L’amministrazione della provincia argentina di Rio Negro ha dato in concessione alle imprese minerarie più di 50.000 ettari, che includono territori di comunità Mapuche. Errori giudiziari trascorsi (e arrivati fino alla Corte suprema) hanno portato a una mobilitazione storica delle popolazioni indigene a Viedma e alla decisione di non lasciar passare le imprese minerarie.

Le aziende minerarie, la magistratura e il governo della provincia di Rio Negro da un lato. Dall’altro, comunità Mapuche con possedimenti secolari di territorio. Questo è lo scenario in cui si sono succeduti errori giudiziari, chiusure di cancelli e una marcia storica su Viedma. «Siamo riusciti ad organizzarci partendo dalle comunità per affrontare i petrolieri, le società minerarie, i forestali e gli agenti immobiliari.

Sappiamo che gli interessi minerari dell’Argentina sono direttamente collegati al debito estero e non permetteremo che il debito venga pagato con i nostri territori», ha dichiarato Orlando Carriqueo, del Coordinamento del Parlamento Mapuche Tehuelche.

Nel luglio 2021 le comunità Mapuche di Rio Negro hanno saputo dai mezzi di comunicazione che il governo provinciale, tramite la Segreteria del settore minerario, aveva conferito permessi di esplorazione su più di 50.000 ettari all’impresa Ivael Mining Sociedad Anónima. Come succede in tutta la nazione, hanno subito reclamato il compimento dei diritti vigenti, tra cui ciò che è stabilito nella Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (che in Argentina ha valore al di sopra delle normative locali). Hanno tentato di dialogare col governo, che non ha dato risposte.

Hanno cominciato un processo di trawn, ovvero riunioni di comunità, che includono cerimonie e partecipazione di werkenes (messaggeri) e di lonkos (capi tribù). Hanno deciso di «chiudere i cancelli delle miniere» e sette comunità hanno fatto ricorso alla magistratura. Hanno presentato una richiesta di tutela in cui hanno denunciato la violazione delle leggi che proteggono i diritti indigeni, ovvero il diritto al consenso e alla consultazione libera, previa e informata. Hanno anche fatto presente il rischio ambientale che pongono le miniere e hanno ricordato la validità della Legge Generale sull’Ambiente (25.675).

Foto: Jaime Gustavo Carriqueo

Nel febbraio 2022 il giudice Marcelo Muscillo ha emanato una misura cautelare in linea con le richieste delle comunità indigene. «Sono proibite le attività di esplorazione, prospezione, carotaggio e/o lo sfruttamento minerario così come l’entrata all’interno dei territori indigeni di nuove figure detenenti permessi», ha sottolineato.

L’amministrazione di Rio Negro, tramite la Procura di Stato, ha fatto appello immediatamente. In maggio, il Tribunale Superiore di Giustizia (con i voti di Liliana Piccinini, Ricardo Apcarian e Sergio Ceci) ha revocato la misura cautelare, il che costituisce un passo avanti per le mega miniere e per la governatrice provinciale Arabela Carreras.

Le comunità Mapuche hanno fatto appello alla Corte Suprema di Giustizia della nazione (che non ha termini di risoluzione). Parallelamente, il popolo Mapuche ha organizzato una marcia storica il 10 giugno a Viedma (capoluogo della provincia, N.d.T.). «Igkaleiñ Taiñ Mapu (a difesa del territorio)», si leggeva sulla bandiera a capo della manifestazione per le strade della città. Erano passati tanti anni da quando le comunità mapuche si erano presentate così numerose a Viedma.

Hanno percorso centinaia di chilometri per rendere esplicita l’ingiustizia nella sede del potere. Hanno fatto tappa in luoghi emblematici che favoriscono le attività estrattive: la Magistratura, la Legislatura, l’Ufficio di Gestione dei Territori, il Palazzo del Governo e il Tribunale Superiore di Giustizia.

Foto: Hernán Vitenberg

María Cona Torres è la «pillan cushe» (anziana molto saggia) ed è stata una delle voci al microfono della mobilitazione. Parlava intercalando la lingua mapuche, il mapuzungun, allo spagnolo. «Durante la pandemia ci hanno detto di rimanere in casa, mentre nei nostri territori avanzavano le miniere e ci rubavano la terra. Ma noi siamo qui, forti, e anche se ci trattano da “indiani ignoranti” perché non sappiamo leggere o scrivere, conosciamo i nostri diritti e sappiamo che le miniere danneggiano l’acqua, la terra e noi stessi», ha dichiarato. Ha denunciato il governo che non ascolta: «La governatrice (Arabela Carreras) ci chiude la porta in faccia. Deve sapere che vogliamo essere liberi di vivere secondo la nostra cultura e i nostri diritti».

Orlando Carriqueo è il portavoce del Coordinamento del Parlamento Mapuche Tehuelche. «Vengono portate avanti discussioni centrali a Rio Negro grazie al fatto che ci siamo organizzati. Ci presentiamo al potere politico provinciale e nazionale, alle imprese minerarie e ai progetti di estrazione», ha spiegato Carriqueo. Inoltre, ha collegato presente e passato: «La storia dell’Argentina dimostra che ci sono ancora situazioni irrisolte, per esempio non viene riconosciuto il genocidio che subiamo e che continua nelle nostre comunità, sia quelle Mapuche, sia quelle di altre popolazioni indigene della nazione».

Un altro dibattito (e conflitto) recente è cominciato a causa del progetto di “idrogeno verde” che include l’impresa mineraria australiana Fortescue Metals Group e la cessione da parte del governo provinciale di 625.000 ettari nell’altipiano di Somuncurá. «In questa zona ci sono almeno 32 comunità Mapuche coinvolte, i cui diritti sono violati», ha spiegato Carriqueo. Il 14 giugno hanno emesso un comunicato congiunto, indirizzato alla governatrice Arabela Carreras: «Ci rivolgiamo a Lei con lo scopo di farLe arrivare la nostra inquietudine e preoccupazione come abitanti dell’altipiano di Somuncurá. Richiediamo la consultazione previa, libera e informata delle comunità ancestrali e degli abitanti del territorio». Hanno ricordato che all’interno dei 625.000 ettari «è inclusa un’area naturale protetta e patrimonio ancestrale dei Mapuche».

Traduzione dallo spagnolo di Mariasole Cailotto. Revisione di Thomas Schmid.

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