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3. I luoghi: la spiaggia, il Palamilone di Crotone e Cutro  

Gli scenari dove si è consumata l’emergenza sono essenzialmente tre: Steccato di Cutro, il contesto del naufragio – luogo di morte e di ricerca; Cutro – spazio della politica istituzionale e della sua risposta alla strage; il Palamilone a Crotone, deposito di memoria, scenario di resistenza e di lotte delle famiglie e degli attivisti.

La spiaggia di Steccato di Cutro

Sulla spiaggia di Cutro, distante da Crotone quasi 40 chilometri, ci siamo tornate diverse volte. Non ci siamo recate su quella spiaggia, come in tanti hanno fatto e creduto di fare, per calpestare le prove di una scena del crimine – mai sottoposta a sequestro – ma per accompagnare i familiari che, su loro richiesta, hanno espresso la volontà di percorrerla alla ricerca degli oggetti dei propri figli, figlie, sorelle, fratelli, nipoti.

Cutro, Una madre cerca tra i relitti gli oggetti dei familiari dispersi. Foto di Valentina Delli Gatti

Sulla spiaggia di Steccato di Cutro, i familiari delle persone morte e scomparse in mare lo scorso 26 febbraio hanno camminato per l’intera battigia alla ricerca di effetti personali che potessero appartenere ai propri cari.

Hanno scavato tra i pezzi di relitti e parti di fiancata dell’imbarcazione, sperando di ritrovare resti, in un giorno ventoso, con il timore che le ricerche potessero fermarsi o non essere approfondite. Ore e ore, increduli di fronte ad una tragedia tanto vicina ad una spiaggia, quella in cui i loro passi continuavano ad affondare in un dolore feroce. Quindici chilometri pieni di frammenti, chilometri di sabbia e relitti dove tutto ciò che resta di quella tragica notte è un ultimo saluto rivolto al mare che ha inghiottito decine di persone.

Una loro richiesta, in attesa che si faccia giustizia per chi in quel mare vi è sepolto, espressa dalla volontà di poter raggiungere il punto esatto del disastroso evento ancora sotto indagine.

Cutro, I familiari scavano a mani nude nella sabbia. Foto di Yasmine Accardo

Continuano, infatti, le pressioni sulle autorità competenti parallelamente al lavoro di ricerca in mare e in terra che da un mese svolgono attivamente la Guardia Costiera e la squadra di Vigili del Fuoco tra subacquei e sommozzatori, alla ricerca dei corpi ancora dispersi.

Zahra osserva le operazioni di recupero di un corpo in mare. Foto di Valentina Delli Gatti

Cutro, operazioni di ricerca e recupero di un corpo in mare. Foto di Silvia Di Meo

Siamo tornate poi sulla spiaggia di Cutro, percorrendo la manifestazione tenutasi lo scorso 11 marzo per rendere omaggio alle vittime e per ascoltare le voci delle famiglie come Zahra, sorella di Sajjad alla ricerca di suo fratello, che chiedeva di continuare le ricerche per tutti i dispersi.

Cutro, Zahra dà voce alla lotta per la ricerca di suo fratello durante il corteo. Foto di Silvia Di Meo

Zahra se lo sentiva che doveva restare e lottare. Pochi giorni più tardi il corpo di Sajjad è stato estratto dal mare e identificato attraverso gli indumenti che portava indosso. Zahra non ha mai smesso di denunciare la necessità di continuare le ricerche anche per tutti gli altri dispersi, di prelevare il dna dai familiari. Fino al giorno in cui ha identificato suo fratello: il giorno più drammatico della sua esistenza e paradossalmente l’inizio di un sollievo nel petto, di sapere che il corpo di Sajjad ha fatto ritorno, restituito dal mare.

Sì, perché oltre la morte, di peggiore c’è la sua negazione. L’esigenza di dare sepoltura al corpo non rappresenta solo un atto di conferimento di dignità alla persona deceduta, ma restituisce ai familiari la presenza materiale indispensabile ad elaborare il lutto e la perdita. Il ritrovamento di una persona scomparsa non alleggerisce il macigno della mancanza, ma restituisce la pace di saperla a casa.

Il Palamilone, Crotone

Crotone, Palamilone. Foto di Silvia Di Meo

Palazzetto dello sport di Crotone, adibito a camera mortuaria e ufficio della Polizia Scientifica

Durante tutto questo mese il Palazzetto dello sport del Palamilone è stato il punto di incontro di familiari, sopravvissuti e di deposito delle salme delle vittime. Qui le famiglie si riunivano per pregare, per identificare i corpi dei cari, per cercare la verità. Qui è passata la vita e la morte, tra salme senza nome riportate dal mare e corpi identificati progressivamente.

Qui le famiglie hanno portato le loro istanze, confrontandosi con Polizia, Prefettura, Questura, agenzie funebri e autorità coinvolte. Una lotta costante tra queste mura per ottenere ciò che era giusto: procedure di rimpatrio nei Paesi di origine, costi a carico dello Stato, riconoscimento di tutte le vittime attraverso procedure chiare, accompagnamento dei superstiti in centri di accoglienza dignitosi. A fianco delle famiglie abbiamo sostenuto e portato avanti queste richieste, cercando di facilitare l’applicazione delle procedure.

Più volte ci è stato intimato di fermarci, accusate di istigare le famiglie a protestare. Ma è la stessa richiesta di verità e giustizia che ha spinto i familiari a prendere in mano la situazione e ad improvvisare un sit-in dinanzi al palazzetto del Palamilone, a Crotone, adibito a camera ardente da ormai un mese, quando minacciate dal vedersi portar via le salme senza il loro consenso, hanno indetto una protesta al suo esterno. I familiari non hanno mai smesso di presidiare per poter veder riconosciuti i loro diritti e quelli dei loro cari.

In tanti modi queste persone sono state raccontate da giornalisti e politici che ne hanno abbozzato caricature distorte e stigmatizzanti, di uomini e donne venuti dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Siria, dall’Iran. Da criminali e scafisti sino a uomini e donne “dannati e passivi”, sono stati descritti come esseri che abitavano precariamente questo spazio emergenziale, attraverso retoriche securitarie e paternaliste che hanno tentato di invisibilizzare l’essenza di queste persone, il loro coraggio, la resilienza, le forme di lotta e resistenza di cui si sono rese protagoniste.

Quello che abbiamo potuto osservare e che oggi possiamo affermare con certezza è che solo grazie alla loro presenza e alle loro rivendicazioni giustizia e verità stanno emergendo da questa tragica storia, attraverso un’azione dal basso delle famiglie in concerto con gli attivisti e le associazioni operative. In questo senso, il Palamilone è stato lo spazio di costruzione di una memoria collettiva e di elaborazione di una contro-narrazione di quanto accade nel Mediterraneo.

Crotone, protesta dei familiari per il rimpatrio delle salme. Foto di Silvia Di Meo

Cutro e la (necro)politica istituzionale

Mentre al Palamilone si svolgevano le procedure per il rimpatrio delle salme, a Cutro il 9 marzo si teneva il Consiglio dei Ministri (CDM). Il governo, occupando la sede comunale di Cutro per l’incontro istituzionale, bloccava quel giorno il faticoso lavoro di identificazione delle salme finalizzato al rimpatrio.

In quel luogo andava a formulare una risposta securitaria e violenta alle morti in mare: il DL 20/2023 “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”, entrato in vigore dall’11 marzo.

La contestazione a questo incontro formale non è mancata: le attiviste e gli attivisti “La base” di Cosenza insieme a cittadine e cittadini locali, hanno protestato nella piazza dove si è svolto l’incontro istituzionale, lanciando contro la passerella politica dei peluches, simbolo delle tombe bianche dei bimbi rinvenuti sulla spiaggia di Cutro.

Cutro, striscione degli attivisti cosentini nella giornata del CDM

In questa circostanza, lo sguardo pubblico su Cutro diveniva un’occasione politica per proporre – ancora una volta – una narrazione completamente distorta e mistificata delle migrazioni contemporanee, e delle morti in mare. Una narrazione fondata sull’esclusiva criminalizzazione di chi fugge, e di chi ne facilita lo spostamento a fronte di politiche di gestione delle frontiere criminali, che violano sistematicamente il diritto alla vita, il diritto di fuga, il diritto di asilo.

Il Ministro dell’Interno e il governo sollevavano ancora una volta il dubbio che la responsabilità dell’immane tragedia potesse essere delle vittime e delle persone sopravvissute. Nuovamente, si insisteva sul ruolo delle organizzazioni criminali che “eludendo i controlli dell’intelligence europea ed italiana”, costituirebbero il vero nemico da sconfiggere. E, infine, si tornava ad esprimere l’equazione infondata secondo la quale il blocco delle partenze risolverebbe il tema delle morti in mare.

In quella sala comunale, a pochi km dalla spiaggia dove hanno perso la vita decine di persone e dove il governo non si è recato, la criminalizzazione delle vittime, dei familiari e delle persone che attraversano le frontiere è stato l’ennesimo atto di violenza che lo Stato ha compiuto.

Questura di Crotone. Foto di Valentina Delli Gatti

3. Stato di decomposizione e disumanizzazione

Come operatrici di Mem.Med, insieme alle realtà solidali che per giorni hanno deciso di coabitare con il dolore e la sofferenza delle famiglie, con la confusione e la disorganizzazione con cui è stata data loro ospitalità, con la totale assenza di un dispositivo ed un protocollo in grado di accogliere le esigenze materiali di ricerca dei dispersi ed identificazione delle salme, abbiamo potuto testimoniare e sperimentare una macabra linea di continuità tra i corpi che il mare continuava (e continua) a restituire in stato di decomposizione e la decomposizione dello Stato di fronte ai diritti ed alle necessità delle famiglie.

Famiglie afghane osservano le operazioni di ricerca e recupero della Guardia Costiera. Foto di Silvia Di Meo

L’emergenza produce una confusionaria propulsione e un impeto interventista che chirurgicamente ha la funzione di nascondere la graduale erosione di garanzie e tutele che lo Stato riesce a riconoscere nei confronti delle persone migranti. Malgrado gli elementi simbolici non sempre siano il grado massimo di espressione utile a restituire la lettura più vicina al contenuto semantico e concreto dell’agire umano, si predispone ancora una volta come uno degli strumenti più immediati e verosimili per la descrizione di uno stato dell’arte che anche questa volta vede nascere fiori da uno Stato in putrefazione 6.

I momenti concitati dell’emergenza restituiscono il negativo della fotografia: lodi e ringraziamenti hanno un vuoto dietro di sé. Ciò che resta di una persona, al fratello, è un cordino in una busta trasparente 7. Perché l’altra faccia di uno stato in decomposizione è l’atto violento di disumanizzazione a cui destina le persone migranti e le loro famiglie. Nell’emergenza la struttura diseguale e disumana delle forme prevalenti dell’organizzazione politica contemporanea è sostanzialmente attraversata da un vuoto profondo e da un silenzio assordante al cui interno non c’è spazio per un risuonare sincero e reale.

La disumanizzazione graduale e chirurgica esercitata nei confronti delle persone migranti è il corrispettivo dell’umiliazione a cui vengono sottoposte, invece, le forme di organizzazione politica locali che operano una resistenza instancabile alle forze sociali e politiche che vorrebbero ridurre una tragedia senza tempo quale quella di Cutro ad un’emergenza da gestire.

Così, il Palamilone, adoperando ancora una volta le parole di un’operatrice che lo ha attraversato in lungo ed in largo per giorni, facendovi accadere numerosi incontri significativi ed eventi trasformativi, diventa da spazio dell’emergenza a luogo di lotta e resistenza 8.

Raccomandazioni e conclusioni

Un mese è passato da quel tragico giorno eppure, è ancora necessario agire, documentare, chiedere risposte istituzionali coerenti, chiare, efficaci. Come progetto Mem.Med esigiamo:

  • che le ricerche dei dispersi proseguano senza sosta e che le operazioni delle autorità competenti in mare e in terra vengano effettuate con la stessa attenzione dei primi giorni;
  • che ci si adoperi affinché i corpi non riconosciuti possano essere identificati quanto prima, coinvolgendo le famiglie che attualmente si trovano fuori dall’Italia o dall’Europa e lavorando a livello internazionale sulla comparazione dei dati;
  • che le salme non ancora rimpatriate e abbandonate nel Palazzetto dello sport di Crotone vengano trasferite in luoghi consoni al loro mantenimento e sepolte quanto prima nei luoghi prescelti dalle famiglie;
  • che venga fatta chiarezza sulle cause del naufragio e si risponda alla richiesta di verità e giustizia per le vittime della frontiera e per i loro familiari;
  • che questa strage stimoli la discussione e la riflessione sulla necessità e sull’urgenza di elaborare un protocollo di azione – che veda coinvolte istituzioni, enti non-governativi e società civile volto ad affrontare la questione delle morti di frontiera in maniera chiara e univoca. Un protocollo che possa garantire la tempestiva ed efficace messa in moto di una macchina coordinata pronta a restituire identità e nome alle vittime, rispondendo alle richieste delle famiglie che hanno il diritto di riportare a casa e commemorare i propri cari.
  • che questa strage sensibilizzi l’opinione pubblica, cieca e muta davanti alla normalizzazione della morte in frontiera e sia memoria di quello che le politiche migratorie europee non devono essere più.

Dietro le quinte e sotto i riflettori spenti sull’ennesima notizia di numerosi naufragi in mare, nel Mediterraneo e oltre oceano, mentre apprendiamo che diverse imbarcazioni hanno raggiunto le coste calabre di Roccella e Crotone, continuiamo la nostra lotta contro le politiche di morte e accompagniamo il lutto delle famiglie che in questi giorni hanno potuto garantire, grazie alle loro rivendicazioni, una degna sepoltura ad alcuni dei propri figli e figlie, sorelle e fratelli, madri e padri.

Una delle salme viene spostata dal Palamilone al cimitero di Crotone. Foto di Valentina Delli Gatti

Bologna, Al cimitero islamico sono seppellite 14 salme. Foto di Valentina Delli Gatti

Abbiamo imparato a pensare con dolore, lo abbiamo rimesso al mondo, per agire nel cammino solcato dalle famiglie verso la verità e la giustizia che queste morti ancora esigono. Del dolore e la sofferenza resta viva la memoria, che non tace rassegnata dinanzi all’indifferenza del potere ma si muove per ribaltare le trame tessute delle sue frontiere.

Il lavoro di Mem.Med non è terminato e non avrà termine fino a quando questi crimini non saranno arrestati e con essi i reali responsabili.

Oltre la morte, l’accettazione e il vano tentativo di seppellire il rispetto di chi è morto per una vita degna, c’è la cura di un germoglio che vive e cresce nel ricordo di chi resiste. Il nostro debito è immenso verso ognuna di loro, alla quale dedichiamo l’impegno e la promessa di memoria.

Attraverso il dolore che non conosce rassegnazione, Mem.Med continua a scegliere il luogo giusto, nel quale stare, nel quale agire, nel quale lottare, al fianco di chi si muove al margine senza comunque mai morire.

In memoria di ogni fiore del mare. Foto di Valentina Delli Gatti

6. I fiori del mare contro lo Stato di decomposizione. Da loro apprenderemo a sopravvivere e a lottare

7. Un cordino. Per una promessa di lotta. e il fratello morto nel naufragio: «Perché non ho potuto abbracciare mio fratello in un aeroporto? Perché?»

8. Il Palamilone: quando lo spazio dell’emergenza e del dolore si fa spazio di lotta e di resistenza. Le giornate di Cutro raccontate da dentro

 

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