Come Redazione Sebino Franciacorta torniamo a rivolgerci al Sindaco di Brescia Del Bono in seguito al progetto di gemellaggio con la città lituana di Kaunas, per raccontare pubblicamente ciò che succede in Lituania da molti anni.

Egregio Signor Sindaco Emilio Del Bono,

giungiamo alla quarta lettera aperta in cui vogliamo esplicitarle come la Lituania abbia un grave problema di violazione della libertà d’espressione, ostacolando il giornalismo indipendente. In Lituania la “condanna dei crimini sovietici”, più di una difesa della storia, è diventato uno strumento politico, concretizzato nell’articolo 170 del Codice Penale che viene interpretato liberamente appena qualcuno mette in dubbio la versione storica di Stato. Quando si tratta di agire nei confronti del comunismo, il governo nazionalista lituano è sempre ben disposto, mentre quando deve condannare il nazismo è sempre più restio.

Tale articolo, che condanna sia nazismo e comunismo, è in realtà un pretesto per poter perseguire quest’ultimo. Come hanno fatto notare degli analisti politici, questo articolo si ispira alla Dichiarazione di Praga del 2008[1] che nei suoi documenti insiste fortemente sull’equiparazione tra comunismo e nazismo. Secondo questa risoluzione i crimini del comunismo sono gli “stessi” del nazismo, le due ideologie sono allo “stesso” modo genocidi, i crimini dei due regimi vanno dipinti nello “stesso” modo nei libri scolastici e le loro vittime devono essere ricordate nella “stessa” data e assieme. L’equiparazione tra nazismo e comunismo è un’operazione di revisionismo storico oltre ad essere una vergognosa banalizzazione storica. Nazismo e comunismo sono due fenomeni separati che nulla hanno in comune nella storia novecentesca.

Nel settembre 2019 è passata una Risoluzione dell’Unione Europea che, attuando la Dichiarazione di Praga, equipara e condanna similmente nazifascismo e comunismo con la stessa disonestà intellettuale e senza coscienza storica. Verrebbe piuttosto da pensare che, così come in Lituania, la legge che dovrebbe contrastare assieme e nello stesso modo i due fronti in realtà sia più uno strumento politico per poter giustificare la persecuzione del comunismo.

Il fatto che l’Occidente “democratico” e l’Unione Europea abbiano approvato questa direzione politica indica due cose: una grave mancanza di cultura e la perdita di cultura politica in grado di valutare i fenomeni. Ma la terza colpa dell’UE è ben più grave: non esprimendosi sui gruppi paramilitari neonazisti che agiscono in Ucraina da molti anni, avalla de facto la damnatio memoriae che la Lituania attua fin dagli anni Novanta contro la sua storia sovietica, perseguitando coloro che oggi si oppongono alla fascistizzazione forzata dei quartieri a Vilnius. Ciò equivale ad appoggiare l’operato di chi ha sfruttato questo indirizzo politico per ledere gravemente la libertà d’espressione.

La repressione della libertà d’espressione porta spesso a coinvolgere i manifestanti di opposizione in inchieste mirate in base agli articoli 283 (disordini di massa) e 284 (violazione dell’ordine pubblico) del Codice Penale della Lituania. Nel peggiore dei casi gli attivisti diventano vittime di omicidi politici. Nel dicembre 2013, l’attivista del Fronte Popolare Socialista Igor Klinitsky ha subito un’aggressione poliziesca ed è morto un mese dopo essere stato picchiato duramente. Il 21 gennaio 2014 l’attivista di sinistra Zhilvinas Shumskis è stato trovato impiccato.

Dal 21 al 25 settembre 2017, nella capitale della Lituania, Vilnius, si è svolto uno sciopero della fame di fronte al palazzo presidenziale. I partecipanti a questa azione sono stati attivamente ostacolati da provocatori e il 25 settembre lo sciopero della fame è stato interrotto e i manifestanti dispersi dall’intervento delle forze di sicurezza. Le forze speciali hanno arrestato i partecipanti all’iniziativa. Il primo indiziato era Algirdas Kavaliauskas, militante di sinistra di Kaunas che venne contattato telefonicamente dalla polizia per un interrogatorio sui sospetti nei suoi confronti. Il 29 novembre 2017 ad essere interrogato è stato il presidente del Fronte Popolare Socialista Ghedrius Grabauskas. Gli sono state rivolte domande sul motivo della sua presenza, su eventuali violazioni dell’ordine pubblico e su altri elementi riguardanti lo svolgimento dello sciopero della fame. Grabauskas ha risposto che l’azione si è svolta pacificamente e di non avere assistito ad alcuna violazione della legge. Negli uffici di polizia sono stati convocati anche uno dei leader dello sciopero della fame, il presidente dell’Unione degli osservatori sui diritti umani della Lituania, Donatas Shulzas, e alcuni suoi collaboratori. Secondo Grabauskas l’ingerenza dei servizi segreti era evidente: “Poiché i poliziotti non sembravano molto interessati a tali indagini, sono arrivati ordini superiori dal Dipartimento di sicurezza statale (DGB) per esercitare pressione sulla Procura affinché attivasse l’intervento della polizia”.

Il 28 gennaio 2017 l’attivista del Fronte Socialista Skaysta Rakauskene, dopo essere stata incarcerata per circa un anno per avere contrastato attivamente il narcotraffico, è stata rilasciata. L’attivista settantenne, dopo 8 giorni, nel febbraio 2017, è morta per problemi cardiaci. Pian piano nel mirino della censura e della repressione sono finiti non solo gli attivisti, ma anche i giornalisti. L’8 marzo 2017 è stata perquisita la casa editrice di Povilas Masilenis e sono state confiscate 500 copie del libro “Il prezzo del tradimento” di Galina Zapozhnikova. Nel 2017, l’editore P. Masilenis, gli attivisti di sinistra A. Janišius e K. Pauliukonis, la scrittrice

Vanagaite e molti altri cittadini lituani hanno subito pesanti attacchi. Nel 2017 il giornalista Vaidas Lekstutis è stato condannato a anno con la condizionale e a 100 ore di lavoro forzato per un articolo sul Partito dei Conservatori. Quattro giornalisti, amici e stretti collaboratori del Presidente del Fronte Popolare Socialista Ghedrius Grabauskas, sono stati uccisi alla fine di settembre 2017 nella loro residenza. A causa delle sue inchieste è stato ucciso anche il giornalista Prantsishkus Shlyuzas.

Un caso recente è invece la detenzione di Marat Kasem[2], ex caporedattore di Sputnik Lituania. Kasem è un cittadino lettone, ma vive a Mosca da diversi anni, dove lavora per la testata giornalista Sputnik. Per diversi anni ha svolto il ruolo di caporedattore della sezione Sputnik in Lituania; nel 2019 è stato arrestato a Vilnius, espulso dal Paese e bandito per cinque anni, con l’accusa di essere “una minaccia alla sicurezza nazionale”.

In Russia partecipava a vari programmi giornalistici anche dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Il 30 dicembre 2022 si era recato in Lettonia per motivi familiari, ma le autorità di Riga hanno ordinato il suo arresto. Dopo un processo preliminare è attualmente detenuto dal 3 gennaio 2023 nella prigione centrale di Riga, con l’accusa di spionaggio e violazione delle sanzioni anti-russe; si ritiene infatti che abbia procurato risorse economiche a Sputnik, agenzia stampa sottoposta a sanzioni. Per tali accuse rischia fino a 20 anni di carcere. Il suo avvocato non ha ancora avuto la possibilità di consultare i documenti del caso, ma la sua richiesta di rilasciarlo è stata respinta. Un fatto simile è successo al giornalista Valentin Rozentsov, caporedattore di Sputnik Lettonia, trattenuto e interrogato a Riga nel 2018. La repressione politica ed evidenti segnali di censura dimostrano che la democrazia e la libertà d’espressione in Lituania e nei Paesi baltici

[1] Risoluzione del Parlamento europeo sulla coscienza europea e il totalitarismo

https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/B-6-2009-0165_IT.html

[2] https://avanti.it/il-caso-kasem-e-la-fine-della-liberta-di-stampa/