Le prossime elezioni politiche sviluppano al massimo quello che abbiamo visto in 20 anni: il trionfo della “post-politica al di là di ogni ideologia” e dell’anomia politica neoliberista, cioè l’astensione di massa che colpisce soprattutto l’ex elettorato di sinistra deluso, amareggiato, disgustato dalla deriva a destra dei dirigenti dell’ex sinistra. Le destre e le economie illecite proliferano e l’ex-sinistra si guarda bene dal contrastare tale deriva.

Già 20 anni fa alle elezioni locali in alcuni comuni la maggioranza di elettori votò pseudo liste civiche che in realtà riunivano ex-sinistra (DS poi PD) e Forza Italia, compresi personaggi noti per indagini su collusioni con la mafia. In questa tornata elettorale del 2022 a livello nazionale e ancor di più per le regionali in Sicilia, le oscillazioni soprattutto da ex-sinistra a destra sembrano moltiplicarsi. Ex-parlamentari nazionali e regionali passano dal PD alla Lega o a FdI o in Sicilia con l’allucinante aspirante ducetto De Luca (vedi qui), così come prima avevano votato Musumeci. Come osserva qualcuno da sempre attento a queste oscillazioni, “non si tratta per nulla di scelte ideologiche, ma innanzitutto e soprattutto di opzioni che mirano all’elezione del candidato che promette di restituire il consenso con puntuali favori, aiuto all’accesso ad alcuni finanziamenti, licenze e protezione delle sue pratiche illecite. Il mercato dello schieramento politico è quindi diventato sempre più fluido e imprevedibile. Il personaggio che dispone di un certo pacchetto di voti (che sia sindaco, responsabile di un patronato o altro genere di power-broker) gioca questo capitale proponendolo al miglior offerente e futuro protettore.

Quelli al di fuori di questi giochi sono relegati a starne completamente lontani e finire per astenersi. Ma non è la stessa cosa del passato. L’astensione oggi appare piuttosto come una sorta di anomia politica che si è diffusa con il trionfo del neoliberismo. Anomia non come assenza di regole (secondo una discutibile interpretazione di Durkheim) bensì come profonda destrutturazione economica, sociale, culturale e politica, cioè smantellamento del sistema di relazioni sociali e politiche che prima esistevano tra i partiti, sindacati, parrocchie e patronati (come reti tentacolari del clientelismo di partito).

Alle penultime elezioni regionali in Liguria e alle elezioni comunali di Genova ha votato poco più del 40% degli aventi diritto al voto e praticamente la stessa cosa è accaduta alle ultime elezioni regionali e locali. Lo stesso risultato elettorale si è registrato alle penultime e ultime elezioni regionali in Emilia-Romagna e in altre regioni. Abbiamo così presidenti di regione e sindaci di grandi città che sono stati eletti da poco più del 20% degli aventi diritto al voto e che governano in piena arbitrarietà perché ora dotati di nuovi poteri e dispotismo.

La crescita dell’astensione è stata costante per più di 20 anni e sin dalla fine del Partito Comunista e del Partito Socialista. La maggioranza degli astenuti è rappresentata chiaramente da ex elettori di sinistra, amareggiati, delusi quando non profondamente disgustati dalla deriva a destra dei leader della sinistra storica rispetto alle questioni sociali, economiche e internazionali. E questo vale anche per i vertici della “nuova” sinistra degli anni 1990-2000 (basti pensare ai vari Bertinotti, Di Liberto, ecc. che hanno liquidato il patrimonio storico-politico e contemporaneamente tarpato le ali a istanze paragonabili all’odierna France Insoumise di Mélenchon in Francia).

Così città e regioni sono passate nelle mani di pseudo-manager di destra ed ex-sinistra pronti ad abbracciare con entusiasmo le scelte neoliberiste, in particolare a vantaggio della speculazione finanziario-immobiliare, mentre esplode il divario tra ricchi e poveri (basta guardare le file lunghissime di persone in attesa di ricevere un pasto alla porta del “Pane Quotidiano” a Milano, fatto che del resto si replica anche altrove).

E con la grande manna del PNRR impazzano i progetti di grandi opere inutili, dispendiose e pericolose a beneficio di banche, grandi imprese, archistars e residenti con i redditi alti o medio-alti (vedi il caso emblematico di Genova dove mister Renzo Piano d’amore e d’accordo con Toti e Bucci si delizia a disegnare una città, ben lungi dal preoccuparsi delle condizioni pericolose in cui vive il popolo delle periferie).

Emblematica è l’assenza di bonifiche indispensabili per prevenire alluvioni, disastri sanitari e ambientali come quelli che si ripetono in particolare dagli anni ’70 in tutt’Italia e per ultimo nelle Marche. Come da tempo hanno segnalato geologi ed esperti ambientali, questo è il risultato non solo dell’industrializzazione devastatrice che cominciò alla fine del XIX secolo, continuò col fascismo e si è aggravata con la ricostruzione postbellica dopo la 2a guerra mondiale e ancora di più con la speculazione edilizia degli ultimi 50 anni. Ricordiamo che l’Italia è stata infatti dominata da 3 principali lobby (pubbliche e private): quella del petrolio, quella dell’auto e del trasporto su gommato e quella del cemento, mentre si lasciava deperire la rete ferroviaria e il trasporto marittimo. Questa è l’opera del quarantennio democristiano (il partito-stato) con anche la complicità della sinistra storica.

Meloni, Salvini, Berlusconi, Letta, Calenda: dov’è la vera differenza tra loro? Questo è ciò che chiedono molti elettori. Dall’inizio degli anni ’80 lo sviluppo del capitalismo liberista ha portato le economie sotterranee a oltre il 32% del PIL. Precarietà, lavoro nero, evasione fiscale, collusione con le mafie, iper-sfruttamento brutale, violenza razzista e sessista, ma nessun governo di destra e nemmeno di ex-sinistra ha voluto lanciare un programma di legalizzazione, bonifica e risanamento perché l’intera economia del paese si nutre dell’illecito. Basti ricordare che dallo smantellamento della grande industria c’è stato un immenso sviluppo delle piccole imprese in nero o semi-nero, quindi il boom delle economie sotterranee, soprattutto nel nord Italia ma anche nel resto della penisola e delle isole.

Tutto ciò è stato tuttavia ignorato anche dai sociologi ed economisti di sinistra che anzi esaltavano la “genialità” italiana della creazione dei cosiddetti distretti, di Terza Italia e del Made in Italy che altri paesi cercherebbero di emulare. Fu questo sviluppo che creò i feudi leghisti di Bossi e Salvini e Berlusconi e ora di Meloni (in particolare l’intera pianura padana dal Piemonte al Veneto), tutti promettendo protezione dei molti illeciti di queste economie. Lo sviluppo tra legale e illegale si è diffuso anche nelle cosiddette regioni rosse come Bologna, Toscana, Umbria, Marche. Come osservava un ex-editorialista della rivista L’Espresso, si stima che circa dieci milioni di elettori beneficiano di pratiche economiche e sociali illecite e votino per i candidati che tutelano tali pratiche. Così, le prime promesse fatte da Salvini oltre che da Berlusconi e da Meloni sono la “pace fiscale” (cioè la sanatoria per tutti i reati finanziari e l’evasione fiscale), la flat tax che aumenterà le tasse sui redditi più bassi e ridurrà quelli più alti, l’abolizione dell’obbligo di perseguire i reati da parte di polizia e magistratura e l’elargizione di nuovi finanziamenti per banche e imprese.

L’Italia, insomma, è diventata la nazione europea con l’economia maggiormente segnata dallo sprezzo del cosiddetto stato di diritto democratico grazie al ricorso all’anamorfosi dello stato di diritto (ossia la possibilità di passare da illegale al legale grazie alle frequenti sanatorie, ai condoni adottati dai governi, nonché all’evasione fiscale, all’abusivismo edilizio e ad altre illegalità. E l’ex-sinistra non si è mai opposta a questa deriva perché anche una parte del suo elettorato si nutre di economie sotterranee. Ricordiamo inoltre che questo trionfo dell’ibrido tra legale e illegale colpisce anche le grandi multinazionali italiane come Fincantieri o l’industria delle armi Leonardo (tramite intermediari che vendono le loro armi) e la multinazionale petrolifera ENI, ma gli scandali su questo fanno notizia solo per pochi giorni e vengono presto dimenticati. Il furore di super-sfruttare impera.

Ora non è da escludere che sia Salvini, Berlusconi e la signora Meloni pensino di fare la stessa mossa gli uni contro l’altra e viceversa. Mirano a convincere Draghi a riprendere la carica di capo del governo, unica condizione per avere credibilità presso Unione Europea e Stati Uniti anche perché le destre non hanno personalità in grado di ricoprire cariche ministeriali. Questa soluzione sarebbe certo benedetta dal presidente Mattarella, l’artefice della coalizione guidata dal “salvifico” Draghi che ha governato con un dispotismo neoliberista che ora tutti desiderano rinnovare senza esitazioni o colpi bassi.

È a questo che è arrivata la situazione politica italiana, che inizia insieme alla fine di Berlinguer, della gestione di Andreotti, poi di Amato e dei vari D’Alema, Bertinotti, Berlusconi… fino a forgiare un paese dominato da una sorta di corruzione di massa che è allo stesso tempo economica, sociale, culturale e politica, che ha distrutto la sinistra e rende impotenti i lavoratori e le persone oneste.

Immaginare una prospettiva meno orribile sembra pura illusione. Non si sta approdando al fascismo mussoliniano, ma certamente a un autoritarismo apparentemente soft ma in realtà estremamente violento nei confronti dei poveri, dei precari, degli immigrati, dei supersfruttati, dei razzializzati, delle donne sottoposte al fascismo sessista e agli emarginati.

Ahimè, in Italia non c’è niente di paragonabile alla NUPES francese proprio a causa di questo “fagocitamento” attraverso la corruzione di massa sviluppata dal capitalismo neoliberista. Le resistenze non mancano ma sono ancora sparse, non collegate e ancora lontane dall’unirsi in un progetto politico che possa avere un futuro effettivo.

 

pubblicato in francese qui: https://blogs.mediapart.fr