E’ la redazione romana de La Repubblica a riportare il fatto, rilanciato da Open

I ragazzi, minorenni, durante un accertamento effettuato da due volanti della Polizia di Stato nei pressi di via G. Pagano, hanno raccontato di essere stati aggrediti dagli agenti, riportando contusioni certificate dai medici dell’Aurelia Hospital. Hanno quindi sporto denuncia accompagnati dai familiari.

Ovviamente non si può e non si deve fare di tutta un’erba un fascio, tuttavia per come Repubblica riporta il fatto, sono necessarie delle considerazioni: la prima è che tutto vorremmo tranne dover scrivere di questi articoli.

Per diverso tempo l’Arma dei Carabinieri, a partire dal fatto eclatante di Stefano Cucchi è stata nell’occhio del ciclone, ma da qualche tempo i CC non sono più protagonisti di fatti di cronaca dannosi per la cittadinanza, per l’immagine dell’Arma e per i tanti colleghi seri, equilibrati, di indubbia professionalità.

Ci risulta che l’Ufficio del Garante Nazionale per i diritti delle persone private della libertà personale, presidio contro gli atti di tortura, faccia dei corsi agli operatori dell’Arma, iniziativa che non può che giovare a tutti, non in ultima istanza, anche alla pace sociale. Parliamo dell’Arma dei Carabinieri, forse il corpo dello Stato in cui gli italiani hanno avuto maggior fiducia, certamente minata da fatti eclatanti e certamente non edificanti di cronaca. Non resta che auspicare che gli stessi corsi vengano effettuati con assiduità e regolarità anche alla Polizia di Stato.

Questo evento romano pone numerosi interrogativi, il primo riguarda proprio il piano culturale che necessariamente influenza il piano professionale. Lo abbiamo scritto molte volte: l’esercizio della forza deve essere commisurato alle circostanze, diversamente si tratta di violenza contro la persona, in certi casi tortura, e, come tali, perseguibili.

Occorre interrogarsi anche su quanto i membri delle FFOO, nonostante sussista per loro l’obbligo di denuncia in caso di reati commessi anche da colleghi, siano disposti a denunciare. Qui il piano culturale riveste anche una piena coscienza riguardo al piano della legalità e al piano della nondiscriminazione, non si può usare una doppia morale in funzione di chi sia l’autore del reato.

Purtroppo da qualche tempo a questa parte gli episodi di ferimenti di minorenni da parte dei corpi della Polizia di Stato stanno aumentando, tutto ciò desta un’inevitabile inquietudine. Quale fiducia nelle FFOO possono avere i genitori di ragazzi minorenni picchiati durante normali accertamenti o manifestazioni di piazza?

Tuttavia i casi di violenza da parte delle forze dell’ordine difficilmente sembrano trovare una qualche collocazione in ambito giudiziario. Purtroppo sorge il dubbio che la Magistratura inquirente, che si serve quotidianamente delle forze dell’ordine per le indagini, possa essere riluttante a “renderseli nemici”, naturalmente l’auspicio è che questo dubbio sia infondato.

Certo l’impressione che una serie di agenti si muova in un clima percepito (e reale?) di impunità è in alcuni casi estremamente concreta.

Sorgono anche degli interrogativi sul controllo/supporto psicologico agli operatori delle FFOO, che certamente svolgono un lavoro tutt’altro che semplice, oltre ad essere malpagati. Il dubbio è che l’esiguità delle dotazioni economiche influisca anche sulla professionalizzazione degli agenti.

E qui non si può non tornare al modo in cui Lamorgese sta svolgendo il proprio ruolo di Ministro, quello, spiace dirlo, del “moto ondulatorio”, come ebbe a dire in audizione parlamentare in relazione al poliziotto “presunto” manifestante che in piazza fu tra coloro che tentarono di ribaltare un blindato. Ministro che non ha mancato di promuovere i 2 funzionari condannati in via definitiva per i fatti di Genova 2001.

Tutto ciò non ha che l’effetto di generare una sfiducia nello Stato, vissuto come colui che esercita gratuitamente la violenza a danno di coloro che dovrebbe proteggere, i minorenni in special modo. Su questo i politici dovrebbero riflettere molto attentamente e agire o, in alternativa, andare a casa.