Le iniziative del Sud globale hanno molto da contribuire alle discussioni sullo sviluppo, la sostenibilità e il cambiamento climatico, soprattutto quando si tratta di cambiare il nostro comportamento. Il mondo sta continuamente sottoscrivendo nuovi accordi su come combattere il cambiamento climatico, ripristinare la biodiversità e garantire il rispetto della natura, assicurando allo stesso tempo uno standard di vita dignitoso per tutti.

Tuttavia, raramente viene specificato come dovremmo realizzare questi cambiamenti. Il mondo si è impegnato a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile nel 2030, anche se a causa del Covid i passi avanti sono decisamente più lenti rispetto al passato. Il quadro di riferimento non specifica come gli obiettivi debbano essere raggiunti. Il linguaggio è incentrato su obiettivi e indicatori, e occasionalmente fa riferimento a concetti quali l’armonia con la natura o la produzione e il consumo responsabili, puntando allo stesso tempo a una crescita economica del 7%. Questo è sintomatico dell’epoca della “morte delle ideologie”, iniziata con il nuovo millennio, quando sono stati concordati gli obiettivi di sviluppo del millennio.

Dopo la caduta del muro di Berlino, la fiducia nel comunismo è diminuita, molti si sono rivoltati contro il capitalismo e la globalizzazione, e le teorie del buon governo nello sviluppo non hanno mantenuto le promesse. Lo sviluppo inclusivo dovrebbe dare una risposta alla mancata realizzazione di molti dei diritti umani convenzionali, soprattutto quelli socioeconomici.

Alla luce di questa realtà, è interessante guardare ai paradigmi tradizionali che sono esistiti nelle culture indigene per migliaia di anni, ma che allo stesso tempo sono stati adattati ai tempi moderni per affrontare le sfide attuali. Queste visioni del mondo mettono in discussione le nozioni di sostenibilità, sviluppo, obiettivi e diritti individuali. Tutte hanno in comune un concetto fondamentale: il servizio o la reciprocità. Nulla avviene in modo isolato e tutto è collegato. Pertanto, è meglio parlare di servizio che di sviluppo, così come Amartya Sen sosteneva che è importante vedere come realizzare i diritti e le libertà individuali (Sviluppo come libertà), è altrettanto importante vedere come raggiungere il benessere collettivo attraverso la reciprocità. Cioè con tutti gli esseri viventi.

Ubuntu africano

La filosofia dell’Ubuntu è una credenza tradizionale dell’Africa meridionale ed è conosciuta in tutta l’Africa subsahariana, anche se con nomi diversi. “La vita è un aiuto reciproco” riassume il suo principio fondamentale. Questo concetto è espresso anche in “Io sono perché tu sei”; “Io sono una persona attraverso altre persone”. “Posso realizzare la mia umanità solo rispettando la tua umanità”. “La mia umanità è intrinsecamente legata agli altri, alla loro capacità di realizzare la propria dignità”. Questa dignità si estende anche ai non nati e a coloro che sono morti (i morti viventi, considerati vivi in quanto ricordati come antenati).

Allo stesso tempo, questa dignità si estende alla Natura e alla Terra. Non solo le generazioni future dipendono dalle nostre risorse naturali condivise, ma anche noi le abbiamo ereditate dai nostri antenati che sono tornati alla Terra e l’hanno spiritualizzata. Una violazione dell’Ubuntu, un comportamento irrispettoso, è quindi una mancanza di rispetto nei confronti degli esseri umani viventi, di quelli che devono ancora nascere, dei morti viventi e della Natura. Rispettando il principio della condivisione, posso assicurarmi che anche l’altro sia rispettato nella sua umanità.

Basare i principi economici sull’interesse personale, sull’individualismo e sul materialismo è un’antitesi all’Ubuntu, proprio come le idee del “cogito ergo sum”, sono perché penso, la supremazia della ragione (e della scienza). L’Ubuntu si discosta da questo postulato pensando con il cuore. Le relazioni umane sono considerate infinitamente più importanti del concetto astratto di “sviluppo”.

Alcuni criticano l’Ubuntu come una romanticizzazione del passato, altri per le caratteristiche paternalistiche delle culture tradizionali. Alcuni sostengono che l’Ubuntu è destinato a perdersi, mentre tutti saliamo sulla scala dello sviluppo moderno, basato sul merito individuale. Eppure è ancora molto vivo tra la gente comune, non solo come metodo di sopravvivenza e solidarietà, ma anche come cultura spirituale del fare ciò che è giusto. Il fatto che ciò possa non giovare al singolo individuo per il progresso individuale in termini di tenore di vita (la famiglia allargata chiederà sempre la sua parte), è esattamente ciò che vuol dire “Io sono perché noi siamo”. Avanziamo o falliamo insieme.

Il Sudafrica ha utilizzato il concetto di Ubuntu non solo per istituire la Commissione per la Verità e la Riconciliazione articolata nel progetto di costituzione (dopo la fine dell’apartheid, N.d.T.), ma anche come politica estera (diplomazia Ubuntu), politica amministrativa di buon governo (Batho Pele – People First) e nei tribunali. Ciò ha portato a un’ampia giurisprudenza sulla giustizia riparativa nelle importanti questioni della pena di morte, del diritto penale, dello sfratto dagli alloggi (la proprietà privata non è più sacrosanta) e del diritto di famiglia. Sfruttare la sua filosofia indigena in altri ambiti, come l’economia, potrebbe giovare ulteriormente alla sua transizione verso la sostenibilità e l’inclusione.

Felicità buddista

La filosofia della Felicità Nazionale Lorda è stata inventata come antidoto al Prodotto Interno Lordo. Quando negli anni ’70 fu chiesto al monarca assoluto del Bhutan quale fosse il PIL del suo Paese, lui rispose che era più interessato alla felicità nazionale lorda del suo popolo. La felicità dovrebbe essere intesa come “equilibrio e armonia interiore”, piuttosto che come felicità edonica come la intendono gli occidentali.

Armonia nazionale lorda potrebbe essere una parola migliore per descrivere la visione del governo bhutanese. È radicata nel buddismo, che percorre la Via di Mezzo, l’ottuplice sentiero e le quattro nobili verità. È stata modernizzata dal Centro Studi del Bhutan in una politica basata su quattro pilastri: la cultura come base per lo sviluppo, il benessere socio-economico, la cura dell’ambiente e il buon governo. Poiché contrasta con la logica del PIL della crescita illimitata, è stata anche riassunta in un indice, il Gross National Happiness Index. Questo indice comprende nove ambiti di benessere come l’istruzione, la salute, la diversità culturale, la biodiversità e l’uso del tempo. La compassione è un’idea centrale del buddismo, che si estende a tutte le forme di vita e alla natura animata. Questa idea è spesso combinata con le credenze tradizionali del Bon (religione tradizionale del Tibet prima dell’arrivo del buddismo, N.d.T.) che attribuiscono sacralità alla natura e agli spiriti della natura. Le idee sono anche radicate nella credenza della Vita Semplice, che consiste nel prendere solo ciò di cui si ha bisogno. Il benessere e la coltivazione della disciplina spirituale sono visti come sviluppo piuttosto che come accumulo di ricchezza economica.

La Costituzione bhutanese del 2008 ha fatto della Felicità Nazionale Lorda un principio centrale e tutte le politiche si basano su questa logica. Nonostante il fatto che il Bhutan, come tutti gli altri Paesi “in via di sviluppo”, abbia difficoltà a mantenere l’interesse dei giovani per la vita rurale tradizionale, fa uno sforzo esplicito per tenere viva la propria cultura. La tutela della natura ha un ruolo centrale: la Costituzione richiede una copertura forestale del 60% (attualmente è del 72%) e attribuisce a tutti i cittadini dei doveri nei confronti dell’ambiente. Il rispetto per tutti gli esseri senzienti rimane un principio centrale della cultura buddista, che si esprime in frequenti piantumazioni di alberi, azioni di pulizia e obiettivi di rifiuti zero, oltre che nella conservazione della fauna selvatica e nell’energia idroelettrica, che ha un impatto positivo sulla biodiversità del Paese. A causa della forte influenza dell’India e di altri paesi, non ha però conservato tutte le caratteristiche tradizionali, come i beni comuni e la gestione tradizionale dei villaggi da parte delle famiglie.

Buen Vivir andino

L’idea politica e filosofica del Buen Vivir è radicata nel concetto andino di Sumak Kawsay, una parola quechua. Risuona con le culture di altri popoli indigeni dell’emisfero occidentale e si incentra sull’idea di vivere in armonia con la natura. Letteralmente significa Buon Vivere, vivere in pienezza (al massimo delle possibilità) o il modo giusto di vivere. Il concetto di comunità è esteso a tutte le forme di vita e si tratta quindi di una visione biocentrica della vita. Gli esseri umani sono visti come uguali alle altre forme di vita. La natura non è un oggetto ma un soggetto con cui ci si relaziona, come in una grande famiglia. Mira a un’uguaglianza radicale e la gratitudine verso la natura e la Madre Terra è un principio centrale. La Madre Terra è colei che dà la vita e come tale viene definita un genitore a cui si deve rispetto. Il concetto di sostenibilità è considerato ridicolo, poiché tutta la vita cresce e decade in un ciclo eterno. La vita è vista come ciclica o come una spirale. Lo sviluppo lineare non esiste e la crescita infinita è un’illusione, destinata solo a impoverire la terra. Il Buen Vivir punta a un modello economico alternativo che includa la sovranità alimentare ed energetica, la democrazia partecipativa e molte forme di scambio e di reciprocità. L’integrità (olismo), la complementarità (uomo-donna), la corrispondenza e la reciprocità sono centrali nel Sumak Kawsay.

Il Buen Vivir è criticato per le stesse ragioni di Ubuntu e spesso viene erroneamente associato al comunismo. Tuttavia, comunismo e comunitarismo sono due concetti diversi, in cui il primo è incentrato sul potere dello Stato (e sulle lotte antiborghesi) mentre il secondo trova la sua ispirazione in comunità e collettivi autonomi. Il Buen Vivir è strettamente legato alle lotte per l’autonomia dei popoli indigeni, alla cosiddetta plurinazionalità (lo Stato composto da molte nazioni) e al rispetto dell’interculturalità.

I governi di Ecuador e Bolivia hanno inserito il Buen Vivir nella loro costituzione nel 2009. Il primo ha basato tutte le sue politiche sul Buen Vivir e ne è seguita una vivace esplorazione giuridica. La natura poteva essere difesa da chiunque e non era più necessario dimostrare un interesse personale o un danno. Poiché il Buen Vivir non è estraneo alla politica, i giudici furono spinti a non proibire l’estrazione mineraria e l’esplorazione petrolifera su larga scala, poiché tali entrate erano necessarie per i programmi sociali volti a ridurre le disuguaglianze (un altro principio del Buen Vivir). Ma queste politiche dividevano le comunità indigene e andavano contro il principio dell’armonia con la natura. Ora che l’indipendenza del sistema giudiziario è stata ripristinata da un nuovo presidente, si sono viste delle sentenze più positive sui diritti della natura.

Conclusioni

Quando si analizzano i quadri di sostenibilità come gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e le discussioni nell’ambito della Convenzione sulla Biodiversità o degli Accordi sul Clima di Parigi, spesso gli obiettivi sono ancora formulati secondo una mentalità modernista. L’uomo è al di sopra della natura e ne ha il controllo. La scienza e la ragione risolveranno gli attuali problemi di sottosviluppo, disuguaglianza e cambiamento climatico. Il materialismo regna e la meritocrazia è ancora vista come il mezzo per far uscire tutti dalla povertà (compresa la natura). L’emancipazione della natura attraverso il Buen Vivir offre una prospettiva alternativa. Questa risuona anche con le credenze africane di umanità e con la filosofia buddista di tutela della natura, nonché con altre credenze indigene come quelle dei Maori o degli indigeni australiani. La natura non è più schiava del possesso e dello sfruttamento umano, ma un’entità a sé stante con un valore intrinseco a cui si deve gratitudine e rispetto. Prendere questo come punto di partenza, invece dello sviluppo umano egocentrico, porta a una società profondamente diversa, radicata nella solidarietà con gli altri e con il proprio ambiente di vita.

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Dott.ssa Dorine E. van Norren è ricercatrice associata presso il Van Vollenhoven Institute for Law, Governance and Society di Leiden, Paesi Bassi.

Questo articolo si basa sulla tesi di dottorato (2017) Development as Service, A Happiness, Ubuntu and Buen Vivir interdisciplinary view of the Sustainable Development Goals. Vedi anche: Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile visti attraverso la Felicità Nazionale Lorda, l’Ubuntu e il Buen Vivir | SpringerLink

Traduzione dall’inglese di Thomas Schmid. Revisione di Filomena Santoro.

L’articolo originale può essere letto qui