Qual è stata la vostra principale attività in loco? Come vi hanno accolto i locali?

C’è stato uno scambio continuo con i locali, soprattutto con i bambini che sbucavano di continuo dalle vie, e dai boschi, insieme ai cavalli, ai cani e alle pecore. Sono come guardiani dei villaggi, ti accolgono e corrono per vedere dove stai andando. Le persone erano attirate da noi. Siamo stati fermati di continuo per domande e fotografie ricordo. Credo che si siano domandati spesso: “Ma che cavolo ci fanno questi qui?” Non sono luoghi turistici e soprattutto non lo erano quei villaggi in mezzo alle foreste primigenie in cui siamo stati noi. In uno di questi c’erano trenta famiglie in tutto e non vedevano uno straniero da cinque anni: l’ultimo e anche il primo della lista era stato uno scienziato russo arrivato lì per condurre degli studi. Anche con le donne c’è stato lungo dialogo. Sono tutte istruite, spesso insegnano nella scuola del paese. Sono loro che gestiscono tutto. La famiglia è patriarcale, spesso le generazioni vivono insieme e in armonia. Hanno molti figli, in media dai quattro ai sette.

Parlando con loro si scoprono tante cose. Il Kirghizistan è un paradiso terreste da un punto di vista naturalistico, ma c’è anche l’altra faccia della medaglia: la povertà, per esempio. I bambini cominciano a lavorare a cinque anni. Gli operai sulle strade e nelle gallerie in costruzione per le nuove vie di comunicazione sovvenzionate dai cinesi in funzione degli scambi commerciali lavorano in condizioni disumane e pericolose, respirando polveri nocive. La mortalità è altissima. Non ci sono normative di sicurezza sotto molti aspetti. Se si fa un incidente stradale l’assicurazione non serve a niente; vige ancora la regola sulla contrattazione. Anche se ammazzi qualcuno a causa di un incidente stradale, ti metti d’accordo per il risarcimento con la famiglia della vittima.  La corruzione è ovunque. Combini un guaio, paghi e tutto si risolve. Anche sulla piaga del randagismo c’è da dire due parole. Quando i cani aumentano di numero e per le autorità diventano pericolosi lo Stato risolve il problema sopprimendoli in massa. Non esistono rifugi come in Italia. Qui tutto viene gestito con la supervisione dello Stato. Poi ci sono le discariche, tutte a cielo aperto. I rifiuti vengono bruciati come in un falò. Nelle città ci sono zone in cui i rifiuti vengono abbandonati a montagne. Le bottigliette di plastica vengono usate per bruciarle nella stufa. Per sopperire a questa situazione il nuovo presidente ha indetto la giornata della pulizia dei rifiuti per le strade. Tutti i cittadini sono invitati a raccogliere i rifiuti e a smaltirli come si deve. Un piccolo passo, certo, ma nella coscienza delle persone sta smuovendo qualcosa. Mancano purtroppo i fondi per portare avanti progetti considerevoli e pianificare una risoluzione adeguata a tutte queste problematiche. Resta da considerare che i problemi sono sopraggiunti a causa del progresso. Dove ha messo le mani l’uomo la situazione è precipitata. Nelle aeree naturali, dove al massimo si incontrano i nomadi con la yurta e il bestiame, le cose sono rimaste intatte e incontaminate.

 

Il paesaggio kirghiso regala profumi e bellezza che aprono la mente e il cuore 

In Kirghizistan si sono sviluppate molte forme animiste dello sciamanesimo. Avete avuto dei riscontri?

Il primo incontro con lo sciamanesimo è stato al mercato all’ingrosso di Bishkek. In vendita tra la frutta e la verdura abbiamo notato un banchetto con pelli di serpente, teste di lucertole, erbe e pozioni di vario tipo per la cura del mal di gola e dei dolori muscolari. Le medicine sono andate a ruba;  l’approccio olistico al mercato è una pratica in voga. Lo stesso giorno, qualche centinaio di chilometri più avanti, appena imboccata la Valle Fergana con il gruppo siamo inciampati nella gigantesca Sacra Roccia Fallica, dove un ginepro di 200 anni che giace ai suoi piedi custodisce ciocche di capelli e desideri scritti su foglietti di carta dai credenti, che si soffermano sotto i suoi rami in preghiera ogni notte. Hanno cercato di tagliarlo, ma l’albero centenario ha resistito. Hanno poi appiccato anche un incendio nel cuore del suo tronco, ma lui ancora è vivo. È il custode dei misteri della Roccia Sacra. Forse chissà, che sia stata quella stessa magia a conservarlo nel tempo nonostante i tentativi di eliminarlo?

L’ultimo incontro con la magia è stato con i disegni nella foresta di Arslanbob. I cerchi e le linee erano delineati in un prato vicino al ruscello e c’erano anche dei cumuli di rametti secchi ai lati. Ci hanno raccomandato di non toccarli e di non spezzarne la linea. Non abbiamo potuto approfondire il motivo, dovevamo scappare. Il tempo è stato tiranno per tutto il viaggio. Troppe le cose da ammirare e scoprire; non sarebbe bastato un anno.

Albero di 200 anni accanto alla Sacro Roccia Fallica

Per salvaguardare l’albero sacro, De Matola ha lasciato un messaggio per i visitatori.

Ciocche di capelli legate agli alberi – un rito propiziatorio

Nelle attività di ricerca c’è stato uno scambio tra voi e la gente del posto?

Lo scambio è stato continuo e reciproco. Siamo arrivati con una marea di domande. Abbiamo ottenuto risposte, ma anche richieste. Sono nati progetti collaterali condivisi, ad esempio per la salvaguardia di Crataegus turkestana, esemplare in Red List e anche per l’orto botanico di Bishkek, con i suoi 45 ettari di aerea protetta; purtroppo la manutenzione è scarsa, non ci sono fondi e manca il personale volontario. Tra Kuban e De Matola inoltre si è instaurato un gemellaggio botanico. Si è parlato già di una pubblicazione scientifica a quattro mani. Anche Kuban che ha fatto parte della spedizione ha recuperato diversi semi e svolgerà lo stesso lavoro di messa a dimora di De Matola. Noi poi da Brescia passeremo a loro i dati e i risultati delle analisi svolte, che avverranno non prima di un anno; ce ne vorranno due per i primi studi sulla genetica.

Il Ministro dell’Ambiente kirghiso ci ha inoltre confidato il desiderio di una collaborazione più assidua con l’Italia, sul tema della salvaguardia della biodiversità. Senza scopi di lucro, la spedizione è stata svolta per fini prettamente scientifici ed etici. Questo è stato apprezzato dal governo kirghiso, che ha purtroppo avuto a che fare con molte attività commerciali che hanno in alcuni casi, sfruttato oltre i limiti il loro territorio.

Cosa credi ti abbia lasciato questa esperienza? 

Credo che il Kirghizistan abbia molto da offrire. Conserva tutta la memoria del pianeta. In quelle terre selvagge ho riscoperto qualcosa di atavico che non credevo di possedere. Porto nel cuore e nei ricordi tanta bellezza da far perdere i sensi. Il modo in cui vivono le persone, l’accontentarsi delle piccole cose, nessuna frenesia o fretta. La famiglia è ancora un punto di riferimento indispensabile e da tutelare. I giorni passano lenti ma intensi. Tornare è stato come svegliarsi da un sogno. Sono i giardini dell’Eden a tutti gli effetti. Ci sono ancora tante cose che vorrei approfondire e sto già pianificando di tornare presto.

Foto di Simona Duci