Il regista Jaafar Penahi è stato rilasciato su cauzione dal famigerato carcere di Evin, dopo che lo scorso primo febbraio aveva dichiarato lo sciopero della fame.
Era stato arrestato lo scorso luglio per una dichiarazione di solidarietà con altri due colleghi arrestati, Rasolouf e Al-Ahmad.
Un giudice gli ha ripescato una vecchia condanna a 6 anni di reclusione, risalente al 2011, per propaganda contro il regime. “Senza libertà, non vale la pena vivere”, è stato il messaggio di Penahi trasmesso tramite i suoi avvocati.
Penahi è un regista di fama internazionale.
È stato assistente del maestro del cinema iraniano Kiarostami.
Ha vinto il Leone d’Oro al Festival di Venezia nel 2000 con “Il Cerchio” e nel 2006 l’orso d’argento per la miglior regia a Berlino con “Offside” e nel 2015 l’orso d’oro con “Taxi Teheran”.
Oltre a tantissimi premi in giro per il mondo, dal Giappone all’America Latina.
A Venezia, l’anno scorso è stato presentato in anteprima, mentre lui era in carcere, il suo film “Gli orsi non esistono”, in cui interpreta una versione romanzata di sé stesso mentre gira un film lungo il confine tra Iran e Turchia.
La solidarietà del mondo del cinema internazionale ha dato i suoi frutti e Penahi, malgrado la dura condizione delle libertà in Iran, è libero e non ha nessuna intenzione di cedere all’arroganza dei barbuti.
Sono deteriorate invece le condizioni di salute di un altro detenuto politico.
L’avvocato Farhad Meisami, 53 anni, è un difensore dei diritti delle donne ed è stato arrestato nel 2018, per la sua strenua opposizione all’imposizione del velo.
Anche dal carcere si batte per la fine delle detenzioni arbitrarie e chiede al regime di mettere fine alle esecuzioni.
Ha iniziato lo sciopero della fame e le foto che sono trapelate dal carcere, pubblicate dal sito della BBC in persiano, lo mostrano con un corpo scheletrico.
L’eminente oppositore Mir Hossein Mussawi (82 anni), primo ministro dal 1981 al 1989 durante la guerra Iran-Irak, poi consigliere del presidente fino al 2005, fondatore del movimento “onda verde” che contestò nel 2009 l’elezione di Ahmadenejad, ed attualmente agli arresti domiciliari da 10 anni, ha lanciato un appello reclamando “una nuova Costituzione per salvare l’Iran”. “Il paese ha bisogno di una trasformazione radicale sulla scia dell’attuale rivolta che porta le parole d’ordine: donna, vita, libertà”, ha scritto.