È in corso a Betlemme, presso il Bethlehem Peace Centre, la mostra dedicata alle “Macchine per la Pace” (Machines for Peace), organizzata dalla Rete italiana delle celebrazioni delle grandi macchine a spalla, insieme con l’Istituto centrale per il patrimonio immateriale del Ministero della Cultura e la Città di Betlemme, in corso di svolgimento dallo scorso 4 aprile e fino al prossimo 17 aprile, nella ricorrenza, tra l’altro, dei vent’anni dalla stipula della Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale del 2003.

Si tratta di una mostra di grande interesse sia per il contenuto in sé, il significato di queste, interessanti e sorprendenti, «macchine per la pace», la celebrazione del patrimonio intangibile come elemento cruciale delle arti e della cultura per la pace, i contenuti innovativi della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, sia per il contesto in cui si svolge, per il messaggio che intende esprimere, divulgare l’eredità e la vivacità del patrimonio culturale del Mediterraneo, riscoprire e aggiornare senso e valore di una tradizione culturale di lunga durata, prospettare un rinnovato orizzonte di pace e di inclusione, di dialogo e di incontro tra i popoli e le culture, nel bacino mediterraneo e oltre.

Come recita infatti il comunicato di presentazione della mostra, essa «presenta un’installazione di arte visiva contemporanea, in dialogo con le forme e i contenuti propri degli eventi rituali delle feste, e vuole raccontare una storia millenaria “sospesa” dalla pandemia, riproposta nelle immagini e nelle musiche del film inedito di Francesco De Melis, Il nostro tempo infinito e sospeso. […] Un’opera visiva e sonora […] che dialogherà con la “materialità” delle feste, attraverso gli splendidi costumi delle comunità». Un contenuto significativo anzitutto perché consente di instaurare un dialogo, attraverso il Mediterraneo, tra il passato e il presente, la memoria e il vissuto, delle comunità, e poi perché consente di porre in risalto, attraverso il sistema delle «grandi macchine a spalla», il contenuto delle culture per il dialogo e per la pace.

Ma cosa sono queste «macchine a spalla»? Si tratta di un contenuto culturale, nel quale si mescolano elementi del patrimonio tangibile e intangibile, particolarmente ricco di significati, al tempo stesso “visibili” e “invisibili”: vi si associa una memoria degli eventi vivida e accesa, basti solo pensare alla frequenza delle celebrazioni rituali legate alla manifestazione o alla processione di grandi macchine o installazioni devozionali portate a spalla; ma vi si innesta anche una memoria culturale che molto spesso viaggia nascosta o sottotraccia, ricchissima nelle sue stratificazioni e nei suoi significati, non sempre adeguatamente riconosciuta o tramandata. Il “vicino” e il “lontano” tendono qui a dialogare e intrecciarsi.

In Italia, le «feste della rete delle grandi macchine a spalla» costituiscono un patrimonio culturale universale, inserito nel 2013 nella Lista Rappresentativa del Patrimonio Immateriale dell’Umanità; si tratta, in particolare, della Festa dei Gigli di Nola (in Campania), della Varia di Palmi (in Calabria), della Discesa dei Candelieri di Sassari (in Sardegna) e della tradizione della Macchina di Santa Rosa di Viterbo (in Lazio). Anche di questo riconoscimento, si celebra, dunque, quest’anno, un decennale. Come riporta la pagina ufficiale dell’UNESCO, infatti, le grandi macchine a spalla, oltre a costituire il contenuto rappresentativo delle grandi celebrazioni, sintetizzano anche lo sforzo coordinato degli attori e delle comunità ed enucleano, di conseguenza, un messaggio potente, fatto di solidarietà e partecipazione, culture e memorie, tradizione e spiritualità. Nelle loro peculiarità, tale elemento accomuna tutti questi patrimoni: a Nola, la processione di otto obelischi in legno e cartapesta in memoria del ritorno di San Paolino; a Palmi, la processione della struttura in onore della Madonna della Sacra Lettera; a Sassari la Discesa dei Candelieri; a Viterbo, la Macchina di Santa Rosa (Torre di Santa Rosa).

Riprendendo quindi il contenuto della designazione UNESCO: «la condivisione, equa e coordinata, dei compiti in un progetto comune è parte fondamentale delle celebrazioni, che uniscono le comunità attraverso il rispetto reciproco, la cooperazione e lo sforzo comune. Il dialogo tra i portatori che condividono questo patrimonio culturale si traduce anche nello sviluppo di una rete di relazioni. Le celebrazioni richiedono il coinvolgimento di musicisti e cantanti, oltre che di artigiani che realizzano le strutture processionali e realizzano abiti e manufatti cerimoniali, … un processo che aiuta la continuità culturale e consolida un forte senso di identità».

L’importanza di questi contenuti, nel Mediterraneo e nello scenario internazionale più complessivo, segnato sin troppo spesso dalla manipolazione dei contenuti culturali e memoriali, dalla revisione artefatta degli eventi e dei significati della storia, dal flagello della guerra e delle grandi violazioni dei diritti umani, in tutte le loro generazioni (come diritti civili e politici, economici e sociali, culturali), rimanda direttamente ai contenuti della stessa Convenzione UNESCO (2003) per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, quale «fattore principale della diversità culturale e garanzia di uno sviluppo sostenibile» e in relazione al «ruolo inestimabile del patrimonio culturale immateriale in quanto fattore per riavvicinare gli esseri umani e assicurare gli scambi e l’intesa fra di loro».

Non a caso, sin nel suo art. 2, il patrimonio culturale immateriale è definito come «le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, i saperi – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e dà loro un senso di identità e di continuità, promuovendo, in tal modo, il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana».

Pace e diritti, in particolare nel senso della partecipazione, della condivisione, dei diritti culturali, sono dunque direttamente collegati a questi presupposti: essi traguardano gli obiettivi di «assicurare il rispetto per il patrimonio culturale immateriale delle comunità, dei gruppi e degli individui interessati; suscitare la consapevolezza a livello locale, nazionale e internazionale dell’importanza del patrimonio culturale immateriale e assicurare che sia reciprocamente apprezzato; promuovere la cooperazione internazionale». Si tratta, cioè, di una «via per la pace». E rappresenta una delle opzioni, nelle mani della “diplomazia dei popoli”, per promuovere la comprensione e il rispetto tra popoli e culture, per sviluppare curiosità e attenzione nei confronti della ricchezza e della diversità culturale dei popoli del mondo, in definitiva, per il dialogo e per la pace.