Riprendo questa domanda per segnalare una delle più grandi e massicce risposte nonviolente dopo la liberazione dell’India nel 1947 grazie alle azioni portate avanti attraverso la guida di Gandhi e del Congresso Nazionale Indiano.

Tra l’altro nel caso che vado ad evidenziare non si potrà dire come spesso si usa fare, per sminuire la portata della lotta nonviolenta in India, che è riuscita perché dall’altra parte c’erano “i civili inglesi” (cosa non vera, ma non tema di questo intervento).

L’esempio che voglio citare è quello delle lotte nonviolente che hanno portato alla caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 e al disfacimento dei regimi comunisti nell’Est Europa coinvolgendo milioni di persone e riguardando la Germania dell’Est (DDR), la Polonia, la Cecoslovacchia (che tra l’altro si divise nel 1993 in due Repubbliche separate: Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca senza “colpo ferire”), le Repubbliche Baltiche (Lituania, Estonia e Lettonia), l’Ungheria e la Bulgaria. Non in Romania perché la caduta del regime rumeno non fu pacifica e nonviolenta.

In questo caso, che ha coinvolto milioni di persone, l’avversario era l’URSS oggi Russia che sicuramente non si può definire un avversario “gentile”.

Ricordo che la Russia aveva invaso l’Ungheria nel 1956, la Cecoslovacchia nel 1968, l’Afghanistan nel 1979 e imposto la dittatura militare alla Polonia tramite il generale Jaruzelski nel 1981.

Eppure le lotte condotte dai popoli dei rispettivi stati riuscirono a rovesciare tutti i regimi di cui sopra e presero nomi anche ispirativi: “la rivoluzione cantata” delle Repubbliche Baltiche, la “rivoluzione di velluto” della Cecoslovacchia, ecc.

Si svilupparono azioni nonviolente come la grande catena umana di più di 600 km che coinvolse 2 milioni di persone e collegò le tre capitali Tallinn, Riga e Vilnius.

Le azioni attuate in modo nonviolento

Sulla base di due principi cardine delle azioni: NON COOPERARE e NON OBBEDIRE (inosservanza di ordini e regole imposte dall’aggressore), non si contano i comitati, i gruppi nati in quel periodo o che ripresero più fortemente la loro attività per opporsi attraverso proteste di piazza; sciopero dei lavoratori; petizioni; elezioni non ufficiali dei propri rappresentanti in qualsiasi ambito; opposizione al servizio militare; occupazione di luoghi pubblici; difesa umana e con barricate di luoghi simbolo della nuova democrazia che si voleva; azioni simboliche come “funerali” o deposizioni di fiori in luoghi dove erano avvenute repressioni violente; emanazioni di regolamenti o vademecum per l’azione nonviolenta o per “resistere ad un colpo di stato”; indicazione di mantenere rapporti “freddi” con i militari o funzionari russi presenti in quei Paesi; promuovere l’elezione di organismi di governo non ufficiali e seguire le indicazioni dei governi “ombra” o dei Comitati invece che quelle formalmente legittime dei governi filorussi; modificare la segnaletica per indicare ai russi la “strada di casa”; sostenere pubblicamente le persone arrestate nelle azioni di repressione delle dimostrazioni o delle manifestazioni pubbliche; rifiutare onoreficenze; non partecipare ad elezioni o referendum richiesti dalla parte russa; documentare con foto o filmati eventuali azioni violente della polizia o dei militari russi; organizzare gruppi di persone da utilizzare per la difesa di personaggi politici democratici minacciati o di luoghi istituzionali democratici; cantare canzoni “simbolo” in adunate pubbliche.

Perché si è scelta la nonviolenza

Tutto questo è avvenuto utilizzando metodi non armati e nonviolenti e anche stavolta non perché la popolazione fosse pronta e preparata a questo tipo di azioni, ma perché:

  • vi erano leader consapevoli che portare lo scontro su un terreno armato avrebbe significato moltissimi morti e distruzioni con magari pochi o nessun risultato (gli esempi di quello che era accaduto prima erano chiari a tutti);
  • non erano pronti alla lotta armata, non avevano mezzi e non erano stati “imbottiti” di armi per pensare di poter vincere contro la repressione russa;
  • molti dei loro leader avevano sviluppato una forte ed importante riflessione sulle opportunità offerte da mezzi non-violenti e dalla consapevolezza che operando con queste modalità non avrebbero offerto pretesti all’avversario e avrebbero potuto indirizzare verso i propri movimenti una parte della popolazione che non aveva assunto posizione per svariate ragioni incluso l’indifferenza e la paura;
  • la vicina Europa Occidentale, la politica internazionale e la politica interna di cambiamento della Russia con Michail Gorbaciov erano sicuramente elementi più favorevoli per l’azione di protesta nonviolenta e pacifica;
  • la capacità dei gruppi e dei comitati di darsi una “disciplina nonviolenta” capace di resistere alle provocazioni degli avversari, agli infiltrati e in grado di non far emergere quelle figure che invece avrebbero preferito una risposta più forte e violenta alla situazione o alle situazioni in atto.

Conclusioni

Le lotte nonviolente non sono purtroppo “salvifiche”, ma richiedono comunque disponibilità al sacrificio e all’impegno più alto e anche in queste azioni sono morte persone, molte sono state ferite, incarcerate, torturate.

Nessuno qui ha la pretesa di “santificare” la nonviolenza, ma dobbiamo riconoscere almeno che riduce notevolmente il tasso di violenza utilizzato nei conflitti e che potrebbe essere uno strumento almeno da provare.

Se poi si predisponesse un serio programma di ricerca, preparazione, addestramento e coinvolgimento della popolazione forse potrebbe diventare anche una vera alternativa alla guerra e alla violenza. Bisogna però volerlo.

Raffaele Barbiero del Centro per la pace di Forlì

Riferimenti bibliografici:

Jelfs M., Tecniche di Animazione. Per la Coesione nel Gruppo e un’Azione Sociale Non-Violenta. Elledici, 2008 (ristampa);

Lombardi A., Manuale di addestramento alla difesa popolare nonviolenta. Edizioni Dissensi, Viareggio (Lucca), 2014;

La rivoluzione cantata, Estonia: https://singingrevolution.com/ ;

Eglitis Olgerts, Nonviolent Action in the Liberation of Latvia, The Albert Einstein Institute, Cambridge MA, USA, 1993 , leggere l’appendice da pag. 52 a pag. 65- (non reperibile in italiano e questo è già un indicatore).