Il 2022 si è concluso il 30 dicembre con una sentenza del tribunale birmano che ha condannato Aung  San Suu Kyi, 77enne, ad ulteriori anni di prigione che sommano ad un totale definitivo di 33 anni. Il 1° febbraio ricorrono due anni dal golpe militare in Myanmar. I sostenitori di Suu Kyi affermano che i numerosi capi di imputazione contro di lei e i suoi alleati politici sono un tentativo di legittimare la presa del potere da parte dei militari e nello stesso tempo di eliminarla dalla scena politica prima delle elezioni promesse per il 2023. La recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la prima sul Myanmar in 75 anni, come la recente legge degli Stati Uniti sul Myanmar, chiede la liberazione di tutti i prigionieri politici e il ripristino della democrazia. Avranno ascolto?

Riporto qui di seguito le notizie riferite dall’ex-senatrice Albertina Soliani, presidente dell’associazione parlamentare Amici della Birmania dal 2008 al 2013 e ancora attiva nel tenere alta l’attenzione su quanto accade ad Aung San Suu Kyi e il suo popolo.

Resistenza   

Dopo il golpe per la prima volta l’intero popolo del Myanmar ha opposto resistenza ai militari e tuttora continua. L’opinione pubblica mondiale sa molto poco della scelta del popolo del Myanmar di rigettare il golpe militare, di impedire che si impadronisca del Paese ed eserciti il potere, della scelta delle nuove generazioni di respingere il potere dell’esercito sul loro futuro, a prezzo della vita.

Così scelgono i giovani, che hanno apprezzato negli ultimi anni la libertà, che sono connessi con il mondo, che sognano una vita migliore. Così scelgono gli adulti, che desiderano per i loro figli una vita diversa da quella dei genitori e dei nonni, vissuti per 60 anni sotto il regime militare. Così hanno deciso le donne, protagoniste attive della resistenza, alcune comandanti dei gruppi armati, o dedite all’organizzazione sanitaria e degli aiuti, nelle strade come nella foresta.

Sono iniziati gli arresti, le uccisioni. La prima a essere uccisa in una manifestazione a Naypyidaw è stata Mya Thwate Thwate Khaing, il 9 febbraio 2021, due giorni prima del suo ventesimo compleanno.  Più di un anno e mezzo dopo, gli arresti sono più di 12.000, più di 2.200 le vittime civili, secondo le stime puntuali dell’Assistance Association for Political Prisoners (AAPP).

Con gli arresti sono iniziati i processi, le condanne, le esecuzioni. Almeno 90 le condanne a morte, alcune eseguite. Le prime dopo 40 anni. Le ultime sono state eseguite, dopo un’attesa angosciante, il 23 luglio 2022. Sono stati giustiziati: Kyaw Min Yu, noto come Ko Jimmy, Phyo Zeya Thaw, Hla Myo Aung e Aung Thura Zaw.

Queste parole ci ricordano tristemente che quanto sta accadendo nei Paesi limitrofi al Myanmar, Iran e Afghanistan non è isolato. La ribellione e la resistenza delle donne e dei giovani alla dittatura, alla soppressione delle libertà e dei diritti è una triste realtà in quella parte martoriata dell’Asia.

Il ruolo delle donne

Come affermato da numerose analiste, le donne in Birmania hanno assunto un ruolo prominente nella Resistenza contro la giunta militare subito dopo il colpo di stato che ha estromesso Aung San Suu Kyii e il suo partito dal governo, il 1° febbraio 2021. Le donne sono state strumentali nella lotta contro la brutalità e l’oppressione della giunta militare sia nelle manifestazioni nonviolente sia combattendo all’interno dell’esercito di difesa popolare e del governo clandestino di unità popolare (NUG). Alcune di loro combattono nell’unità femminile chiamata Myaung Women Warriors, altre nelle zone urbane, dove gli uomini sono presi di mira regolarmente dal regime e aiutano nel trasporto di vettovaglie fino alle linee del fronte.

Secondo osservatori nazionali e internazionali il 60% dei dimostranti sono donne e sono il 50% tra le persone arrestate.  Erano donne le impiegate statali del Ministero dell’Educazione che per prime sono scese in piazza a denunciare il colpo di stato, lo stesso nel mondo accademico.

La milizia di tutte donne che combatte contro la giunta è formata da studentesse, insegnanti, contadine. Anche nel martoriato Stato del Rakhine le donne si uniscono all’armata di resistenza.  Le donne, non solo sono sulla linea del fronte, ma anche nella retroguardia per coordinare i servizi sociali, la distribuzione dei beni umanitari e documentare le atrocità perpetrate dall’esercito. Molti gruppi di civili sono guidati e condotti da donne per mobilizzare e raccogliere volontari, per incanalare i servizi medici e psichiatrici ai feriti, alle donne stuprate e incinte.

Attenzione internazionale

Questi gruppi hanno anche mantenuto uno stretto rapporto con attori esterni alla Birmania. Dal giorno del colpo di stato le donne sono state le più attive nel portare avanti il dialogo con rappresentanti delle Nazioni Unite, organizzazioni della società civile, think tanks e il mondo accademico, nonché i media di tutto il mondo. Sia che si trovino in esilio o siano nascoste, sono quelle che hanno fornito documenti e prove sulle atrocità di massa e sono riuscite a sollecitare gli interventi internazionali.

Le donne birmane hanno dimostrato modi innovativi per protestare, combattere e mobilitarsi. La forma di protesta più nota del movimento per la disobbedienza civile è stata quello di appendere i sarong delle donne, la biancheria intima, e gli assorbenti macchiati di sangue; questa protesta si è dimostrata molto efficace perché i militari si rifiutano di passare sotto questi indumenti per un senso di machismo. Queste tattiche sono servite a rallentare l’avanzamento dei militari e fatto guadagnare tempo prezioso alla resistenza.

Su un altro fronte, le lavoratrici dell’industria tessile a capitale straniero si sono mobilitate con sit-in e petizioni per sollecitare sanzioni economiche e rallentare l’afflusso degli investimenti nel paese. Queste richieste si uniscono a quelle internazionali che invocano sanzioni economiche per impedire l’afflusso di investimenti stranieri nel Paese, la vera linfa che tiene in vita il regime.

Fonti:

Albertina Soriani “Myanmar il coraggio della democrazia” in Rivista di Studi Politici dell’Istituto San Pio V di Roma, numero di dicembre 2022 dedicato all’Asia.

2022/12/role-women-myanmars-evolving-security-institutions

2022/11/24/here-there-and-everywhere-feminist-resistance-beyond-the-women-peace-and-security-agenda-in-post-coup-myanmar/