(DIRE) “In Myanmar la situazione è tragica. La giunta che ha rovesciato il governo eletto utilizza qualsiasi mezzo per intimidire e perfino uccidere, perché sa che se perderà la guerra, si sgretolerà un impero di oltre settant’anni fondato su profitti e violenza, per questo chiediamo agli Stati Uniti di imporre sanzioni economiche contro la Giunta come ha fatto l’Ue, mentre la comunità internazionale deve riconoscere il Governo di unità: non siamo cittadini di serie B”.
Yimon Win Pe è un’esponente della comunità birmana in Italia, e ha lasciato il suo Paese nel 2003 all’età di 19 anni.
Con l’agenzia Dire parla poco prima di un incontro a Roma dal titolo ‘La Rivoluzione di Primavera in Myanmar’, organizzato con l’Associazione Amicizia Italia-Birmania ‘Giuseppe Malpeli’ di Parma, per denunciare la situazione nel Paese asiatico a oltre due anni dal colpo di stato dei militari.
L’1 febbraio 2021 infatti il Tatmadaw, l’esercito nazionale guidato dal generale Min Aung Hlaing, ha deposto il governo uscito vincitore dalle precedenti elezioni di novembre.
Tanti i politici arrestati, tra cui la leader del partito uscito vincitore alle urne, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), e Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, già condannata in diversi processi a quindici anni di carcere.
Ne è nato un vasto movimento di opposizione. L’Associazione per l’assistenza dei prigionieri politici del Myanmar (Aapp) stima negli ultimi 26 mesi oltre 21mila arresti, di cui quasi 17mila e mezzo di persone ancora in detenzione – alcune delle quali hanno già ricevuto una sentenza di condanna – e 3.866 rilasci. Altre 3.240 avrebbero perso la vita.
L’opposizione alla giunta dell’autoproclamato primo ministro Hlaing, come riferisce Win Pe, “riguarda tutta la popolazione, senza distinzione d’età, genere o professione”.
Ma in Myanmar si combatte anche una guerra, che “ha causato enormi perdite nell’esercito, che ora sta richiamando a combattere anche i militari in pensione. Se prima del golpe si verificano scontri ‘a macchia di leopardo'” coi singoli gruppi armati di stampo etnico presenti da anni nel Paese, oggi secondo l’attivista “il conflitto è esteso a livello nazionale.
Il Paese è in fiamme, tutti si stanno ribellando, nelle città e nei villaggi, nelle regioni centrali e di frontiera”.
Nonostante le perdite però, Yimon Win Pe evidenzia che “la giunta può ancora contare sui proventi delle risorse naturali: in questi due anni sono entrati tremila milioni di dollari, usati per comprare armi dalla Russia.
Gli Stati Uniti, tra i principali acquirenti di gas e petrolio, non hanno ancora imposto sanzioni, contrariamente all’Ue”.
Bruxelles è infatti al quarto round di misure punitive che in totale colpiscono 65 individui collegati al colpo di stato e dieci aziende tra cui la Myanmar Oil and Gas Enterprise (Moge), la compagnia petrolifera nazionale. “Se Washington aderisse- avverte Win Pe- si chiuderebbe una falla da cui passano soldi insanguinati”.
Inoltre, le associazioni chiedono “il riconoscimento del nostro governo di unità nazionale, composto dai politici eletti nel 2020, che ora controlla alcuni territori”. Tale esecutivo ha subito un attacco aereo lo scorso 11 aprile nel corso della cerimonia di inaugurazione dei nuovi uffici amministrativi a Pazigyi, città divenuta bastione della resistenza. Decine le vittime.
Ma la reazione internazionale “è stata debole”, come denuncia l’esponente della comunità dei birmani in Italia, “perché siamo trattati da persone di seconda categoria . E’ un comportamento triste, che coinvolge anche tanti altri paesi”.
Le pressioni della giunta militare secondo l’attivista italo-birmana raggiungerebbero anche gli esuli nel nostro Paese: “L’Ambasciata in Italia ricatta i birmani quando chiedono il rinnovo del passaporto” denuncia ancora Win Pe, riferendo che “se i funzionari trovano foto o documenti che attestano la partecipazione a manifestazioni contro la giunta, minacciano di non rilasciare il passaporto. A volte fanno intendere che la procedura potrebbe ‘sbloccarsi’ in cambio di denaro, altre chiedono la firma di un documento in cui la persona si impegna a non protestare o criticare mai più la giunta”.
“Il popolo del Myanmar sta conquistando la libertà e la democrazia a un prezzo altissimo”, dichiara sempre alla Dire Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Alcide Cervi, già presidente dell’associazione parlamentare Amici della Birmania e storica amica di Aung San Suu Kyi. “Tutto questo è sotto gli occhi del mondo, che osserva e tace. Non possiamo rimanere indifferenti. Vinceranno le rivoluzioni dei popoli, vincerà l’umanità”.