina. La campagna referendaria è organizzata dal Comitato di Generazioni Future presieduto dal giurista Ugo Mattei e sostenuta da influenti personalità del mondo accademico e culturale, tra cui il drammaturgo Moni Ovadia, lo storico Franco Cardini, l’ex direttore di Rai 2 Carlo Freccero e l’editore Claudio Messora. Il suo motto è “Ferma il dolore, firma la pace”.

Attraverso il primo quesito, in cui si denuncia il progressivo indebolimento della sanità pubblica in favore delle spese militari, si intende escludere le strutture private da alcuni piani sanitari territoriali e porre fine al conflitto di interessi nell’allocazione dei fondi pubblici per la sanità. Il testo recita: «Vuoi tu abrogare l’art. 1 (Programmazione sanitaria nazionale e definizione dei livelli uniformi di assistenza), comma 13, decreto legislativo n. 502/1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Gazzetta Ufficiale n. 305 del 30 dicembre 1992 – Supplemento ordinario n. 137)) limitatamente alle parole “e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale”?».

Il secondo quesito è invece volto a cancellare le attuali basi giuridiche del trasferimento di armi in Ucraina. Nel suo dettato si legge: «Vuoi tu che sia abrogato l’art. 1 del decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185 (Disposizioni urgenti per la proroga dell’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell’Ucraina), convertito in legge n. 8 del 27 gennaio 2023 nelle parole: “E’ prorogata, fino al 31 dicembre 2023, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, di cui all’art. 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, nei termini e con le modalità ivi stabilite.”?».

Con il terzo e ultimo quesito, presentato dal Comitato Ripudia la Guerra, si vuole togliere all’esecutivo il potere di derogare il divieto di esportazioni di armi ai Paesi coinvolti nei conflitti attraverso la semplice informativa al Parlamento, come invece accade oggi. Se andasse in porto – affermano i promotori – “ogni decisione futura volta a inviare armi in teatri di guerra, richiederebbe una legge formale e dunque la piena assunzione di responsabilità politica del Parlamento“.

Dice il testo: «Volete voi che sia abrogato l’art. 1, comma 6, lettera a), legge 09 luglio 1990, n. 185, rubricata “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, e successive modificazioni (che prevede: “6. L’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere” limitatamente alle parole “o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere”?».

I cittadini potranno firmare questi referendum direttamente ai banchetti organizzati nelle principali città italiane, che si potranno facilmente individuare consultando la mappa sul sito generazionifuture.org, aggiornata in tempo reale. Inoltre, le persone potranno raggiungere gli uffici elettorali dei comuni di residenza, dove troveranno i moduli vidimati per la firma. Vi è ancora una possibilità: firmare digitalmente sulla piattaforma Itagile.it, che per ritardi nella predisposizione di quella pubblica permette la raccolta e l’identificazione certificata dietro pagamento di 1 euro e 50 centesimi per ogni firma.

Il comitato promotore avrà 90 giorni di tempo per raccogliere 500 mila firme da parte degli elettori al fine di presentare ufficialmente il referendum. Alla scadenza del termine, se il risultato sarà raggiunto, la Corte di Cassazione valuterà la conformità alla legge delle richieste di referendum ricevute, poi la palla passerà alla Corte Costituzionale, che si pronuncerà sull’ammissibilità dei quesiti ricevuti entro il successivo 10 febbraio. In seguito, “ricevuta comunicazione della sentenza della Corte Costituzionale” e “su deliberazione del Consiglio dei ministri”, ad indire il referendum sarà il Presidente della Repubblica, il quale è chiamato a fissare la data di convocazione degli elettori “in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno”. Se la campagna referendaria dovesse avere successo e superare il “filtro” delle Corti, dunque, i cittadini sarebbero chiamati al voto sui quesiti il prossimo anno. A quel punto, affinché i referendum siano validi, dovrà votarli il 50 % più uno degli aventi diritto al voto.

 

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