Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, tutto il quadro delle relazioni internazionali ha subito uno shock inimmaginabile fino a non molto tempo prima.
Eppure le tensioni nei rapporti fra le superpotenze erano già presenti e in crescita. Oltre alle tradizionali ragioni di tensione, preminente è diventato il peso che hanno assunto i problemi energetici, di grande impatto sull’economia delle famiglie e delle comunità.
Per discutere di questo, l’associazione ‘Percorsi di pace’ e la Casa per la pace ‘La Filanda’ di Casalecchio hanno organizzato giovedì 13 aprile un incontro a più voci sul tema “ La guerra in Ucraina, la crisi e la transizione energetica”. In questo articolo riferiamo della relazione di Pier Giorgio Ardeni , docente di Economia alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna .
Ardeni ha aperto la sua riflessione dicendo che non siamo in una economia di guerra, nonostante quello che dicono alcuni media . Non abbiamo l’inflazione alta perché c’è la guerra.
Siamo però in una situazione di grande fragilità,dal punto di vista economico e delle relazioni internazionali,forse il momento più difficile dalla fine della guerra di Corea.
Pensate ad esempio alla guerra del Vietnam,in cui gli USA appoggiavano una parte e l’Unione Sovietica un’altra; nessuno di loro minacciava la guerra nucleare come invece succede oggi.
La situazione è cambiata da quando è crollata l’Unione sovietica, e si è aperta una transizione di quei paesi ad una economia di mercato. Nel 1989 comincia la grande fase economica chiamata della globalizzazione, in cui l’innovazione tecnologica diventa centrale; è chiaro che Internet, le grandi compagnie hi-tech, hanno aiutato molto la globalizzazione. Il fattore tecnologico è importante,c ome pure l’apertura nelle relazioni politiche internazionali. La manifattura si sposta, se ne va dagli Stati Uniti e dall’Europa, se ne va in Cina, in India, nel Bangladesh. Oggi la quota di produzione di questi paesi superano la produzione di tutti i paesi occidentali messi insieme.
Poi c’è la politica, che non è guidata solo dall’economia, pensiamo solo alla guerra della Bosnia, in cui le motivazioni economiche non erano per nulla sufficienti per spiegare il conflitto. Qui entra in ballo il fattore geopolitico. Nel ’91 l’occidente pensava di aver vinto la guerra, dopo la dissoluzione dell’URSS. Invece no, il capitalismo certo era diventato il sistema prevalente, anche in Cina è un capitalismo di stato, ma sempre capitalismo è. Ma quella che non è mai finita è la politica dei popoli. Alcuni in occidente pensavano che l’impero occidentale fosse diventato prevalente, mentre invece negli anni era emerso un altro impero, quello cinese, con una storia ben più antica di noi e che è diventato di fatto il vero antagonista dell’Occidente. L’Unione sovietica si è dissolta, è rimasta la Federazione russa, che è diventata un nostro partner, con il commercio di materie prime contro tecnologia. Nel quadro economico mondiale dobbiamo considerare che la Russia è una piccola economia, ha sì lo status di potenza nucleare ma è ridotta come prodotto interno lordo, e , se guardiamo i dati del SIPRI, anche dal punto di vista militare.
La Russia nelle spese militari spende poco più del doppio dell’Italia, poco più della Gran Bretagna, non è certamente più quella grande potenza nucleare che era ai tempi dell’Unione Sovietica.
Al contrario la Cina spende in spese militari già la metà di quello che spendono gli Stati Uniti, è la Cina che oggi è la grande potenza militare, oltre che potenza economica.
L’economia occidentale è diventata più debole, i BRICS sono diventati la fabbrica del mondo, il debito dei paesi occidentali per metà è in mano ai paesi emergenti, la Cina possiede metà dei titoli di stato USA e gli americani ne devono tener conto.
Questa guerra in Ucraina, che noi consideriamo tanto importante, per i paesi emergenti non lo è, di fronte alle tante guerre in passato mosse dall’Occidente (Iraq, Afganistan, ecc.).
L’Ucraina è sempre stata una regione di confine, per un certo periodo in parte sotto la Polonia e la Lituania, lì ci sono popolazioni che parlano il rumeno, una parte russa e russofona, e una parte centrale di forte identità ucraina. Questo ovviamente non vuol dire non condannare l’invasione russa.
Quale messaggio per quelli che in Italia vogliono la pace ? Io penso che comunque una via d’uscita ci sia.
La pace è possibile, anche e soprattutto sul piano economico, visto che l’economia è quella che guida, che c’è dietro questa guerra.
L’economia potrebbe favorire il processo di pace, se solo si lasciassero da parte le logiche politiche.