Ci sono voluti diciassette anni e tre gradi di giudizio perché la Corte di Cassazione facesse almeno una parvenza di giustizia, sia pure riducendo al minimo le pene, sulla strage del Venerdì Santo del 1997, quando il primo governo Prodi, in carica quell’anno, ordinò alla corvetta Sibilla della Marina militare di eseguire “manovre cinematiche di interposizione” per impedire la prosecuzione della traversata verso le coste italiane di un barcone partito dall’Albania, da poco libera dalla dittatura ed in preda ad una devastante crisi economica. Un termine tecnico che, ritorna ancora oggi, e che corrisponde alla prassi del “blocco navale” frutto di un accordo tra il governo italiano allora in carica e le autorità albanesi. Dopo quel tragico 28 marzo 1997 vennero recuperati i corpi di 83 persone, anche se la stima ufficiale alla fine risultò di 108 vittime (in gran parte donne e bambini). I superstiti furono solo 37, soccorsi dall’equipaggio della corvetta italiana.

Pochi mesi prima, la “linea della fermezza” inaugurata dal governo Prodi aveva negato persino l’esistenza di un naufragio, la Strage di Natale del 1996, che solo le denunce degli antirazzisti, un giornalista testardo ed indipendente, ed il coraggio di un pescatore di Porto Palo, consegnarono alla storia. Ancora una volta le autorità negavano l’evidenza, ed il processo non servì a rendere giustizia alle vittime. Nel caso dello speronamento della Kater Y Rades però le prove del misfatto erano ben visibili, scolpite sulla prua della corvetta italiana che aveva speronato il barcone partito dall’Albania. Ed il relitto della Kater Y Rades, una volta recuperato, costituiva una prova di accusa inoppugnabile.

Come ha ricordato ieri il sito Globalist, Il 19 marzo del 1997 venne adottato dal Consiglio dei ministri un decreto legge che regolamentava i respingimenti; il 25 marzo venne firmato un accordo con l’Albania per il contenimento del “traffico clandestino” di profughi. Come scriveva lo stesso giorno Repubblica, a proposito degli albanesi che cercavano di raggiungere l’Italia, «Non sono più profughi, ma immigrati non in regola. E quindi vanno respinti» L’accordo parlava ufficialmente di un «efficace pattugliamento» delle coste dell’Adriatico e dava alla Marina disposizioni per fare «opera di convincimento» nei confronti delle barche di migranti provenienti dall’Albania: in pratica però fu un vero e proprio “blocco navale”, criticato apertamente dall’Onu.

Secondo le disposizioni del Governo Prodi vigenti in quei giorni (trasmesse il 25 marzo ma ratificate dal Parlamento solo il 2 aprile), la nave della Marina militare Sibilla doveva svolgere delle “manovre cinematiche di interposizione”. Le responsabilità dell’affondamento della Kater Y Rades, una vecchia chiatta albanese usata per traversare lo Ionio furono subito chiare, soprattutto per chi era andato a Brindisi, subito dopo lo speronamento per protestare contro la politica omicida di un governo che in campagna elettorale si era proposto come un governo aperto al riconoscimento dei diritti umani e delle Convenzioni internazionali. Un governo che dopo la strage faceva approvare la legge n.40/98 Turco-Napolitano e stipulava i primi accordi con la Tunisia per la costruzione di centri di detenzione per migranti irregolari respinti in quel paese. Era l’inizio della “lotta” all’immigrazione “illegale”, che si concretizzava anche con la istituzione dei centri di permanenza temporanea (CPT) e con una disciplina delle espulsioni e dei respingimenti che violava le garanzie costituzionali, disciplina che poi fu ulteriormente aggravata dalla legge Bossi-Fini nel 2002, che si inserì perfettamente nell’impianto originario della Turco-Napolitano.

Durante tutto il processo per la strage del Venerdì Santo il Ministero della Difesa e la Marina militare non hanno mai ammesso le proprie responsabilità, ed attraverso l’Avvocatura dello Stato hanno impugnato tutte le sentenze di condanna in primo grado ed in appello, rifiutandosi di fornire documentazione e mantenendo un atteggiamento che ricorre ancora oggi, tendente ad attribuire tutte le responsabilità del naufragio al timoniere del barcone poi affondato, per nascondere le responsabilità del comandante della nave militare Sibilla, che con una serie di manovre spericolate aveva cercato di tagliare la rotta al barcone partito dall’Albania, per costringerlo a ritornare indietro. Ma sul banco degli imputati c’era solo il comandante della Sibilla, unico rappresentante dello Stato italiano sotto accusa, oltre al capobarca della Kater Y Rades. A saldare i conti con la giustizia per le gravissime responsabilità di governo che avevano determinato le condizioni per quella strage c’era soltanto un ufficiale della Marina militare, come si verificherà anni dopo anche nel caso della “strage dei bambini”, a sud di Malta, dell’11 ottobre 2013, che rimane ancora un caso aperto, dopo l’impugnazione della sentenza del Tribunale di Roma del 15 dicembre 2022 che, pur dichiarando la prescrizione dei reati, affermava la responsabilità delle autorità italiane coinvolte nella vicenda.

Come denunciava nel 2011 la Rete antirazzista di Brindisi, con riferimento alla strage del Venerdì Santo, erano”Spariti dai processi di primo grado i ministri dell’allora governo Prodi e gli ammiragli competenti che avevano dato ordine alle due navi italiane , la Zefiro e la Sibilla, di intercettare e respingere le carrette del mare albanesi; nel frattempo rese introvabili, distrutte, lacunose e tali da non essere utilizzabili come prova cardine di quelle responsabilità, le comunicazioni, radio, telefoniche, dispacci diplomatici, ecc”.

Gli eredi delle vittime non sono neppure riusciti ad ottenere dal Ministero della difesa il risarcimento stabilito dalla Corte di Cassazione. Il 3 gennaio 2019, il Tribunale amministrativo della Puglia, sezione di Lecce, ha respinto il loro ricorso per nullità dell’atto introduttivo,accogliendo la tesi del Ministero secondo cui non risultavano facilmente identificabili i ricorrenti (per alcuni ci sono date di nascita diverse, per altri anni nomi o cognomi diversi e quindi, mancando un elemento essenziale del ricorso, questo è stato considerato nullo. Dopo 22 anni il caso dell’affondamento della Kater Y Rades da parte della corvetta Sibilla era ufficialmente chiuso. Almeno nelle sedi giudiziarie.

Vogliamo ricordare due grandi compagni di lotta, oggi scomparsi, che si batterono in tutti i modi per fare emergere la verità e rendere giustizia alle vittime.

Alessandro Leogrande ha raccolto tutto il suo immenso lavoro, di giornalista d’inchiesta e scrittore sulla strage del Venerdì Santo nel libro Il naufragio. Come scriveva Alessandro, “Il naufragio della Kater i Rades costituisce una pietra di paragone per tutti gli altri naufragi a venire, non solo perché è stato l’esito delle politiche di respingimento e dell’isteria istituzionale che le ha prodotte. (…) a differenza dei molti altri avvolti nel silenzio, è possibile raccontarlo.”

Dino Frisullo denunciò, dopo le responsabilità nascoste per il naufragio della notte di Natale del 1996, le politiche di morte che avevano prodotto il blocco navale e la strage del Venerdì Santo del 1997. Nel 2001, in un suo scritto, osservava lucidamente: “Ora gli scheletri riemergono. Ciascuno guardi nel suo armadio. Se quei corpi saranno affidati a coloro che si sono battuti in questi anni per la verità e la giustizia, se si darà la parola a loro e non solo all’effimero sensazionalismo delle immagini, se saremo capaci di memoria e di rispetto – forse il loro sacrificio non sarà stato vano. Forse siamo in tempo a cambiare strada, ciascuno per la sua parte. Forse”. Ancora oggi i corpi delle vittime di strage, una strage negata, riemergono davanti alla spiaggia di Cutro. E non sappiamo davvero se siamo ancora in tempo per cambiare strada, Tutto farebbe pensare ad una perdita irreversibile di senso dei valori della vita e della solidarietà che non sono soltanto frutto di quest’ultimo gverno. Ma come non ci siamo tirati indietro allora, non arretreremo neppure oggi.

Quelle stragi sulle quali si vollero nascondere le responsabilità istituzionali e politiche, segnarono per molti una svolta di vita, con la piena consapevolezza delle responsabilità dei governi di centro-sinistra, che già allora anticipavano le scelte poi attuate dalle destre, con la trasformazione dell’Europa in fortezza e con la cancellazione del diritto all’asilo, del diritto alla vita ed ai socccorsi in mare. Nessuno prese in considerazione le denunce contro i trafficanti che, come oggi, operavano con la copertura dei governi con i quali si facevano accordi, e nessuno seppe trovare una rappresentanza politica alternativa che esprimesse quella domanda di giustizia che veniva dai cittadini solidali e dai parenti delle vittime.

Ancora non sappiamo quando i Tribunali condanneranno, se mai avverà, i responsabili politici di scelte di morte scambiate per “governo dei flussi migratori” e per “lotta all’immigrazione illegale”. Sono politiche che a distanza di 25 anni ed oltre da quelle stragi si ripropongono da parte dei governi in carica, mentre il senso comune viene piegato dalla disinformazione e dalla paura dell’invasione, spauracchi ormai consueti agitati da chi non riesce a trovare alcuna soluzione di salvataggio in mare, di ingresso legale, di accoglienza dignitosa, di convivenza sostenibile e di rispetto dei diritti fondamentali.

Il ministro del’interno Pantedosi arriva a prendersela con un “opinione pubblica” che sarebbe ancora troppo accogliente nei confronti dei migranti che sbarcano in Italia, un numero che aumenta ancora una volta, malgrado l’allontanamento delle navi umanitarie, e ritorna l’ennesimo attacco alla solidarietà di chi opera soccorso in mare, che si tradurrebbe in un appoggio oggettivo agli scafisti, se non ai trafficanti. Secondo il ministro, “«C’è anche il fattore attrattivo di un’opinione pubblica che annovera l’accettazione di questo fenomeno», e ancora «Altri Paesi sono intransigenti in maniera trasversale tra posizioni politiche diverse». Nessuna “trasversalità” è possibile con chi viola le Convenzioni internazionali e tradisce i principi di solidarietà e di accoglienza sanciti nella Costituzione italiana.

Siamo orgogliosi per quella parte di popolazione italiana che resiste attivamente alle politiche di morte e di esclusione praticate dal governo Meloni. Siamo solidali con le persone in fuga che chiedono protezione e futuro in Europa, nessuna solidarietà con chi sbarra tutte le vie di ingresso, che spesso sono soltanto vie di fuga, propaganda accordi con paesi che non rispettano i diritti umani, e condanna alla clandestinità quanti avrebbero diritto ad uno status legale di protezione. Alessandro Leogrande e Dino Frisullo ci indicano la strada.