Venerdì pomeriggio della scorsa settimana, dopo il corteo della mattina, si sono svolti gli ultimi due appuntamenti del Climate Social Camp; due conferenze presso l’aula magna del Campus Luigi Einaudi.

La conferenza sul racconto dei cambiamenti climatici nei media era molto attesa; non è una novità che i nuovi movimenti ecologisti siano molti critici con il modo in cui i media raccontato la crisi climatica per ragioni sia quantitative che qualitative: innanzitutto secondo gli attivisti di FFF i media non danno spazio sufficiente alla crisi climatica che, date le implicazioni e le necessità operative, dovrebbe essere l’argomento principale trattato dai media. Inoltre, quando lo trattano lo fanno in maniera superficiale ed inconcludente, prestando il fianco alle operazioni di greenwashing.

Rimane inoltre sotteso il sospetto del conflitto di interesse di molte testate che hanno, tra i loro inserzionisti pubblicitari e nella proprietà, aziende che hanno nel fossile e nelle tecnologie collegate il loro principale business.

Secondo gli attivisti di FFF il cambiamento climatico dovrebbe essere il prisma attraverso il quale interpretare la realtà, un tema quindi onnipresente e pervasivo.

Ferdinando Cotugno, giornalista e moderatore del dibattito, è cosciente di tutti queste pregiudiziali e spiega già dall’inizio che tenterà di fare da mediatore tra due mondi apparentemente inconciliabili.

Nel dibattito è stato più volte citato lo studio pubblicato il 13 luglio da Greenpeace Italia e realizzato dall’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione, che esamina gli articoli pubblicati fra gennaio e aprile 2022 dai cinque quotidiani più diffusi: Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa. Nello stesso periodo, lo studio ha monitorato le pubblicità delle aziende energetiche, del settore automotive, delle compagnie aeree e crocieristiche nei cinque quotidiani.

Dallo studio traspare una realtà che dà ragione alle pregiudiziali degli attivisti di Friday for Future e le giustificazioni date dai presenti non mi sono sembrate sufficienti a far cambiare idea ai giovani ecologisti: risulta comunque positiva la volontà di confrontarsi sul tema, di creare ponti, anche perché i rappresentanti dei media main stream, presenti in forze e con esponenti apicali, non si sono rilevati come un fronte compatto.

La conferenza si è sviluppata in due blocchi, con relatori differenti.

Come viene trattata la questione climatica nei media?

Al primo blocco sono intervenuti Agnese Pini, direttrice de La Nazione, Maurizio Molinari, direttore di La Repubblica, Giulio Gambino, direttore di TPI, Salvatore Cannavò, vice direttore de Il Fatto Quotidiano. Pini e Cannavò sono intervenuti a distanza.

La domanda del primo giro di interventi è stata: come si tratta il tema della crisi climatica nei media in Italia e nel mondo?

Maurizio Molinari ha sottolineato l’aumento dell’interesse da parte dei lettori, soprattutto quelli digitali, per il tema climatico: il gruppo Gedi sta gestendo questa richiesta con la creazione del content Hub digitale Green&Blue che si occupa verticalmente dei temi climatici da due punti di vista: la protezione del clima e lo sviluppo armonizzato e sostenibile.

Secondo Giulio Gambino i cambiamenti climatici hanno generato un interesse ed un aumento di attivisti che non si vedeva da anni. Gambino fa alcune considerazioni condivisibili:

  • L’agenda climatica sparisce nel racconto quotidiano dei giornali, se vi si fa riferimento lo si fa in corrispondenza di emergenze.
  • Il clima non è questione giovanile, ma transgenerazionale
  • I media hanno bisogno di indipendenza ed autonomia per raccontare correttamente le questioni climatiche

Agnese Pini tenta di trattare la questione da un punto di vista locale dato il taglio della testata di cui è direttrice. Per riuscire a interessare i lettori locali bisogna parlare delle questioni climatiche da un punto di vista pratico e concreto.

Salvatore Cannavò spiega che il Fatto Quotidiano si è attivato per trattare il tema climatico in Fatto for Future in maniera digitale e verticale: in questo contenitore i temi climatici vengono di sovente legati a questioni economiche. Secondo Cannavò nel trattare i temi climatici non bisogna incorrere in due errori ricorrenti: la descrizione dei fatti in maniera asettica e l’eccessiva colpevolizzazione dei singoli.

Il secondo giro di interventi parte dal report dell’Osservatorio di Pavia/Greenpeace, illustrato da un attivista di FFF, report che non è molto tenero con i principali quotidiani italiani dal punto di vista quantitativo sia dal punto di vista qualitativo.    

Secondo Molinari i dati dello studio considerano solo i giornali cartacei e quindi non rispecchiano la realtà delle redazioni che ormai si stanno occupando sempre più di digitale (Repubblica, ad esempio, segue paradigma Digital First). La narrazione che mette l’accento sulla responsabilità personale è mutuata dal movimento green anglosassone.

Per Giulio Gambino il punto centrale non è quantitativo, ma qualitativo: nelle redazioni manca la capacità di affrontare questi temi in termini completi, risolutivi e competenti.

Salvatore Cannavò auspica un cambio di paradigma: la questione climatica deve diventare il prisma con cui guardiamo la realtà. Ed occorre fare legami scomodi: ad esempio le Olimpiadi invernali a Cortina sono utili per migliorare l’ambiente alpino?

Il greenwashing e libertà editoriale

Nel secondo blocco sono intervenuti Riccardo Luna, direttore di Green&Blue, Barbara Stefanelli, vicedirettore del Corriere della Sera, Federico Monga, vicedirettore de La Stampa, Tommaso Perrone, direttore di LifeGate.

In questo blocco si è dibattuto essenzialmente sul greenwashing ovvero la strategia di comunicazione finalizzata a costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale e sulla libertà editoriale per testate e giornalisti.

Secondo Barbara Stefanelli i giornali devono parlare con le imprese per attivare dei comportamenti coerenti dal punto di vista ambientale, comportamenti che superino il semplice greenwashing. Stefanelli giudica importante il tentativo che fa dal fil-rouge del Climate Social Camp di far convergere sui temi climatici tutte le criticità sociali. I giornalisti sono ancora liberi di trattare temi scomodi, soprattutto nelle testate che si reggono su lettori ed abbonati e non sono troppo dipendenti dalle grandi sponsorizzazioni delle aziende che hanno nei combustibili fossili e nelle tecnologie associate il loro core business.

Riccardo Luna cerca lui stesso di avere uno stile di vita sostenibile. Il greenwashing si combatte con il fact checking e l’attenzione per i modelli virtuosi. La libertà dipende dal coraggio perché le pressioni ci sono. Personalmente e finché gli sarà concesso cercherà di mantenere questo coraggio, anche per le generazioni future.

Federico Mongo lamenta che nelle redazioni manca competenza sui temi ambientali, anche a causa del mancato ricambio generazionale. Malgrado questo i giornalisti sono liberi di trattare i temi ambientali come meglio ritengono

Tommaso Perrone cita l’ERG come esempio virtuoso di azienda che cambia il suo core business abbandonando il fossile per occuparsi di altro. Il greenwashing si combatte ponendo l’accento sulle azioni concrete. Per guadagnare la libertà sui temi climatici le redazioni devono investire sulla formazione dei giornalisti.