“I Cineasti del presente” è la sezione dedicata alle prime o seconde opere dei talenti emergenti provenienti da ogni angolo del mondo; quest’anno diversi film si sono concentrati sui misteri che avvolgono la mente umana

Svetlonoc – Nightsiren (Sirena della notte)

Svetlonoc – Nightsiren (Sirena della notte), una produzione slovacca opera della giovane regista ceca Tereza Nvotovà, vincitrice del Pardo d’Oro nella sezione “I Cineasti del presente”, è indubbiamente un film ben riuscito: avvincente, coinvolgente, con un ritmo incalzante e con una buona capacità di intrecciare realtà e sogni, superstizioni e antiche leggende.

Una giovane donna ritorna al suo villaggio dopo molti anni d’assenza e cerca le risposte a vicende drammatiche che hanno segnato la sua infanzia, ma si scontra con i compaesani, che la rifiutano e le rivolgono pesanti accuse, compresa quella di stregoneria. Un film con un cast al femminile che si pone l’obiettivo, secondo le parole della regista di “ sconfiggere la mitologia arcaica sulla femminilità, mettendo a nudo il riemergere di antiche superstizioni misogine nel mondo moderno” Le due principali protagoniste portano dentro di in sé profondi sensi di colpa e un forte ricerca di autodeterminazione sui propri desideri e sul proprio corpo, in un rapporto conflittuale e dialettico che nella sua irrisolutezza dono loro una grande forza caratteriale ed espressiva.

Sigurno mjesto -Safe Place (Posto sicuro)

Il Premio per il miglior regista emergente è andato al croato Jurai Lerotic e quello per la miglior interpretazione maschile a Goran Markovic, protagonista del film Sigurno mjesto -Safe Place (Posto sicuro). Un tentativo di suicidio di un giovane sconvolge e condiziona la vita di una famiglia. La madre e il fratello trascorrono il loro tempo a compiere ogni sforzo possibile per aiutare il ragazzo, in un confronto complesso con le strutture sanitarie.

La vicenda narrata è autobiografica; l’autore e regista, che interpreta se stesso, così ha presentato il film: “E’ ridotto all’essenziale, legandosi a un breve periodo di tempo e a una situazione molto precisa riassumibile in un imperativo: salva chi ami”

Non è un film sul suicidio, ma piuttosto sullo sforzo di aiutare l’altro in una situazione di incomunicabilità; sulla difficoltà di imparare a dire addio, ad accettare una partenza dalla vita della quale non si comprendono le ragioni; sulla necessità di trattare la morte come un evento che costituisce una normalità nella vita umana. Un film riuscito, emotivamente forte.

Yak tam Katia? – How is Katia? (Come sta Katia?)

Yak tam Katia? – How is Katia? (Come sta Katia?) della regista ucraina Christina Tynkevych ha vinto il Premio speciale della giuria Cine+ e con Anastasia Karpenko quello per la miglior interpretazione femminile. Anna è una giovane madre single che lavora sulle ambulanze e la cui vita è tutta protesa a offrire un futuro sicuro alla figlia Katia. Ma tutto cambia quando la ragazzina viene coinvolta in un incidente stradale e la madre è posta di fronte a scelte che coinvolgono i suoi valori morali, il suo senso di giustizia ma anche il futuro, almeno quello ancora possibile. Certezze e convinzioni profonde vengono messe in discussione da visioni che sorgono da punti di vista collocati in differente posizione sullo scenario della vita.

Il film è stato girato prima dell’inizio della guerra ed evidenzia le contraddizioni che attraversano la società ucraina, il difficile rapporto con il potere e con una burocrazia statale la cui ottusità produce situazioni kafkiane simili a quelle di tanti altri Stati e non lontane da alcune esperienze di casa nostra. “Yak Tam Katia? in fondo è la storia di una cittadina qualunque che finisce al centro di un caso giudiziario in cui non può vincere, contro il potere nel suo volto spietato”, un film che “non sfocia mai nella pornografia del dolore” scrive Francesco Grieco nel presentarlo  al festival; parole che, nella loro semplicità, risultano ampiamente condivisibili.

Nelle interviste seguite alla proiezione e in particolare alla premiazione, da parte di molti giornalisti c’è stato un incessante tentativo di ricollocare il film in un contesto differente da quello nel quale è nato e si è realizzato, attribuendogli significati estranei alla sua genesi (le riprese sono iniziate nel 2017 e si sono concluse prima dell’inizio della guerra), ma adattati alle esigenze del pensiero unico dominante.

Und morgen seid ihr tot – And tomorrow we will be dead  (E domani noi saremo morti)

Und morgen seid ihr tot – And tomorrow we will be dead  (E domani noi saremo morti) del regista Michael Steiner, presentato nella sezione “Panorama Svizzero”, racconta una storia vera, quella di Daniela Widmer e David Och, due giovani fidanzati svizzeri che avevano deciso di ripercorrere l’antica Via della Seta. Nel viaggio di ritorno, in Pakistan, vengono rapiti, portati nel Waziristan e venduti ai talebani. La loro prigionia durerà otto mesi, i tentativi di negoziazione condotti dal governo svizzero falliranno, ma loro, secondo quanto raccontato nel film, riusciranno a salvarsi da soli, scappando  e raggiungendo un avamposto dell’esercito pakistano.

Il racconto sembra attenersi ai fatti, evita operazioni propagandistiche e giudizi sommari. Non rinuncia a mostrare i differenti comportamenti e le diverse convinzioni che animano i vari gruppi che gestiscono la loro detenzione e prova, seppure senza addentrarsi in profondità, a rappresentare il procedere dei sentimenti e gli sbalzi emotivi dei due protagonisti. Così come non ignora le complicazioni internazionali e le ragioni di Stato che in questa vicenda, come in tutte quelle simili, hanno condizionato l’evolversi dei fatti.

La settimana della critica 

“La settimana della critica” è la sezione che vorrebbe interpretare la coscienza critica del festival; tra i film presentati ne ho scelti due, fra loro profondamente differenti.

Shakespeare in piazza Maidan.  La sindrome di Amleto

La sindrome di Amleto è un film con doppia regia della polacco/tedesca Elvira Niewiera e del polacco Piotr Rosolowski. L’obiettivo è un nuovo allestimento del dramma di Shakespeare da parte di alcuni giovani ucraini della generazione di piazza Maidan e della guerra del Donbass del 2014. Nella costruzione del lavoro teatrale i giovani si confrontano con le proprie sofferenze e con le decisioni che ognuno di loro deve compiere: combattere o non combattere, restare in patria o espatriare.

Il film è stato girato prima dell’inizio dell’attuale guerra e le vicende raccontate, è bene tenerlo presente, si riferiscono ai fatti del 2014.

La rielaborazione della sofferenza attraverso un lavoro teatrale, quando è condotta correttamente, anche come strumento terapeutico, mette in luce profondi travagli emotivi e tempeste sentimentali e comporta viaggi dolorosi di riattraversamento della sofferenza. Obbliga a ripercorrere le proprie scelte, ad analizzarle anche da altre prospettive e in una dimensione temporale differente. Il passato non si può modificare, ma la sua comprensione può aiutare la costruzione del futuro. Questi percorsi individuali sono sempre da accogliere e da accompagnare e la sofferenza di ciascuno è da rispettare. Questa è la mia convinzione ed anche la mia esperienza professionale come medico che spesso ha condiviso la propria professione con psicoterapeuti.

Tutto ciò però non può portarci a ignorare il giudizio storico. I ragazzi che lavorano alla pièce teatrale si sentono i protagonisti e gli unici autori della “rivoluzione” di piazza Maidan; si vivono come giovani eroi che hanno sfidato il potere. E’ credibile ed è possibile e probabile che questo sia il loro vissuto.

Oggi tuttavia sappiamo che quelle vicende erano molto più complesse, che forze esterne hanno costruito e sostenuto, o almeno fortemente contribuito a costruire e a sostenere le rivolte di quei giorni; che dietro l’entusiasmo di quei giovani si movevano altri e forti interessi. Oggi sappiamo che la guerra del Donbass nel 2014 non è andata come ci viene ora raccontato, con un forte revisionismo storico, dai megafoni del pensiero unico e non possiamo dimenticare la strage di Odessa del 2 maggio 2014. Noi sappiamo che la storia non comincia il 24 febbraio 2022. Noi sappiamo che non sempre nelle vicende storiche le ragioni e i torti stanno tutti da una parte.

Quando i due registi nella presentazione del film scrivono: “Il nostro film è dedicato ai giovani coraggiosi ucraini che sostennero la rivoluzione di Maidan, combatterono nella guerra del Donbass e pagarono un pesante prezzo per il loro coinvolgimento” allora comprendiamo che non ci troviamo davanti ad un’operazione culturale, che desidera indagare la sofferenza e la sua rielaborazione in una gioventù che ha dovuto affrontare traumi e gravi scelte, ma che siamo di fronte ad un’operazione a senso unico, a supporto di una tesi precostituita.

I registi allestiscono il palco teatrale come uno studio collettivo di psicoterapia, ma si dimenticano che un palco simile potrebbe vedere come protagonisti anche i giovani del Donbass per quello che hanno patito dal 2014 in poi e per le scelte e i dilemmi di fronte ai quali si sono ritrovati. Anche da un punto di vista professionale e psicoterapeutico nessuna rielaborazione del dolore può procedere senza un’assunzione, o almeno un tentativo di comprensione, del dolore altrui.

Migranti tra i ghiacciai

Návštěvníci – The visitors (I visitatori)

Návštěvníci – The visitors (I visitatori), il film della regista ceca Veronika Liskovà, segue la vita di una giovane mamma di tre figli che con tutta la famiglia lascia Praga per andare a vivere a Longyearbyen nelle isole Svalbard per un progetto di ricerca sui cambiamenti climatici. Gli scenari sono affascinanti: infinite distese di neve e icebergs alternati a spazi intimi e raccolti dove si volge la vita familiare. Un paese con cinquantadue nazionalità differenti senza che sia necessario chiedere alcun visto per potervi risiedere. Zdenka osserva lo scioglimento del permafrost e le modificazioni del paesaggio circostante, ma ben presto grazie al suo lavoro di ricerca, che la porta a intervistare molte persone, si rende conto come anche in questo paradiso naturale vi siano situazioni di emarginazione, emigrati di serie A e di serie B.

Scopre l’impatto delle recenti scelte del governo norvegese, impegnato a bloccare con ogni mezzo l’internazionalizzazione di questo insediamento umano, ad esempio escludendo dal voto per le elezioni municipali tutti gli stranieri, limitando la possibilità di usare le scuole come strumento d’integrazione in questa comunità cosmopolita e in definitiva ignorando il valore che gli studi da realizzare in questa regione possono avere per l’insieme dell’umanità.

Un documentario interessante ed estremamente attuale, con delle bellissime immagini.