Dalla Rete Umanista di Notizie sulla Salute REHUNO Salud lanciamo un ambito di scambio, nel quale ritroviamo uno sguardo innovativo sulla vita di tutti i giorni, basato su una psicologia esperienziale ed esistenziale (la Psicologia del Nuovo Umanesimo), che fornisce una serie di proposte concrete di lavoro personale per giungere a un senso pieno della nostra esistenza e a una vita libera da sofferenze inutili. Non si tratta, pertanto, di una psicologia terapeutica né si occupa di patologie, ma si rivolge a chiunque voglia comprendere sé stesso e avere gli strumenti, se lo desidera, per avviare un cambiamento positivo nella propria vita. Il benessere psicologico è certamente alla base della salute integrale e per questo è un aspetto al quale aspirare.

Ti invitiamo a mettere in pratica queste proposte e a contattarci per raccontare la tua esperienza. Scrivici!

Oggi parleremo di uno degli argomenti cardine per comprendere come funziona la nostra coscienza e capire le radici dei nostri conflitti: il possesso.

Le tensioni (di cui abbiamo parlato negli articoli precedenti) hanno fondamentalmente a che fare con desideri e aspettative su qualcosa che si vuole ottenere o con la paura che tali desideri o aspettative non vengano soddisfatte. Per esempio, supponiamo che io voglia ottenere qualcosa che ancora non possiedo, che sia un oggetto, una certa situazione oppure una persona. Nel momento in cui cerco di ottenere questo qualcosa, in me si genera una tensione di ricerca normale e proporzionale al suo ottenimento.

Nel momento in cui ottengo l’oggetto anelato, la tensione sparisce. Se l’“oggetto” ottenuto ha un grande valore per me, nel momento in cui lo ottengo nasce la paura di perderlo, e questo genera altra tensione, in questo caso di perdita. In entrambi i casi, l’intensità delle tensioni sarà direttamente proporzionale al valore o all’importanza che riveste per me l’oggetto in questione.

Quando parliamo di “oggetto” ci riferiamo a un oggetto mentale

Una persona è un oggetto mentale per la nostra coscienza. Anche un luogo è un oggetto mentale, come lo è una situazione, un lavoro, e addirittura qualcosa di intangibile come il prestigio, la giustizia, il silenzio. Per la nostra coscienza sono tutti oggetti mentali suscettibili di essere desiderati, ottenuti, e anche persi.

Facciamo l’esempio di una persona a cui tengo e con la quale desidero stare, con la quale voglio avere una relazione, condividere la mia vita, addirittura formare una famiglia e invecchiare insieme in armonia e amore eterni. Bene, possiamo esprimere tutto questo in forme diverse, una migliore dell’altra, ma in fondo c’è sempre la tensione di “ottenere” la presenza fisica di quella persona e quelle immagini di futuro per me idilliache che associo a lei/lui. Percepisco la tensione che provo nell’ottenere tutto questo, non solo la persona, ma anche tutto quello che una relazione con essa può prefigurare. Se tutto va bene, man mano che creo e consolido la relazione, scompare la tensione per ottenerla, perché ovviamente sento di “averla”.

In ogni caso, rimane la tensione di ottenere tutto quello che io associo a quella relazione (famiglia, vita, futuro…). Tuttavia, si fa strada una nuova tensione che prima non c’era e cioè quella della paura che la relazione finisca e con essa tutto ciò che comporta, il timore di perdere quell’ “oggetto” con tutto quello che ne consegue, che ormai fa parte del mio mondo interno ed esterno, tramite il quale percepisco che “lo possiedo”. E se lo possiedo, posso perderlo e quindi compare la paura.

Le relazioni di coppia sono pervase da espressioni di possesso

«Sono tuo», «Sei mio/a», «Mi appartieni», «Sei la mia vita», ecc., ecc. La narrativa del possesso nel presunto amore è infinita. Parlo di “presunto amore”, perché, in fondo, quello che cerchiamo è «avere» l’altro, possederlo, mentre l’amore, se è vero amore, è disinteressato. Ma di questo parleremo in un’altra occasione.

Accade la stessa cosa con un lavoro di cui ho bisogno per vivere e che quando lo ottengo temo di perdere, con tutto quello che presuppone per la mia sopravvivenza. E che dire del prestigio? Quanta energia, quanta tensione si impiega quotidianamente per ottenere il prestigio sociale, un riconoscimento collettivo, un’acclamazione o un plauso da parte di coloro a cui teniamo che elevi la nostra immagine. Quanta tensione c’è di fronte al timore di perdere quel prestigio una volta ottenuto. Come potete vedere, si tratta di un oggetto intangibile, qualcosa che non si trova da nessuna parte. Di fatto è quasi qualcosa di inesistente, ma per la coscienza continua a essere un oggetto mentale e anche molto desiderato.

Indubbiamente, ognuno è differente e ha i propri gusti, i propri progetti, i propri oggetti del desiderio e le proprie immagini del futuro. Un oggetto che per una persona ha un valore molto alto (e per il quale quella stessa persona prova una tensione molto alta, sia per il fatto di volerlo possedere sia per il timore di perderlo), per qualcun altro può non avere alcuna importanza, per cui non proverà nessuna  tensione. L’intensità di alcune tensioni altro non è che il riflesso dell’intensità del desiderio che c’è dietro a determinati oggetti. Le ambizioni per le quali qualcuno darebbe la propria vita sono considerate ridicole da altri. Tale è la diversità umana e la sua incomprensione, motivo di tante battaglie.

Desideri e paure che generano tensione

Potremmo continuare con una moltitudine di esempi di oggetti del desiderio, molti dei quali totalmente illusori. In tutti i casi scopriremmo la stessa cosa: desideri e paure che generano tensione. E quando questa tensione diventa eccessiva, quando supera determinati limiti, può sfociare in atti di violenza. Il meccanismo del possesso e delle eccessive tensioni che esso genera non producono solo violenza fisica contro gli altri, ma anche violenza psicologica, violenza sessuale o di genere (a causa di desideri o paure che si vogliono imporre nella coppia), violenza economica contro altri (per lo smisurato desiderio di ricchezza), violenza razziale (per paura del diverso) o violenza morale (per imposizione ad altri di credenze, norme e idee).

Il meccanismo del possesso è molto semplice. Una tensione molto fisica che si basa sul desiderio e sulla paura, e che è sempre alla base di tutti i nostri meccanismi di coscienza. Tutto quello che facciamo e tutto quello con cui abbiamo a che fare nella nostra vita ricade nel campo del possesso. Tutto quello che ci passa davanti viene automaticamente valutato e misurato con il metro della nostra miriade di desideri e con il fatto di riuscire o meno a tenere lontane le nostre paure. È un lavoro che la coscienza fa in ogni momento e in modo automatico, senza che nessuno lo chieda. E quando questo impulso è eccessivo genera qualsiasi tipo di conflitto e violenza.

Cosa possiamo fare, allora, se si tratta di un meccanismo inevitabile?

Prima di tutto, è necessario capire come funziona il meccanismo in ognuno di noi. Quali sono i nostri maggiori oggetti del desiderio, le nostre più grandi paure e anche quello che per noi ha meno importanza, suscita meno tensione. I desideri non possono essere superati, perché senza di essi non esisterebbero nemmeno i progetti, la ricerca, non ci sarebbe alcuna attività, nessuna evoluzione, alcuna dinamica…, insomma, non ci sarebbe vita.

Ma possiamo fare qualcosa: “Elevare il desiderio”. Cosa significa elevare il desiderio? Significa che invece di opporsi o lottare contro qualcosa di inevitabile come il meccanismo del desiderio (vedi I Principi dell’Azione Valida), possiamo sfruttare la forza di questo impulso e darle una nuova direzione (come accade nelle arti marziali), ovvero fare in modo che i desideri puntino a oggetti e obiettivi più elevati, più interessanti.

Desiderare una nuova direzione, dare un senso nuovo alla nostra vita che punti alla coerenza e a trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi, per esempio; o desiderare un mondo più giusto e più umano per tutti, ecco un altro esempio.

Volgiamo l’attenzione e il desiderio verso una direzione che vada al di là di noi stessi, del nostro mondo immediato e che guardi agli altri, proponendo un cambio di direzione positivo. Quando desideriamo questo tipo di cose siamo consapevoli che potremmo anche non ottenerle, ma sappiamo che già il fatto di percorrere quel cammino è coerente di per sé, a prescindere dal risultato che otteniamo. In questo modo, invece di combattere i desideri (qualcosa di impossibile) li eleviamo e lavoriamo per cause nobili.

Di Jordi Jiménez

REHUNO SALUD

Traduzione dallo spagnolo di Ada De Micheli. Revisione di Thomas Schmid