Mursaal Nabizada aveva 32 anni così come puoi averli in una condizione che ti mette a dura prova e brucia le tappe della crescita. Qualche anno prima (2018) era stata eletta al Parlamento dell’Afghanistan. Ma non come talvolta succede da noi perché sei vicina alla direzione del partito o perché ti sei conquistata la simpatia del leader. La sua non era stata una scalata. Era passione allo stato puro.

Tutti riferiscono che, all’indomani del cambio di regime, pur avendo avuto la possibilità di lasciare il Paese, scelse di non abbandonare il suo popolo. I proiettili di coloro che nascondono la sete di potere dietro un fondamentalismo religioso fanatico e cieco l’hanno raggiunta con un killer direttamente a casa.

Quella di Mursaal Nabizada è una morte che ha il sapore della santità. E non importa se laica o di una religione diversa. Certe scelte di vita sono universali al punto da umiliare le nostre grettezze mentali, politiche, sociali. Alla fine Mursaal è vittima dell’uragano provocato nel suo Paese non solo dai Taliban ma anche dalle potenze straniere, Usa in testa, che quel territorio lo hanno bombardato, invaso, cercato di controllare e abbandonato al proprio destino lasciandolo peggiore di come lo avevano trovato 20 anni prima.