La trasformazione socio-ecologica nelle città si riferisce al processo in cui sono affrontate le sfide ambientali e sociali, che interessano le aree urbane e periurbane, per giungere all’emersione, espansione e radicamento di comunità più sostenibili, eque e resilienti.

Gli studi scientifici, elaborati dalle più importanti e riconosciute istituzioni internazionali, ci dicono che i comportamenti adottati dall’uomo nelle sfere produttive e sociali stanno portando a conseguenze irreparabili che, se da una parte si manifestano attraverso evidenti alterazioni climatiche, ambientali e di drastica diminuzione della biodiversità, dall’altra ricadono sulla componente umana stessa, determinando l’impoverimento biologico e sociale della nostra specie e innescando una serie di reazioni che, in un vortice crescente, aggravano ricorsivamente la situazione.

È utile, a tal proposito, fare riferimento al complesso dei documenti facenti parte del Sixth Assessment Report 2022 del IPCC.[i] I quattro contributi sono:

  • AR6 Synthesis Report: Climate Change 2023
  • Working Group III Contribution. Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change;
  • Working Group II Contribution. Climate Change 2022: Impacts, Adaptation and Vulnerability;
  • Working Group I Contribution. Climate Change 2021: The Physical Science Basis

A fronte di tutto ciò, l’enunciato iniziale si può ulteriormente declinare nell’opportunità di ridurre gli impatti ambientali, provocati dagli esseri umani e le disuguaglianze sociali, legate a gradi di inclusività, discriminazione e povertà, attraverso una serie di politiche, strategie e iniziative come l’implementazione e il miglioramento di infrastrutture verdi, energie rinnovabili e trasporti sostenibili e parimenti la creazione di programmi basati sul coinvolgimento attivo della comunità, per sostenere contemporaneamente la giustizia sociale e quella ambientale.

La scelta del contesto urbano e periurbano è quasi scontata: nel 2050 saremo nove miliardi e settecento milioni di esseri umani sul pianeta Terra[ii] e circa il 68%, cioè sei miliardi e mezzo di persone, vivrà nelle città.[iii]

Si tratta, in ultima istanza, di favorire e aumentare il grado di benessere, sociale e ambientale, indissolubilmente correlati e interdipendenti, attraverso la costruzione di forti alleanze e reti tra governi locali, imprese, organizzazioni comunitarie e residenti, con l’obiettivo della trasformazione dei contesti delle città in contesti di vita vivibili e sani per tutti.

 

Per affrontare questo percorso abbiamo prima bisogno di osservare una serie di elementi macroscopici, ecologici e umani. Questo ci permette di porre le basi per approfondire il cuore della questione, cioè che questi elementi, gli uni senza gli altri, vicendevolmente, non possono portare a un flusso di trasformazione.

A tutti gli effetti, siamo all’interno di un processo culturale che, sebbene necessiti di un’espansione globale, trova la sua massima espressione nella dimensione sociale, quella delle policy, l’unica capace di esaltare le peculiarità virtuose dell’individuo e di generare, in potenza, un potere collettivo in grado di interfacciarsi con la sfera della politcs.[iv]

Qual è lo stato dell’ambiente del pianeta Terra?

Lo stato dell’ambiente del pianeta Terra è una questione sfaccettata. La crisi ambientale è parte di una più ampia crisi sistemica ed è un fenomeno complesso che l’uomo sta vivendo nel quotidiano, confrontandosi con l’istanza più evidente che si presenta ai suoi sensi, cioè che cosa fare per riconoscerla, affrontarla e trovare delle soluzioni di senso che permettano le migliori condizioni di vita sul pianeta.

In generale, l’ambiente terrestre sta attraversando numerose sfide, tra le quali spiccano i cambiamenti climatici, collegati alla presenza di diverse forme d’inquinamento. Queste situazioni e le relative dinamiche sono causate principalmente dalle attività produttive umane, attraverso l’utilizzo di combustibili fossili, le pratiche di deforestazione, l’utilizzo di prodotti tossici e via discorrendo. Parallelamente, l’aumento degli abitanti della Terra – che segue un andamento crescente – e la loro concentrazione in aree urbane, sempre più estese e dense, determinano un consumo enorme di risorse naturali.

La relazione tra questi due fronti causa un complesso di effetti che a loro volta agiscono in modo correlato e interdipendente:

  • gli squilibri ecosistemici

che si manifestano attraverso l’aumento delle temperature globali, gli eventi meteorologici estremi (ondate di caldo più intense, piogge improvvise, violente e devastanti), lo scioglimento dei ghiacci e il conseguente innalzamento del livello dei mari;

  • la perdita della biodiversità

che osserviamo sia nei complessi antropici sia negli habitat naturali. Questi ultimi, in particolare, rischiano la distruzione;

  • le implicazioni socio-economiche

che vanno dall’esaurimento degli stock ittici, alla perdita di fertilità dei suoli, con la conseguente minor disponibilità di cibo per tutti, fino a determinare comportamenti collettivi di grandissime dimensioni, come le migrazioni e a incidere sulla salute umana.

L’insieme di queste tre dimensioni determina un circuito di retroazione o feedback verso le condizioni del pianeta descritte nel primo paragrafo e può farlo in due modi: attraverso un feedback bilanciante, che mantiene la stabilità oppure con un feedback di rinforzo che amplifica e moltiplica le condizioni in un circolo virtuoso di crescita sana o vizioso, cioè distruttivo.

Tutto ciò determina impatti sui sistemi, che siano naturali o umani.

Un impatto è un urto, un incontro più o meno violento di un corpo con una superficie. In questo contesto, utilizziamo questo termine come la previsione attendibile dei danni socio-ecologici che possono essere prodotti sul sistema da una serie di eventi e che tipo di conseguenze possono essere generate.

Esistono però due variabili che possono incidere sugli impatti stessi e sono:

  • l’esposizione, cioè quanto ci siamo preoccupati o no di essere nelle condizioni di subire un impatto
  • e la vulnerabilità, cioè quanto siamo in grado di uscirne più o meno indenni.

Anche la triade impatti – esposizione – vulnerabilità determina un circuito di feedback e lo fa verso la triade squilibri ecosistemici – perdita della biodiversità – implicazioni socio-economiche, seguendo di nuovo il principio che questo circuito può essere di equilibrio o di amplificazione, negativa o positiva, a seconda di come cambiano i valori in gioco.

L’aspetto più inquietante di un problema che riguarda tutta la specie umana, parlando della casa comune in cui viviamo, la Terra, è che i paesi che storicamente più hanno contribuito a questa situazione[v] sono gli stessi che, in consessi tipo quello di Davos,[vi] dichiarano di non aver fiducia nell’efficacia delle politiche per il clima[vii] che, teoricamente, dovrebbero vederli protagonisti e risarcitori verso chi ha più patito gli effetti nefaste delle attività umane.

Conclusione

La comunicazione generalista raramente descrive l’insieme, il complesso della situazione in questo modo, per semplicità e opportunità.

Essa si limita a redigere vademecum titolati pressappoco 10 punti per salvare il pianeta che suggeriscono agli individui di ridurre gli sprechi alimentari, cambiare il sistema di trasporto, cambiare il tipo di alimentazione, piantare alberi, scegliere energie rinnovabili e via.[viii]

A livello di cronaca, invece, sono raccontati gli eventi climatici estremi che si succedono sempre più di frequente, come alluvioni, uragani, siccità prolungata che provocano danni idro-geologici e processi di desertificazione. Nei messaggi lanciati ai cittadini è sempre più presente l’elemento tempo: se non si provvede subito a cambiare i propri comportamenti, i processi in atto diverranno irreversibili, con un cambiamento totale delle condizioni di vita sulla Terra.

Ma, in questi stili comunicativi, non si evidenzia che «alcuni di questi effetti sono già irreversibili, come lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani» e che «quello che è ancora in nostro potere è provare a contenere la gravità di questi fenomeni».[ix]

 

 

[i] IPPC, Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite per la valutazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici, https://www.ipcc.ch/

[ii] UN, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2022). World Population Prospects 2022: Summary of Results.

[iii] UN, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2019). World Urbanization Prospects: The 2018 Revision

[iv] «Le due parole inglesi, policy e politcs, anche se in apparenza simili, hanno significati molto diversi. Policy è la ricerca di una via razionale per risolvere problemi complessi che coinvolgono società, economia e tecnologia. Politics è la ricerca di consensi popolari, e la loro aggregazione verso soluzioni che siano accettate anche se non necessariamente ottimali. In Italiano abbiamo una parola sola, politica, che rimanda direttamente alla Politics, dove credo e filosofie diversi finiscono spesso per essere un dato a priori che finisce per mettere in seconda linea la Policy», in https://www.linkiesta.it/blog/2011/07/policy-e-politics/.

[v] Hannah Ritchie, Who has contributed most to global CO2 emissions?, October 01, 2019.

«Gli Stati Uniti d’America hanno emesso più CO2 di qualsiasi altro paese fino ad oggi e sono responsabili del 25% delle emissioni storiche; il dato degli USA è il doppio della Cina, il secondo contributore nazionale al mondo; i 28 paesi dell’Unione Europea (UE-28) contribuiscono storicamente per il 22%; grandi emettitori di CO2 annuale odierni – come l’India e il Brasile – non sono grandi contributori in un contesto storico; il contributo regionale dell’Africa, rispetto alle dimensioni della sua popolazione, è stato estremamente ridotto, pesando per lo 0,01%», in https://ourworldindata.org/contributed-most-global-co2.

[vi] Il WEF, World Economic Forum, coinvolge i principali leader politici, economici, culturali e della società civile per dare forma alle agende globali, regionali e di settore, nell’incontro annuale che si tiene a Davos. Annualmente redige The Global Risks Report, la relazione che valuta i rischi che hanno rilevanza intersettoriale, potenzialmente capaci di causare gravi sofferenze umane, https://www.weforum.org/

[vii] Nell’orizzonte temporale breve (0-2 anni) è dichiarato come rischio percepito l’incapacità dei governi e delle imprese di imporre, attuare o investire in un cambiamento climatico efficace e in misure di adattamento e mitigazione; di preservare gli ecosistemi; di proteggere le popolazioni; di avviare la transizione verso un’economia a emissioni zero. Stati Uniti d’America, Germania, Francia, Canada e Italia lo annoverano tra i primi cinque rischi.

[viii] Si vedano alcuni esempi:

[ix] Suman Francesco, Quando il cambiamento climatico diventerà irreversibile?, in https://ilbolive.unipd.it/it/news/quando-cambiamento-climatico-diventera