Il clamore mediatico per ciò che è accaduto il giorno di Natale con l’evasione dall’Istituto Penale Minorile “Cesare Beccaria” di Milano è del tutto scomparso con il rientro nell’istituto di tutti i 7 ragazzi che erano scappati.
Sui minori costretti a stare nei 17 Istituti Penali Minorili italiani (IPM)è così ripiombato il solito assordante silenzio. Eppure, da anni c’è chi cerca- spesso nel disinteresse generale- di puntare un faro sulle ombre di questi istituti e cercare di fare proposte concrete di cambiamento.
E proprio a questo istituto come a tutti gli altri il Rapporto 2022 “Ragazzi dentro” di Antigone aveva dedicato particolare attenzione, evidenziando, tra l’altro, come il Beccaria sia in perenne ristrutturazione (da 15 anni) e che: ”Il cantiere a cielo aperto che interessa buona parte dell’IPM è sintomatico di un istituto in eterna transizione, con una direzione ‘a scavalco’ con altri istituti e la scelta di trasformare il Centro di prima accoglienza in reparto isolamento Covid.
Piuttosto ambigua la gestione degli spazi detentivi attigui all’infermeria.
Si tratta di celle chiuse e più anguste di quelle dei reparti ordinari che ospitano ragazzi non solo per ragioni sanitarie ma anche disciplinari e di mera organizzazione degli spazi.
Le tante attività trattamentali proposte faticano a tradursi in percorsi significativi di inserimento lavorativo”.

Qui il Rapporto di Antigone “Ragazzi dentro”: https://www.ragazzidentro.it/ .
L’impianto giuridico minorile italiano è senz’altro tra i più avanzati al mondo e il numero degli ingressi negli IPM si è dimezzato negli ultimi 10 anni.
Tuttavia, le carceri per i minorenni in Italia negli ultimi anni sembrano aver peggiorato le loro condizioni e la loro inadeguatezza nell’accogliere questi ragazzi, al punto da far dire a Don Gino Rigoldi, cappellano da ben 52 anni del Beccaria, che questo istituto va chiuso, che vanno chiusi tutti gli IPM, perché non servono.

Ma quanti sono le ragazze e i ragazzi detenuti nei 17 IPM?

Al 15 gennaio 2022, secondo il rapporto di Antigone, i 316 minori e giovani adulti detenuti erano distribuiti in 17 istituti, da Caltanissetta a Treviso, in strutture con caratteristiche e dimensioni anche molto diverse tra loro (la maggior parte dei ragazzi ristretti negli Istituti penali per minorenni non è in effetti minorenne: i maggiorenni erano al 15 gennaio il 58,5%).
Quello con più presenze era l’IPM di Torino, che ospitava 38 detenuti, mentre alla stessa data a Pontremoli, unico IPM esclusivamente femminile in Italia, c’erano solo 3 ragazze. In tutta Italia quel giorno le ragazze detenute erano 8, per la metà straniere. Complessivamente gli stranieri erano 140. Si tratta di numeri significativamente più bassi rispetto a quelli che si registravano in passato, confermando un calo che si registra ormai da tempo. Si ricorderà che con la Legge 117/2014 il limite massimo per la permanenza nel circuito penale minorile per i soggetti che abbiano commesso reati da minorenni è stato portato da 21 a 25 anni di età e, come era ovvio, i numeri delle presenze in IPM sono subito cresciuti: se questo cambiamento non ci fosse stato, ed oggi come prima della riforma nei minorili ci fossero solo ragazzi tra i 14 ed i 21 anni di età, i presenti sarebbero in tutto 259, 100 in meno del dato più basso mai registrato prima della pandemia.
La distribuzione nel Paese resta significativamente disomogenea: il sud e le isole ospitano ben più della metà degli istituti, 10 su 17, e oltre la metà delle presenze, il 55,9%. Un dato rilevante soprattutto se confrontato con il totale dei giovani in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni alla stessa data. Erano 13.800 e di questi solo il 47,6% era in carico ad uffici del sud o delle isole, mentre ben più della metà era in carico agli uffici del centro e del nord, aree in cui evidentemente le opportunità per percorsi alternativi al carcere sono più diffusi.
La maggior parte di questi ragazzi, il 52,5%, era in IPM senza una condanna definitiva e se paragoniamo questo dato a quanto si registra nelle carceri per adulti, dove le persone senza una condanna definitiva sono attorno al 30%, già molte rispetto alla media europea, il dato degli IPM dovrebbe allarmare.
Per quanto riguarda i reati per cui sono detenuti i ragazzi in IPM, Antigone considera gli ingressi nel corso del 2021, osservando come la netta prevalenza dei delitti a carico di chi entra riguardi, per il 54%, i delitti contro il patrimonio, una percentuale sale al 60% per gli stranieri e addirittura al 73% per le ragazze. I reati contro il patrimonio sono seguiti da quelli contro la persona, che sono in media all’origine del 20% degli ingressi, percentuale che in questo caso scende al 18% per gli stranieri e addirittura all’8% per le donne. Appare rilevante anche il fatto che ben il 34,6% delle persone che entra in IPM viene da una comunità, la maggioranza di costoro, il 30,8% degli ingressi, per aggravamento temporaneo della misura cautelare del collocamento in comunità.
Il Rapporto di Antigone considera anche le 637 comunità residenziali disponibili all’accoglienza di minori o giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali. Di queste, solo tre – a Bologna, Catanzaro e Reggio Calabria – sono gestite direttamente dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità del Ministero della Giustizia. Le altre 634, censite in un elenco semestralmente aggiornato, sono strutture private che vengono accreditate dal Ministero a svolgere questo compito. La dislocazione delle comunità private è disomogenea: ne conta ben 118 la Lombardia, mentre in Calabria ne troviamo solo 11, 74 in Sicilia, 25 in Sardegna, 50 in Emilia-Romagna e 30 nel Lazio. Al 15 gennaio 2022, erano 923 i ragazzi sottoposti a misure penali ospitati da comunità (di cui 17 nelle tre comunità ministeriali). Di questi, 196 si trovavano in Lombardia, 125 in Campania, 120 in Sicilia. Nessuno in Molise, 3 in Trentino Alto Adige, 4 in Basilicata, 6 in Friuli Venezia Giulia.
Il 50,6% dei delitti che hanno comportato il collocamento in comunità nel corso del 2021 erano delitti contro il patrimonio (innanzitutto la rapina, nella metà dei casi, e a seguire il furto). Il 21,7% erano invece delitti contro la persona (lesioni personali volontarie in oltre la metà dei casi), il 12,5% riguardavano la violazione della normativa sugli stupefacenti, il 4,9% i maltrattamenti in famiglia e stessa percentuale per la violenza o la resistenza a pubblico ufficiale.

Cosa fare per cambiare almeno un po’ lo stato delle cose?

Susanna Marietti e Alessio Scandurra nella premessa al Rapporto scrivono che serve “un regolamento penitenziario che sia specifico per le carceri minorili e che guardi ai bisogni peculiari dei giovani detenuti”.
Un regolamento- continuano Marietti e Scandurra- per “la gestione dell’inserimento scolastico, la gestione del lavoro e della formazione professionale, i contatti con le famiglie, la sessualità, il sistema disciplinare, gli spazi detentivi e collettivi, la prevenzione e l’educazione sanitaria, la presa in carico psicologica, il momento dell’accoglienza e quello della dimissione: questi e altri sono ambiti nei quali le disposizioni regolamentari devono saper guardare ai bisogni specifici delle carceri minorili”. Un regolamento auspicato anche dalla Commissione ministeriale per l’innovazione penitenziaria presieduta dal professor Marco Ruotolo:
(https://www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_RUOTOLO_relazione_finale_17dic21.pdf).