Con il “Decreto Cutro” approvato dal Senato, malgrado la mancanza del parere della Commissione affari costituzionali, oltre alle norme oggetto di scontro in Parlamento e nei media, sull’abolizione sostanziale della protezione speciale, alla riduzione delle garanzie di difesa, al rafforzamento delle misure in materia di detenzione amministrativa, sono state approvate altre disposizioni che riguardano le procedure per chi vuole entrare “regolarmente” sul territorio italiano per lavoro o attraverso corridoi umanitari, previsioni queste ultime, che però rimangono senza previsioni numeriche. Come sembrano destinate a restare prive di attuazione le previsioni in materia di visti di ingresso “fuori quota” per coloro che frequentino nei paesi di origine “Corsi di istruzione e formazione professionale”. Si prevede al riguardo la “promozione della stipula di accordi di collaborazione e intese tecniche con soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e dei servizi per il lavoro nei Paesi terzi di interesse per la promozione di percorsi di qualificazione professionale e la selezione dei lavoratori direttamente nei Paesi di origine”. Il governo italiano, e la maggioranza parlamentare con la quale può imporre qualsiasi provvedimento al voto dell’aula, sembrano dimenticare che i flussi migratori per lavoro sono inaccessibili per la maggior parte delle persone che sono costrette a fuggire dal proprio paese, per guerre, disastri ambientali o estrema povertà, alle quali non rimane alcuna alternativa al tentativo di attraversare il Mediterraneo affidandosi agli scafisti.

Basta scorrere l’elenco delle vittime della strage di Cutro o la lista dei paesi di provenienza dai quali arriva la maggior parte delle persone sbarcate o soccorse in questi ultimi mesi, per cogliere la inutilità di questa previsione e la sua concreta irrealizzabilità in paesi nei quali non sono garantiti neppure il diritto alla vita e la libertà di circolazione. Per non parlare delle difficoltà che si incontrano nelle rappresentanze consolari italiane all’estero per il rilascio di un visto di ingresso, sia pure nei casi più frequenti e da tempo previsti dalla legge, di ricongiungimento familiare. Dietro la parvenza di canali legali di ingresso previsti dal decreto legge approvato dal Senato si cela il rafforzamento dei procedimenti di espulsione e respingimento, con un ricorso più esteso alla detenzione amministrativa, anche dopo lo sbarco dei richiedenti asilo.

Il Decreto Cutro diventa cosi l’ennesimo strumento di propaganda, un ulteriore esempio della politica della dissuasione, una politica fatta di annunci roboanti, fino all’aberrante teoria della “sostituzione etnica”, per tentare di dimostrare che non e’ poi tanto conveniente arrivare in Italia. Una politica che va contro il principio di realtà perche si nasconde che la protezione speciale ha riguardato nel 2022 non piu’ di diecimila persone di fronte ad oltre centomila arrivi, mentre le persone che vengono o verranno effettivamente espulse dal nostro paese sono appena qualche migliaio all’anno e che sono del tutto irrealizzabili i propositi di espulsioni di massa, al di là degli annunci di propaganda elettorale. Perchè i paesi di origine non sono disposti a collaborare nelle procedure di rimpatrio con accompagnamento forzato, questi sono fatti oggettivi che nessuna trattativa diplomatica è finora riuscita a modificare. E dalla Libia, del resto, non arrivano cittadini libici ma persone provenienti da vari paesi, dal Bangladesh alla Siria ed all’Africa subsahariana, che non si potranno mai respingere o deportare in massa verso un paese di transito ancora diviso tra due governi e diverse milizie in conflitto tra loro.

In tutti i provvedimenti adottati dal governo Meloni, incluso il Decreto che stabilisce una lista di paesi terzi sicuri, si sovrappongono finalità concorrenti, dalla negazione sostanziale del diritto di asilo, da intendere anche come possibilità di accedere ad un porto sicuro per presentare una istanza di protezione, fino alla strategia dell’abbandono in mare, già attuata con l’allontanamento delle navi del soccorso civile, destinate a porti di sbarco sempre più distanti dall’area dei soccorsi nel Mediterraneo centrale. Si vuole accreditare la tesi che riducendo le partenze con la eliminazione dei cosiddetti fattori di attrazione (pull factor), come le navi di soccorso,anche quelle militari, si potrebbero ridurre gli sbarchi in Italia ed i naufragi in mare, dunque il numero delle vittime. Si tratta di tesi smentite dalla realtà, perché, se con la riduzione delle partenze diminuiscono le vittime in mare, al contempo aumenta il numero delle persone intrappolate nei centri di detenzione in Libia, o soggette in Tunisia ad espulsioni collettive verso i paesi di origine, con un numero di vittime altrettanto elevato, anche se non quantificabile. Per una riduzione effettiva del numero di naufragi in mare occorrerebbe invece aprire le frontiere terrestri, riconoscere in pieno il diritto alla protezione nelle varie forme previste dalla legislazione europea, ed attivare missioni internazionali di ricerca e soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale, come si realizzò soltanto tra il 2014 ed il 2015, con un significativo calo del numero di morti e dispersi nel Mediterraneo centrale. Ma dal 2016 l’Europa e l’Italia invertirono bruscamente la loro politica migratoria con barriere sempre più difficili da superare, con il rafforzamento degli accordi con i paesi terzi, e con un attacco forsennato al soccorso civile.

A partire dal 2018 le autorità europee hanno ritirato progressivamente tutti gli assetti navali impegnati nella zona SAR (di ricerca e soccorso) del Mediterraneo centrale ormai attribuita alla responsabilità di una fantomatica “Libia”, che ancora oggi non è facile riconoscere come Stato unitario. Gli accordi bilaterali intercorsi con il governo di Tripoli, come il Memorandum d’intesa del 2 febbraio 2017, e la istituzione di una fittizia zona SAR “libica” nel 2018, hanno costituito gli schermi formali dietro i quali si è nascosta la sostanziale delega delle attività di intercettazione, al di fuori delle loro acque territoriali, alle autorità libiche, in molti casi colluse con le milizie che nelle città costiere, soprattutto tra Sabratha, Zawia e Tripoli, gestivano, oltre alla detenzione arbitraria dei migranti e alle partenze dei barconi, il contrabbando di petrolio ed il traffico di armi.

Nel dicembre del 2019 entrava in vigore il Regolamento (UE) 2019/1896, relativo alla Guardia di frontiera e costiera europea. Il nuovo Regolamento mette al centro delle attività
dell’agenzia i sistemi elettronici di controllo, raccordando le attività delle diverse agenzie europee che operano nel settore del controllo delle frontiere marittime esterne (EUROSUR, EMSA, EUROPOL). Tra i punti più importanti del nuovo Regolamento è il rilancio della cooperazione con i paesi terzi al fine di rendere più efficaci le prassi di intercettazione /soccorso in mare e di respingimento/espulsione.

Le deliberazioni del Consiglio dell’Unione Europea del 23 novembre 2020, e la Raccomandazione adottata lo stesso giorno dalla Commissione Europea sui soccorsi in mare operati da attori non statali, confermavano le politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera e la collaborazione con i paesi terzi della sponda sud del Mediterraneo per contrastare quella che si continua a definire soltanto come “immigrazione illegale”. Anche se in questi documenti si auspicava la fine della criminalizzazione dei soccorsi umanitari, in realtà si riproducevano le condizioni per ricondurre i salvataggi in mare operati dalle ONG ad attività sottoposte ad un rigoroso controllo amministrativo e militare, con il rischio che potevano risultare sanzionabili in base alle norme penali sul contrasto dell’immigrazione irregolare. Fino ad oggi l’Unione Europea non è riuscita ad approvare il Piano sulle migrazioni del 2020, ancora oggetto di trattativa tra la Commissione ed il Consiglio dell’UE, o nuove regole di ingaggio per le attività di ricerca e salvataggio in mare, che non potrebbero comunque derogare gli obblighi di soccorso stabiliti dalle Convenzioni internazionali. Ben difficilmente il governo Meloni vedrà tradursi in fatti concreti gli impegni verbali strappati a Bruxelles in questi ultimi mesi. Ma intanto sono questi gli strumenti di distrazione di massa che vengono propinati all’opinione pubblica italiana, anche dopo fatti tragici, come la strage di Cutro, che imporrebbero un ritorno al principio di realtà.

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