Oltre ai vincitori, quest’anno erano in concorso numerosi altri film a mio parere di buon livello.

Airiyippu (Dichiarazione)

Airiyippu (Dichiarazione), del regista indiano Mahesh Narayanan, racconta la vicenda di una coppia di emigrati dal Kerala alla regione di Delhi, dove lavorano in una fabbrica di guanti a uso sanitario. Durante il periodo di lockdown tra i lavoratori gira un video che mette a dura prova la loro relazione, ma la vicenda privata si intreccia con la lotta in azienda per migliori condizioni di lavoro, con l’uso e l’abuso dei social e il loro possibile impatto sulla vita quotidiana, con la corruzione che dilaga dai rapporti personali a sfere ben più ampie e legate a grandi business. I principi di lealtà e i codici etici di comportamento sono sottoposti a forti tensioni e visti da differenti punti di vista, appaiono talvolta esprimere meno certezze assolute di quelle desiderate dai protagonisti. Ogni personaggio è descritto in una complessità che aumenta con il susseguirsi del racconto e che sfugge a ogni semplificazione.

Bowling Saturne

Bowling Saturne, della regista francese Patricia Mazuy è un noir, come lei stessa lo definisce, con un’inchiesta poliziesca, i colpi di scena, la tensione che cresce e la violenza che irrompe improvvisa “in un personaggio che fino a quel momento era stato violento solamente contro se stesso. Ciò che rende quella scena particolarmente tesa e primitiva è la sua lunghezza. L’idea è quella di mettere in scena l’eredità della ferocia e della violenza” spiega la regista. E l’effetto sul pubblico è decisamente forte.

L’azione si svolge in un bowling sotterraneo, che per Patricia Mazuy è una “costruzione metaforica che rappresenta una sorta di sospensione del mondo. Si scende in un sotterraneo, in sogno, dal sapore di incubo” e si prosegue in un commissariato in ristrutturazione che amplifica la sensazione di precarietà e di transitorietà, forse anche della giustizia.

La trama è semplice: alla morte del padre Guillame, il figlio poliziotto affida la gestione del bowling al fratellastro Armand, che vive ai margini della società. Attorno a questa eredità si aprirà una vicenda destinata a sprofondare nella violenza di uno scontro senza fine. Ma il film non è solo questo; si gioca anche sul contrasto tra un gruppo di cacciatori – descritti magistralmente in una cena consumata nella peggior mascolinità e nella più crudele esaltazione della caccia come simbolo del potere maschile – e una donna attivista per la protezione degli animali.

Un film ben realizzato, di certo non adatto per un pubblico particolarmente sensibile.

Nação Valente

E’ il 1974 e i portoghesi stanno lasciando l’Angola sotto l’incalzare dei gruppi indipendentisti. Amore e morte tra un soldato portoghese e una giovane donna angolana s’intrecciano e si consumano in pochi istanti. Una compagnia di militari portoghesi vive rinchiusa in un recinto circondato da mura e attraversato dalla paura, dove un rapporto sessuale a pagamento, anziché rappresentare uno spazio momentaneamente liberato dal terrore, fa precipitare la situazione verso un’ulteriore drammaticità.

Nação Valente di Carlos Conceição è tutto questo, ma anche molto di più e forse un po’ troppo di più; complicato da seguire e ancor più da interpretare, dove la realtà si confonde con fantasmi e zombie, misterioso, e con richiami ancestrali. “Una riflessione sulla Storia, la guerra e la paura, oltre che una metafisica della tirannia – secondo il regista. “Una riflessione sulla natura ciclica del fascismo e su come questo rimanga una minaccia per l’evoluzione.” La critica al militarismo e all’autoritarismo è evidente, ma i richiami al fascismo e alla dimensione storica dalla quale il film prende l’avvio appaiono invece quasi del tutto assenti e si perdono nella narrazione.

Serviam – Ich will dienen (Serviam – Io servirò)

Serviam – Ich will dienen (Serviam – Io servirò) della regista austriaca Ruth Mader si svolge in un collegio privato cattolico destinato a famiglie di livello socialmente molto elevato. Da un lato un periodo storico segnato dal declino della religiosità, dall’altro il tentativo di conservare lo spirito religioso, o meglio le forme e le apparenze di una visione religiosa, dogmatica e segnata dal valore della sofferenza e dell’espiazione. Nel mezzo la storia di Martha, una ragazzina che riceve un cilicio e che, per le conseguenze fisiche che ne derivano, viene nascosta in una zona isolata del collegio. La vicenda è ambientata negli anni ’80, prima che anche in Europa emergessero con forza vicende quali gli abusi sessuali praticati da religiosi, che hanno messo fortemente in discussione simili istituzioni.

Le domande scottanti che Serviam indaga fino alle estreme conseguenze sono: cosa accade se qualcuno vive la dottrina sul significato della sofferenza in modo radicale? Cosa accade se un bambino è disposto ad morire per un credo religioso? Domande oggi, per il mondo post 11 settembre 2001, ancora più attuali e non riferibili solo a tempi lontani e ormai archiviati.

Le scene finali con la nuova destinazione della suora, dove tutto sembra rincominciare uguale a prima, come se nulla fosse accaduto, rappresentano una pratica non certo isolata nei piani alti della Chiesa cattolica, almeno prima dell’arrivo di Papa Francesco.

Un film interessante, ben realizzato, forse un po’ troppo lento nella prima parte.

Stone Turtle (Tartaruga di Pietra)

Stone Turtle (Tartaruga di Pietra) rappresenta secondo il regista malese Ming Jin Woo “il viaggio metaforico di una donna in cerca di giustizia personale e sociale nel mezzo di un’oppressione sistemica, ma anche un modo per preservare le tradizioni popolari del mio Paese.”

Zhara è una giovane donna che vive con la piccola Nika, vendendo illegalmente uova di tartaruga, su una piccola isola della Malesia. Zhara è un’apolide, una rifugiata socialmente invisibile che, pur nella vita solitaria e isolata che conduce, continua a sperare in un futuro diverso per Nika, fatto di scuola e di una normale quotidianità. Zhara è forte, guarda con speranza verso il futuro, ma appare anche estremamente fragile e talvolta sopraffatta da un passato troppo pesante che resta avvolto nel mistero. In lei la realtà e il mito si confondono, così come la sua figura e quella della sua eroina immaginaria o forse presente nei segreti e nelle storie di quelle misteriose isole. Zhara incontra Samad, che arriva sull’isola presentandosi come un ricercatore universitario e proponendole di fargli da guida, ma la verità che si cela dietro a quest’incontro è ben altra.

L’interpretazione della figura di Zhara da parte di Asmara Abigail è molto convincente e ben rappresenta la complessità di questo personaggio misterioso. Nel progredire del racconto la sceneggiatura in parte si perde, inseguendo in modo forse troppo compiaciuto l’idea di rappresentare miti e fantasie. La comprensione risulta difficile anche a causa di un intreccio un po’ confuso tra realtà e immaginario.

Hikayat elbeit elorjowani  (Tales of the Purple House – Racconti dalla Casa Viola)

In Hikayat elbeit elorjowani  (Tales of the Purple House – Racconti dalla Casa Viola) il regista iracheno Abbas Fahdel insieme a sua moglie, la pittrice libanese Nuor Ballouk, partono dalla loro “casa viola” nel sud del Libano per raccontare l’attualità, ma anche la storia degli ultimi anni del Paese.

In tre ore, una durata forse eccessiva, il film ripercorre i principali eventi che hanno attraversato recentemente il Paese: dalla pandemia allo scoppio nel porto di Beirut del 4 agosto del 2020, che provocò 214 morti e circa 7.000 feriti; dal movimento di protesta dei giovani, che ha segnato gli ultimi due anni, ai ricordi della guerra con Israele del 2006. Il tutto intervallato con lunghe scene di vita quotidiana di Nuor Ballouk tra i suoi quadri, le piante, una colonia di gatti e un bambino che vive nella casa accanto.  Queste scene si prolungano eccessivamente nel tempo, appesantendo il ritmo e riducendo il pubblico al quale si rivolge.

E’ interessante notare che questo è stato forse l’unico film in tutto il festival a dedicare uno spazio significativo alla pandemia, alle scelte compiute dalle autorità, alle reazioni della popolazione, alla descrizione ad esempio di come venivano annunciati e celebrati i funerali. Il Covid-19 è il grande assente di questo festival; un argomento tabù, una parentesi chiusa, un evento casuale e straordinario. Ma sappiamo che purtroppo non è così.