Si è tenuta ieri la sessione straordinaria del Parlamento della Serbia dedicata all’illustrazione e al dibattito sulla relazione circa gli sviluppi e le prospettive del processo di dialogo con le autorità dell’autogoverno kosovaro nel periodo compreso tra il 15 giugno 2021 e lo scorso 1 settembre 2022. La sessione è stata aperta dalla presentazione del rapporto con il discorso del presidente serbo Aleksandar Vučić, una relazione sullo “stato dell’arte”, questioni attuali e sfide future, sullo sfondo del riemergere della tensione nella regione, dopo lo ““scontro sulle targhe” e lo “stallo del processo di dialogo.

Lo stato del negoziato nella regione

Nel suo ampio discorso, relazionando sullo stato del dialogo e le prospettive delle relazioni serbo-albanesi, Vučić ha esordito segnalando che «una politica responsabile e realistica non può basarsi sulla fantasmagoria, sui miti; ciò significa che dobbiamo adattare i nostri miti, capire quanto siano importanti nel definire lo spirito del popolo serbo, comprendere che senza quei miti non saremmo sopravvissuti sino ad oggi, ma anche evitare le cadute e i pericoli che spesso non siamo riusciti a evitare in passato».

Se ciò vale in generale, vale in particolare per il Kosovo, «quello spazio, nostro e comune, serbo e albanese, in cui dobbiamo preservare la vita, la vita per i serbi e, non di meno, la vita per gli albanesi. È un compito difficile, che dobbiamo portare a compimento, per sopravvivere come Paese e come popolo; altre soluzioni ci porterebbero ad un altro ritiro, ad altre perdite e ad altri sogni vani e irrealizzabili. […] Le possibilità di progresso e di miglioramento sono scarse, le possibilità di sconfitta e di disastro numerose e, se adottassimo una politica sbagliata, quasi certe». Sin da questa premessa, Vučić ha confermato che «la Serbia non riconoscerà né direttamente né indirettamente l’indipendenza unilaterale del Kosovo e non rinuncerà alla legittima lotta per gli interessi statali e per il rispetto del diritto internazionale».

Nella seconda parte, ha richiamato la situazione attuale nella regione, osservando che «assistiamo a una presenza crescente delle forze speciali della polizia di Prishtina nel Nord del Kosovo; … nonostante tutto, siamo e restiamo impegnati nel dialogo, consapevoli che una soluzione pacifica è l’unica via ragionevole e che il resto, anziché stabilizzazione e riduzione della tensione, porta a instabilità e potenziali conflitti le cui proporzioni possono essere catastrofiche, non solo per il popolo del Kosovo, ma anche per l’intera Serbia. […] Per questo si è fatto appello agli albanesi, così come alla comunità internazionale, di non consentire provocazioni». Secondo Vučić, «la causa essenziale della crisi del dialogo non è questione degli ultimi giorni, è questione complessiva, che deriva da due elementi; il primo è che il mondo occidentale non intende rispettare la Carta delle Nazioni Unite e la Risoluzione 1244. Le uniche cose cui possiamo fare riferimento sono il diritto internazionale e la Risoluzione 1244, ma non ne vogliono sentire parlare; […] la seconda è il fatto che non sono interessati a rispettare gli accordi… e il rifiuto di Prishtina di adempiere il suo obbligo centrale, la formazione di una Comunità di comuni serbi del Kosovo, ha creato un clima per cui la posizione dei serbi in Kosovo ha continuato a deteriorarsi, fino alla situazione attuale, molto preoccupante, in cui si susseguono attacchi sempre più frequenti alla sicurezza del nostro popolo. […] Magari proveranno a umiliarci, dicendo che la Comunità dei comuni serbi sarà come una ONG».

«158 incidenti di matrice etnica»

«Durante il periodo dal 15 giugno 2021 al 1 settembre 2022», periodo sul quale si svolge la relazione, «sono stati registrati 158 incidenti di matrice etnica contro i serbi nella provincia. Non sto a dirvi quanto danno arrechi alle relazioni inter-etniche e quanta paura porti ai serbi, che vogliono espellere da tutte le enclavi a sud del fiume Ibar. È anche importante sottolineare che gli autori di tali incidenti, di norma, vengono trattenuti e rilasciati poco dopo, o addirittura mai detenuti. La cosa più preoccupante è la violenza istituzionale. Già nel settembre 2021 hanno compiuto il primo grave attacco al diritto alla vita e alla salute dei serbi della provincia, ostacolando la consegna dei medicinali alle istituzioni sanitarie e agli ospedali che operano nel sistema della Repubblica di Serbia. […] Il 29 giugno 2022 hanno preso la decisione unilaterale illegale dell’introduzione di un documento di ingresso-uscita, con cui avrebbero rilasciato a tutti gli effetti dei visti della durata di novanta giorni, per i serbi che vivono in Kosovo, per rimanere nelle proprie case. Lo stesso giorno, hanno preso la decisione sul divieto di ingresso dei veicoli con targa della Repubblica di Serbia. […] Poi, il 31 luglio, l’irruzione illegale di ulteriori unità di polizia di Prishtina senza l’approvazione del comandante della direzione regionale della polizia del Kosovo del Nord per imporre la decisione circa la cancellazione del diritto all’uso delle carte d’identità e delle targhe serbe. Così, Prishtina ha violato l’art. 9 del primo accordo nella parte relativa alla polizia, … nonché l’Accordo con la NATO del 2013, che vieta la presenza delle forze di Prishtina nel Nord del Kosovo senza l’approvazione del comandante della KFOR e dei quattro sindaci dei Comuni serbi».

Nella terza e ultima parte, dedicata alle prospettive delle relazioni serbo-albanesi, la promessa per cui «salveremo il nostro popolo in Kosovo e non ci sarà nessuna nuova operazione “Lampo” o “Tempesta”. […] Ci adoperiamo per la pace perché sappiamo quali conseguenze catastrofiche la guerra potrà portare a tutti noi. Solo poco più di due decenni fa, contavamo morti e profughi, e ascoltavamo pianti e lamenti. Oggi, solo qualcuno che sia estremamente insensibile, irresponsabile e smemorato potrà immaginare, come alternativa desiderabile, una soluzione militare alle sfide attuali. […] Spesso, noi serbi pensiamo di avere tutti i diritti mentre altri dovrebbero avere diritti minori. Noi, serbi e albanesi, dobbiamo avere diritto alla vita, e non possiamo dissentire su questo. […]

Parallelamente alla lotta per preservare la pace e la stabilità in Kosovo, è in corso un’intensa lotta per proteggere i nostri interessi nazionali. Stiamo lottando su tutti i fronti politici e diplomatici». Non sono mancati, nel dibattito parlamentare, toni accesi; con la destra radicale (Dveri) che ha contestato la legittimità degli Accordi di Bruxelles del 2013, chiedendo di sottrarre il dialogo Belgrado-Prishtina all’egida dell’UE, il ritorno della questione del Kosovo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e la cancellazione degli stessi Accordi di Bruxelles; la coalizione liberale “Moramo” che ha ribadito la propria posizione per cui «non ci sono tre o quattro pilastri, ma un solo pilastro: per noi l’Occidente è Washington e Bruxelles, Berlino, Londra e Parigi; vogliamo stabilire in Serbia il tipo di democrazia che esiste nella UE, come in tutti i Paesi occidentali»; e i socialisti (SPS), secondo i quali «la Serbia non riconoscerà né formalmente né informalmente il Kosovo» e il dialogo è necessario «perché non c’è altra soluzione». «Il problema è sempre stato il separatismo e la creazione di una Grande Albania. Dobbiamo continuare a cercare compromessi ed evitare conflitti».