Il ministro dell’Interno ad Agrigento non giustifica i porti di destinazione “vessatori” e nasconde la crisi dei centri Hotspot, mentre il Presidente del consiglio rimane bloccata sul fronte europeo

1. Dopo la riunione del Comitato ordine e sicurezza pubblica ad Agrigento, alla quale ha partecipato anche il sindaco leghista di Lampedusa, il ministro dell’interno ricorre ancora una volta ad una mistificazione dei fatti e giustifica l’assegnazione, soltanto alle navi del soccorso civile, dunque discriminatoria, di porti di destinazione lontanissimi dalle aree di soccorso, costringendole a lunghe navigazioni mentre infuriano le burrasche invernali e poi, nelle comunicazioni alla stampa, facendo riferimento soltanto ai pochi naufraghi salvati dalle Ong.  Un tentativo grossolano del capo del Viminale per negare il default dei centri Hotspot ubicati in Sicilia ed in Puglia, per nascondere all’opinione pubblica altre 3000 persone soccorse in alto mare da Guardia di finanza e Guardia costiera o arrivati in autonomia nei primi giorni dell’anno.

Piantedosi ha così dichiarato: “facciamo le cose in modo responsabile Puntiamo ad un’equa distribuzione su tutti gli altri luoghi di possibile sbarco, con il compito di sgravare Sicilia e Calabria, che non devono essere condannate ad essere il campo profughi dell’Europa”. Di equo non si vede davvero nulla, mentre dal governo la Meloni lancia ancora accuse diffamanti di collusione con i trafficanti. Eppure sono proprio i dati ufficiali del Viminale che confermano come le ONG non costituiscano un fattore di attrazione delle partenze (pull factor), e documentano la percentuale sempre più ridotta dei naufraghi soccorsi dalle navi civili, rispetto alle persone soccorse dalla Guardia di finanza, dalla Guardia costiera, o arrivate sulle coste italiane con mezzi autonomi.

In realtà la Sicilia e la Calabria, se rischiano di diventare “il campo profughi dell’Europa”, lo rischiano per le politiche di contrasto dei soccorsi umanitari che hanno spezzato ogni possibilità di dialogo con l’Unione Europea e con i principali Stati europei in vista di una ricollocazione dei richiedenti asilo dopo lo sbarco in Italia. La situazione catastrofica che si registra nei centri hotspot siciliani e pugliesi è poi frutto della progressiva demolizione dei sistemi di prima accoglienza in Italia, avviata da Minniti e da Salvini, e proseguita, negli anni della pandemia, con l’esperienza, devastante per le persone che ne sono state oggetto, e dispendiosa per i contribuenti italiani, delle navi quarantena. Il regime giuridico dei centri Hotspot, al di là del limitato richiamo che ne fa ancora oggi l’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione, rimane così sostanzialmente affidato alla discrezionalità delle autorità amministrative, e al vertice della catena decisionale rimane esclusivamente il ministero dell’interno, che poi opera attraverso le prefetture, senza alcun ruolo degli enti locali. Se tutta l’attenzione viene concentrata sugli sbarchi delle poche decine di naufraghi ancora soccorsi dalle ONG, rimangono nell’ombra gli abusi che si consumano dopo lo sbarco delle persone a terra, e le condizioni indegne in cui vengono accolte, più spesso trattenute, queste persone, che già hanno vissuto in Libia gli orrori inimmaginabili accertati dalle Nazioni Unite.

Le condizioni di trattenimento appaiono poi altrettanto vessatorie ed arbitrarie per i cittadini di nazionalità tunisina, per i quali il passaggio nell’hotspot è spesso un tempo di attesa per successivo un internamento in un centro per i rimpatri (CPR), per un provvedimento di respingimento differito, o per l’accompagnamento forzato in frontiera. Eppure proprio per il trattenimento e il respingimento differito di cittadini tunisini l’Italia è stata condannata nel 2016 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo.

 

2. Nuovi sviluppi politici per un Patto europeo sulla migrazione? L’incontro della Presidente del Consiglio Meloni con la Presidente della Commissione europea Von der Leyen ha riportato l’attenzione dei media sul nuovo Patto europeo sull’immigrazione, che la Presidenza svedese del Consiglio europeo ha deto che non potrà essere varato prima del 2014. Una riforma del Regolamento Dublino III n.604 del 2013 non sembra davvero in vista. Come non si vedono aiuti per supportare ulteriormente l’Italia nel cd. approccio Hotspot (punti di crisi), come si è fatto invece con la Grecia.

Con il Patto europeo sulle migrazione e l’asilo presentato dalla Commissione nel settembre del 2020 la priorità della funzione Hotspot passava definitivamente dalla prima identificazione attraverso il prelievo delle impronte digitali per la redistribuzione dei richiedenti asilo nei diversi paesi europei, evitando movimenti secondari irregolari, alla realizzazione delle operazioni di respingimento e di rimpatrio, con una maggiore collaborazione con i paesi terzi in base ad accordi di riammissione. Secondo la proposta della Commissione, “Per coloro la cui domanda è stata respinta nell’ambito della procedura di asilo alla frontiera, si applicherebbe immediatamente una procedura unionale di rimpatrio alla frontiera: ciò eliminerebbe i rischi di spostamenti non autorizzati e invierebbe un chiaro segnale ai trafficanti. Si tratterebbe di uno strumento particolarmente importante per le rotte sulle quali vi è un’elevata percentuale di richiedenti asilo provenienti da paesi con un basso tasso di riconoscimento”.

Si profila anche la possibilità di concludere accordi con i paesi terzi (esternalizzazione) per l’apertura di Hotspot al di fuori delle frontiere esterne dell’Unione europea, sempre allo scopo di ridurre le partenze e favorire i rimpatri verso i paesi di origine. Proposte già respinte ai mittenti da tutti i paesi nordafricani, che nel frattempo da paesi di emigrazione sono diventati a loro volta, paesi di transito. La proposta si inquadra peraltro nell’ambito di un nuovo Regolamento europeo sulle procedure di asilo che non è stato ancora adottato. E si collega direttamente alla riforma del sistema Dublino, che sembrava vicina ad una conclusione già nel 2020, ma che sino ad oggi rimane accantonata, come è stato confermato per tutto il 2023 dalla nuova Presidenza svedese del Consiglio dell’Unione Europea . Gli indirizzi maturati a livello europeo spingono oggi, nelle prassi applicate dalle autorità amministrative, verso “procedure accelerate” in frontiera con una ulteriore caratterizzazione dell’approccio Hotspot verso l’esecuzione di misure di rimpatrio (return).

Dal Viminale, con il nuovo governo Meloni, sono arrivate soltanto proposte di ripristino dei cd. Decreti sicurezza adottati nel 2018 e nel 2019, e fantomatici auspici, già oggetto di campagna elettorale, rivolti alla istituzione di centri Hotspot al di fuori dell’Unione Europea, nei paesi di transito, che però non hanno mai dato la loro disponibilità ad accettare nel loro territorio questo tipo di strutture detentive, e che peraltro non sono firmatari della Convenzione di Ginevra sui rifugiati ( come la Libia) o non vi danno una effettiva attuazione, come l’ Egitto, la Tunisia e l’Algeria. Adesso il governo Meloni, al di là delle decisioni in materia economica già concordate dal precedente governo Draghi, si trova in una situazione di stallo completo sui principali dossier che riguardano l’immigrazione e l’asilo, ed incontro dopo incontro, questo isolamento emerge sempre più evidente, a parte le foto con i sorrisi di convenienza opportunamente distribuite alla stampa.

 

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