Il libro “Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca” racconta una vicenda straordinaria e poco conosciuta. Ne parliamo con l’autore Andrea Vitello.  

Da dove nasce l’idea di questo libro?

Durante la stesura della mia tesi di laurea triennale in filosofia riguardo il processo ad Adolf Eichmann e Hannah Arendt ascoltai una conferenza di Claudio Fava su Peppino Impastato e sulla mafia. In quell’occasione Claudio Fava spiegò che ci si poteva opporre a qualsiasi male, anche se sembrava invincibile e parlò del salvataggio degli ebrei danesi durante la Seconda Guerra Mondiale. A quel punto mi chiesi perché a scuola non mi avessero mai raccontato una storia del genere e decisi di informarmi. Feci la magistrale in scienze storiche, mi laureai nel 2019 e dedicai due anni ad ampliare le mie ricerche.

Come ti sei documentato per raccontare in modo così particolareggiato questa vicenda?

Per quanto riguarda la storia del salvataggio degli ebrei in Danimarca e l’iconografia del libro (ci sono più di 100 immagini)  mi sono documentato principalmente allo Yad Vashem, l’ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, dove ho preso il diploma di perfezionamento sulla didattica  della Shoah. Un grande aiuto è venuto anche dal Museo Ebraico di Copenaghen, che mi ha inviato varie testimonianze, dalla biblioteca del Parlamento Danese, che mi ha fatto avere un decreto del 1814  e dall’Holocaust Memorial Museum di Washington.

Il nazista tedesco Georg Ferdinand Duckwitz ebbe un ruolo determinante nel salvataggio degli ebrei danesi.  

Sì, Duckwitz era di estrema destra fin dai tempi dell’università, a Brema e aderì al Partito Nazista nel 1932. Durante la guerra svolse il ruolo di membro dell’ambasciata tedesca a Copenaghen.  Quando l’11 settembre 1943 venne a sapere del piano di deportazione degli ebrei danesi avrebbe potuto scappare  a Stoccolma, a lavorare nell’ambasciata in Svezia,  Paese rimasto neutrale. Invece decise di restare lì, fece un viaggio in Svezia per chiedere di ospitare tutti gli ebrei danesi, fece sabotare due navi addette alla deportazione da due capitani riservisti tedeschi e poi si adoperò per procurare più passaporti possibili per far scappare gli ebrei. Quando, il 28 settembre, scoprì che la deportazione sarebbe avvenuta comunque nella notte tra il 1° e il 2 ottobre, avvisò i membri del Partito Socialdemocratico danese e fece in modo che la notizia venisse diffusa. Senza il suo intervento gli ebrei non si sarebbero nascosti e sarebbero stati tutti catturati. Si sentivano al sicuro in Danimarca; quando il capo della comunità ebraica venne avvertito della necessità di scappare infatti non ci credette e come lui molti altri. Alla fine si convinsero perché Duckwitz era un membro importante del Partito Nazista e quindi le informazioni da lui fornite dovevano essere veritiere e attendibili.

In seguito Duckwitz partecipò alla congiura per assassinare Hitler nel fallito attentato del 20 luglio 1944. La sua è una figura molto importante, perché dimostra come una crisi di coscienza possa spingere a non ascoltare le leggi e i costumi morali del tempo, a non obbedire agli ordini, ma alla propria coscienza e a fare la cosa più giusta, salvando delle vite. Per questo Moshe Bejski, il secondo presidente della Commissione dei Giusti dello Yad Vashem, gli fece avere il titolo di Giusto tra le Nazioni.

Che cosa avvenne dopo l’avvertimento di Duckwitz?

Il salvataggio degli ebrei danesi durò poche settimane e fu merito della Resistenza, ma anche di tanti piccoli gruppi spontanei, che li nascosero e organizzarono il breve viaggio per mare attraverso lo stretto di Horserød fino alla Svezia neutrale. In questo modo vennero salvati più di 7.000 ebrei, tra cui molti apolidi. Alcuni furono trasportati in grandi pescherecci, altri in barche a remi o addirittura in kayak. Visto il pericolo che correvano in genere i pescatori si facevano pagare; il finanziamento venne dalle famiglie ebree e da donazioni e raccolte di fondi. Un caso a parte fu quello dei coniugi Thomsen, che comprarono addirittura una nave per trasportare gratis gli ebrei.

Nell’ottobre 1943 la barca Gerda III, addetta al servizio di boe e fari danesi, deviò dal suo percorso ufficiale per rifornire il faro di Drogden per dirigersi verso la costa svedese: trasportando una decina di ebrei a ogni viaggio, riuscì a portarne in salvo trecento.  Ci furono moltissimi altri episodi come questi.

Ebrei danesi portati in salvo in una barca da Falster (Danimarca) a Ystad (Svezia). National Museum of Denmark

La polizia danese fu encomiabile e a differenza di Paesi come l’Olanda, non partecipò mai alle deportazioni. Pagò un prezzo altissimo per questo: nel settembre 1944 i nazisti approfittarono di un falso allarme per un raid aereo per arrestare e deportare 2.000 poliziotti danesi, molti dei quali morirono.

Non tutti gli ebrei si salvarono: 202 vennero catturati durante la retata nella notte tra il 1° e il 2 ottobre 1943 e deportati a Theresienstadt, in Boemia e altri 250 mentre cercavano di scappare in Svezia. Tra questi una cinquantina morì di stenti quasi subito.

La Danimarca ha una storia di apertura, democrazia e uguaglianza piuttosto rara. Credi che questo abbia influito sulla scelta di portare in salvo in Svezia gli ebrei sfidando gli occupanti nazisti?

In effetti la Danimarca ha una storia particolare: i primi ebrei che vi si stabilirono nel 1622 erano ricchi sefarditi, seguiti da piccoli commercianti askenaziti provenienti dall’Europa centrale. Nel 1690 venne vietata l’apertura di un ghetto e il funzionario delle forze pubbliche di Copenaghen che l’aveva proposta fu esautorato dalle sue funzioni. Il Parlamento proclamò che un ghetto non sarebbe mai stato costruito perché era un modo inumano di vivere. Nel 1814 gli ebrei danesi ottennero la cittadinanza, a patto che dimostrassero di far parte della religione ebraica. In seguito nel 1849 la Danimarca divenne una monarchia parlamentare, con una costituzione liberale che dette la possibilità agli uomini di votare e a quelli di un certo ceto sociale – tra cui gli ebrei – anche di essere eletti in Parlamento. Nel 1915 fu introdotto il suffragio universale, che comprendeva quindi anche le donne. La stessa tolleranza si estendeva anche ai transessuali, come raccontato nel film The Danish Girl premiato con l’Oscar. Tutto questo può spiegare come mai per i danesi non esistesse una questione ebraica e fosse normale aiutare i propri concittadini ebrei trasportandoli in Svezia.

Il salvataggio degli ebrei è un chiaro esempio di Resistenza nonviolenta. Pensi che il tuo libro possa contribuire a far conoscere questo aspetto poco noto, ma eroico e rischioso quanto la lotta armata contro i nazisti?

Lo spero. Sarebbe molto importante far conoscere al pubblico in generale e in particolare nelle scuole italiane ed europee questi episodi poco noti – ce ne sono moltissimi anche in Italia. Nella Danimarca occupata questo tipo di Resistenza si espresse anche sotto forma di satira e ironia, con gesti come voltarsi dall’altra parte quando venivano suonate le fanfare naziste, evitare i luoghi pubblici frequentati dai tedeschi, non partecipare alle mostre d’arte e non assistere a film antisemiti, non comprare i giornali  antisemiti eccetera. Tutto questo permise di salvare molte vite umane, a differenza di quanto avvenne per esempio in Norvegia. Dopo una breve resistenza armata agli invasori nazisti qui si instaurò un governo collaborazionista guidato dal nazista Victor Quisling, che portò allo sterminio di quasi tutta la comunità ebraica norvegese.

In Danimarca la Giornata della Memoria non è molto sentita, perché quasi tutti gli ebrei vennero salvati, ma è molto importante comunque ricordare quello che è stato fatto di bene per riproporlo alla generazioni future. Non vanno dimenticati né il male, né il bene. E questo vale tanto più ora che la Danimarca sembra aver dimenticato il suo passato, adottando una politica durissima contro i migranti, ossia alcuni dei perseguitati di oggi.