Con la lettera di ritiro del progetto per la realizzazione dell’inceneritore a Cavaglià noi associazioni del territorio, insieme ai sindaci dei piccoli comuni e alle imprese locali, vinciamo la battaglia di opposizione all’opera. La vinciamo soprattutto con strumenti tecnici, con l’apporto sostanziale di consulenze legali e ambientali. Come il famoso granello di sabbia ci siamo infilati, grazie all’apporto di avvocati e consulenti, nell’ingranaggio della Valutazione d’Impatto Ambientale della Provincia di Biella, assumendoci costi e oneri in gran parte coperti con i contributi dei Comuni e dei privati. Certo abbiamo a mano a mano costruito consenso tra la popolazione, ma la strada della mobilitazione era in salita, molto più forte la potenza di fuoco della comunicazione che vede negli inceneritori – ops! si chiamano ora termovalorizzatori – la soluzione magica che ci può far mantenere i nostri livelli di consumo, quindi di produzione di rifiuti, senza dover cambiare niente. In Piemonte abbiamo un modo molto chiaro per definire questa situazione: “Bogia nen”. Wikipedia scrive, a tale proposito, che significa letteralmente “non ti muovere”, ed è un soprannome popolare che si riferisce ai piemontesi e che rimanda a un temperamento caparbio, capace di affrontare le difficoltà con fermezza e determinazione. L’espressione viene però spesso confusa con una traduzione letterale che rimanderebbe invece a una presunta passività troppo succube e prudente. Io l’ho sempre usata in questa seconda accezione, ma, ai fini di questo breve commento, funziona anche la prima.

La strategia della azienda proponente, per niente immobilista, prevede nel Polo tecnologico di Cavaglià un inceneritore. In questo sito vengono già trattati dalla stessa multiutility rifiuti di vario tipo ma, soprattutto, vi è un impianto di riciclo della plastica. Crediamo che proprio per questo è previsto un impianto di incenerimento, probabilmente lo era già ben prima del luglio 2021.

La plastica è il materiale simbolo della fase di espansione economica del ‘900. Prima la bachelite, poi il nylon, la formica, poi il propilene e tutti i diversi polimeri hanno trasformato la vita materiale e i modi di produrre del nostro mondo. Erano anni in cui si era convinti, almeno nella parte più ricca del pianeta, che le risorse fossero infinite, che la crescita economica fosse inarrestabile, che questa potesse assicurare il miglioramento delle condizioni materiali di gran parte della popolazione occidentale, se non di tutta la popolazione mondiale. Non solo al di qua del muro di Berlino, anche al di là i regimi socialisti volevano crescere, avere di più per tutti. E, dopo averli derubati con il colonialismo, anche quelli che chiamavamo paesi in via di sviluppo (appunto!) avrebbero avuto la loro fetta di crescita.

C’erano delle voci fuori dal coro; Pasolini, ad esempio, scriveva di sviluppo senza progresso. Già prima, alla fine degli anni’60, Peccei fondava il Club di Roma e nel 1972 faceva uscire il rapporto I limiti dello sviluppo, dove si prevedevano le crisi che stiamo attraversando. Scrissero già allora, incrociando discipline diverse e basandosi su dati e previsioni, di crisi climatica, demografica, economica e sociale. Insomma, la sto prendendo larga, ma per dire che la situazione attuale ha radici lontane: tante cassandre inascoltate e molto far finta di niente.

Torniamo alla plastica. E’ certamente stata una grande innovazione, ha permesso a tutti di avere oggetti a basso costo di tutte le categorie merceologiche, ma ci lascia un’eredità pesante. E’ in assoluto il materiale meno facilmente riciclabile.

Riusciamo a mala pena in Italia a riciclare circa il 50 % della plastica raccolta con la differenziata. E della restante cosa ne facciamo? La bruciamo nei termovalorizzatori, o inceneritori che dir si voglia, ovviamente.

Beh, non è una soluzione, o se è una soluzione lo è in modo residuale. L’incenerimento è una modalità che produce anidride carbonica, quindi gas serra che aumentano la temperatura del pianeta. Non brucia solo rifiuti ma necessita di metano per poter funzionare. Per quanto di ultima generazione, e quindi con maggiori filtri e sistemi di gestione moderni, è inquinante; lo sono i suoi fumi che escono da camini altissimi, così come le ceneri che vengono prodotte. Ed è inquinante specie se brucia plastiche… avete presente la diossina?

Non possiamo fare finta di niente, la plastica la dobbiamo ridurre e, quando non è riciclabile, eliminare. Possiamo aumentare la quota di quella che viene riciclata, dobbiamo investire su questo. Bisogna tassare chi produce plastica, non può essere un costo a carico della collettività e delle future generazioni. Quella che rimane, finché non risolviamo il problema – e va risolto! – la possiamo bruciare nei termovalorizzatori che in prospettiva vanno ridotti, non aumentati.

Crediamo che non serva un altro inceneritore in Piemonte e per deciderlo adesso la partita è in mano alla Regione. La ‘nostra’ Life Company aveva presentato il progetto di Cavaglià per il trattamento di ‘rifiuti speciali non pericolosi’. Era un modo per derogare dalla pianificazione Regionale e richiedere le autorizzazioni alla sola Provincia di Biella. A quanto pare non è possibile farlo, perché anche lo scarto della raccolta differenziata è da considerare rifiuto urbano, e quindi di competenza della Regione.

E’ in corso la discussione sul nuovo Piano Regionale dei rifiuti (PRUBAI), in quello attuale non è previsto un nuovo inceneritore in Piemonte, quello in discussione invece prevede la possibilità di un nuovo impianto.

Un secondo inceneritore lo si vuole perché la scelta è quella di bruciare di più e riciclare di meno.

Legambiente Piemonte ha presentato le sue osservazioni al PRUBAI lavorando in pieno agosto. Tra le critiche più importanti che l’associazione ambientalista pone vi è che nel Piano è stato aumentato l’obiettivo della quantità di rifiuti che ogni cittadino piemontese potrà produrre nel 2035. Nella pianificazione attuale sono previsti 400 kg/abitante annui, il nuovo obiettivo è tra i 454

e i 476 kg/abitante all’anno.

Se si aumenta la quantità di rifiuti che ognuno di noi può produrre, si aumentano i rifiuti totali e quindi la necessità di un nuovo inceneritore.

Vogliamo fare i Bogia nen passivi e far prendere la decisione di bruciare sempre più rifiuti perché non vogliamo cambiare il nostro modo di consumare, o facciamo i Bogia nen caparbi che affrontano la situazione con determinazione e sono disposti a rivedere il modo di produrre e consumare?

La discussione è aperta, senza progetti di inceneritori già depositati sarà più libera.