Intervista di Martha Gilson per la rivista francese Silence a Frédéric Boone, un astronomo che sogna una scienza più sobria e rapporti più poetici con il mondo.

Gli interventi degli scienziati si moltiplicano per ricordarci la responsabilità umana nel disastro ecologico in corso. Nel febbraio 2020, quasi 1.000 scienziati di ogni disciplina invitavano alla disobbedienza civile su Le Monde, ritenendo che “il nostro attuale stile di vita e la crescita economica non sono compatibili con la necessità di contenere i cambiamenti climatici entro dei livelli accettabili”. Questa critica trascura troppo spesso il settore spaziale, la cui utilità sarebbe dimostrata dai dati raccolti sul cambiamento climatico.

Alcuni astrofisici, tuttavia, mettono in dubbio la validità della conquista dello spazio, come Aurélien Barrau: “Mentre la grande crisi ecologica che ci minaccia depone oggi – specie riguardo alla nostra stessa sopravvivenza – a favore di una rapida riscoperta della sobrietà, che senso ha precipitarsi a costruire una costellazione di satelliti, in una corsa gestita da una società privata, che decuplicherà l’uso delle tecnologie digitali, terribilmente energivore e desocializzanti?”(1)

Silence: dove sta andando la ricerca?

Frédéric Boone: Ciò che motiva la ricerca spaziale oggi è la curiosità, ma anche tutte le sue possibili applicazioni: militari, ecc. Alcuni ricercatori credono ancora che la conquista dello spazio potrebbe consentire all’umanità di lasciare la culla terrestre per colonizzare altri pianeti. Non ci credo affatto, è una gigantesca favola. Siamo molto lontani anche dall’andare su Marte, un pianeta ostile. E soprattutto, vista la situazione sulla Terra, è palese che l’urgenza non è quella di andare a colonizzare Marte, nemmeno di sviluppare ulteriori tecnologie per andare su Marte: bisognerebbe piuttosto mettere in campo tutti i mezzi possibili per migliorare la situazione sulla Terra.

Quale potrebbe essere una posizione accettabile per un ricercatore?

Frédéric Boone: Non ho la risposta, ma bisognerebbe rinunciare a contribuire direttamente a quel genere di sviluppi, e farlo pubblicamente. E’ ciò che stiamo cercando di fare all’Atécopol (L’Atelier d’écologie politique, fondato nel 2018 a Tolosa, è una comunità multidisciplinare di scienziati che riflettono sui molteplici aspetti legati agli sconvolgimenti ecologici, N.d.R.)

Ammiro l’approccio di Alexandre Grothendieck, uno dei più grandi matematici di tutti i tempi, che negli anni ’70 ebbe una presa di coscienza e finì per dimettersi. Ecologista convinto, ha cercato di convincere i ricercatori e ricercatrici a interrompere quei lavori la cui applicazione distrugge gli organismi viventi. Non si tratta quindi di un problema nuovo. I ricercatori devono prendere posizione, perché la neutralità della scienza è una chimera. Fare il nostro lavoro di scienziati come ci viene richiesto non significa rimanere neutrali.

Come si può fare scienza a bassa tecnologia?

Frédéric Boone: Questo pone la questione della definizione di ricerca. Che tipo di ricerca vogliamo fare? Se passiamo al low tech, non saremo più in grado di proseguire le ricerche attualmente svolte in astrofisica, cioè lo sviluppo di grandi strumenti, imponenti telescopi che richiedono altissime tecnologie ed enormi quantità di energia per elaborare i dati che raccolgono. Dovremo dimenticare questo tipo di progetto, tornare ai piccoli telescopi. È possibile costruire manualmente un telescopio, lucidare uno specchio. Non è più la stessa scienza, ma non c’è necessità di andare a cercare le galassie più lontane. Bisogna anche tornare ad una forma di meraviglia, di contemplazione. Non sono sicuro che si debba assolutamente cercare di capire tutto, il che è un po’ la forza trainante della nostra civiltà.

Quale rapporto con il cosmo nel futuro?

Frédéric Boone: Paradossalmente, abbiamo perso questo legame con il cosmo. La maggior parte delle persone vive in città e non può più, di sera, osservare la Via Lattea ad occhio nudo. È paradossale, mentre siamo pure in grado di osservare galassie lontanissime, risalire quasi al big bang. Ci rivolgiamo quindi agli astrofisici perché ci raccontino l’universo e ci facciano sognare. Ma solo qualche decennio fa potevamo alzare lo sguardo e, aprendo gli occhi, stabilire una connessione con lo spazio. Mi sento di dire: smettiamo di cercare risposte alle nostre domande metafisiche con grandi telescopi, e sdraiamoci sull’erba, la sera, per contemplare l’immensità del cosmo e il suo mistero (dopo aver spento le luci delle città). È un misto di consapevolezza collettiva, non correre più dietro a progetti faraonici e porre limiti alla nostra sete di capire e, allo stesso tempo, a livello individuale, lasciar andare, accontentarsi.

Naturalmente, ci sono altri sogni possibili oltre alla conquista dello spazio o alla conoscenza dell’universo lontano. Oggi, i giovani sognano Thomas Pesquet (astronauta francese dell’Agenzia Spaziale Europea, N.d.R.), ma sono anche molto preoccupati dalla situazione, e a ragione! Hanno anche bisogno di prospettive. Possiamo immaginare altri sogni, che ci permettano di tener conto della realtà per uscire da questa schizofrenia. C’è modo di farci sognare un mondo più unito, più umano, più attento a quello che ci circonda sulla Terra, che non sia più nel culto della crescita economica e della competizione a tutti i livelli.

L’astrofisica ha fatto sognare anche me, naturalmente. La nostra galassia ha un diametro di 100.000 anni luce. È difficile da immaginare, ma lo si può studiare con le equazioni della fisica, è affascinante. Siamo polvere di stelle, il che significa che la maggior parte degli atomi di cui siamo composti sono stati generati un bel giorno nel cuore di una stella. E’ quasi biologia su larga scala. Negli anni ’70 gli astronomi hanno proposto di considerare le galassie come esseri viventi. È appassionante. Ed è bellissimo! Oggi ho semplicemente voglia di condividere queste conoscenze e lo stupore che suscitano, pur mettendo in discussione il nostro desiderio di volere sempre di più. Nelle mie conferenze cerco di trasmettere ciò che capisco sulla singolarità della nostra situazione, sui limiti della nostra conoscenza e sulle sfide del nostro tempo. Il futuro a breve termine della vita sulla Terra sfugge al determinismo astrofisico. L’abitabilità del nostro pianeta è diventata un problema etico.

Frédéric Boone è assistente astronomo all’Istituto di Ricerca in Astrofisica e Planetologia (Irap) di Tolosa), CNRS – UT3.

NOTA: 1) “SpaceX et la nouvelle conquête spatiale: la démonstration de notre incohérence “, Aurélien Barrau, 02 giugno 2020, goodplanet.info

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Silence è la più antica rivista ambientalista francese. Esiste dal 1982. La rivista esplora alternative concrete e cerca di affrontare qualsiasi argomento non solo da una prospettiva ecologica e di decrescita, ma anche da una prospettiva femminista e nonviolenta. Silence è un’associazione sostenuta da volontari e da 4 dipendenti part-time, retribuiti con lo stesso stipendio. L’associazione è autogestita. Pubblica una rivista cartacea mensile.

Traduzione dal francese di Dominique Florein. Revisione di Thomas Schmid.

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