Oggi vi racconto una piacevole chiacchierata con Sonam Yangdon – Broke Bhutanese Artist– una giovane ragazza di 19 anni cresciuta in un villaggio del Bumthang, parte centrale del Bhutan, e che vive da qualche anno in Australia con la sua famiglia. È proprio con l’arrivo in Australia con le prime difficoltà di ambientamento, il sentirsi ‘diversa’ e stati d’animo come la solitudine che Sonam ha iniziato una esplorazione artistica che l’ha portata alla scoperta del suo talento. Recentemente la sua opera “Dear Myself” è stata premiata al programma RAW – una nuova call annuale aperta ai giovani dai 16 ai 21 anni, che presenta le migliori opere d’arte originali prodotte dai giovani della regione di Murray, in Australia.

Puoi spiegarci il significato del nome Broke Bhutanese Artist?

Ho scelto questo nome perché lo trovo divertente e può attirare followers, sottolinea le mie origini ed è una strada per mostrare come gli artisti sono in un certo senso rotti – da broke – che significa anche “al verde”, per i materiali artistici costosi. Nei miei disegni iniziali cercavo di mettere sempre in evidenza dei segni tradizionali bhutanesi, come le abitazioni e i paesaggi, ma anche gli abiti tradizionali. Cercavo di raggiungere prima di tutto il pubblico bhutanese e avere più attenzione da parte loro. Ora i miei lavori sono molto più aperti, con una immaginazione più grande ed universale.

Come sei arrivata in Australia e come è cambiata la tua dimensione dal piccolo regno himalayano ad un grande paese?

Sono arrivata in Australia con mio padre, mia madre e mio fratello dopo che mio padre ha ottenuto una borsa di studio per un dottorato in scienze ambientali. Credo che venire qui mi ha fatta maturare molto, mi ha aperta mentalmente con nuove prospettive di me stessa. In Bhutan non ci sono molte persone di altre nazionalità da poter incontrare e anche la scuola mi ha colpita e segnata in modo diverso, aprendo la mia mente. Sento di essere diventata una persona nuova.

Che ruolo ha avuto l’arte in questo passaggio?

Quando ero in Bhutan non mi ero mai dedicata all’arte, pensavo come molti di non essere portata. Quando sono arrivata qui e ho iniziato a frequentare la scuola da teenager mi sentivo così diversa, nella zona in cui vivo non ci sono molti asiatici. Durante il periodo delle scuole superiori mi sentivo molto isolata e avevo bisogno di qualcosa per esprimere me stessa, le emozioni che provavo e per essermi amica. Queste difficoltà sono state una benedizione perché così ho scoperto l’arte. Questa transizione mi ha davvero influenzata – quando mi sentivo sola avevo l’abitudine di andare in biblioteca durante le pause dalle lezioni e leggevo tantissimi libri per bambini, ero impressionata da come questi mi facessero sentire al sicuro e felice e così ho iniziato a pensare alla scrittura e al disegno di storie, che possono portare sollievo anche ad altre persone. Ora che la mia opera è esposta al museo ho ricevuto dei messaggi in cui mi venissero richieste delle copie del libro che non ho ancora pubblicato, e questo è stato molto entusiasmante.

L’opera Dear Myself – Caro me stesso evidenzia un bellissimo senso artistico ma anche l’esplorazione di una dimensione sensibile ed emotiva forte, in una danza tra il buio e la luce. Cosa ci dice questa opera di te ma anche della tua generazione, soprattutto negli ultimi due anni di pandemia?

Nel periodo in cui mi sentivo molto sola avevo deciso di lavorare in un ristorante la sera. Una notte mentre tornavo a casa mi sono sentita così smarrita perché non avevo nessuno con cui parlare e che poteva capirmi che ho iniziato ad immaginare qualcuno che fosse lì per me. Da lì il diario: ‘caro me stesso come stai…’ e altre bellissime parole che desideravo qualcuno mi dicesse. Dopo, quando ho riletto il mio diario ho pensato di metterlo nei disegni e così è nata la storia. Non credo sia stata influenzata dagli anni della pandemia perché sono una persona introversa, anche qui non ho molti amici, non esco molto fuori ed è normale per me stare così tanto tempo in casa, un tempo piacevole da dedicare alle mie passioni.

Penso che la mia personalità sia cambiata molto negli ultimi anni – in Bhutan è nella nostra testa sentirci sempre “Io sono Bhutanese”, “sono fiera di essere bhutanese”, “il nostro re è grande”. Questi tipi di pensieri sono veramente coltivati nella nostra testa. Dopo che sono arrivata qui ho sentito un grande cambiamento, non che cambiassi in base alla nazione dove sono arrivata, ma una grande apertura interiore e mentale, oggi posso dire che non appartengo al Bhutan ma al mondo.

I bhutanesi hanno un senso molto forte di identità culturale, sono molto orgogliosi della loro unicità e credo che sia per questo che sono molto timidi nell’aprirsi con le persone di altre nazionalità.

Ti piace produrre la carta artigianale, ma anche recuperare materiali diversi, riciclare abiti e tessuti che non creatività possono ancora essere belli in forme nuove. Qual è il messaggio che c’è dietro?

Mi piace il fashion designer da quando ero piccola, ricordo che cercavo di creare e ricreare i tessuti come un gioco con mia madre. Ho sempre pensato di diventare una fashion designer, ma dopo che sono arrivata qui ho scoperto la ‘fast fashion’, l’impatto negativo che ha sulle persone e soprattutto come colpisce l’ambiente. Mi piaceva così tanto comprare vestiti ma poi con queste riflessioni ho sentito che non era giusto continuare così e che potevo creare qualcosa di unico con le cose che già avevo, ho creato così una nuova prospettiva fashion per me. Se non avessi conosciuto gli effetti della ‘fast fashion’ forse avrei continuato come prima a desiderare e comprare sempre nuovi vestiti – questo ha veramente cambiato il mio punto di vista. Oggi compro nei negozi di seconda mano e in modo consapevole. Sono diventata molto minimalista, non guardo molto alle cose materiali.

Negli ultimi anni il Bhutan sta attraverso una fase molto delicata, sono tantissimi – soprattutto i giovani – che cercano di andare altrove, di trasferirsi in società più grandi e moderne, come l’Australia. Se posso chiedertelo cosa manca qui che vi spinge altrove e cosa ti manca del tuo paese?

Penso che la cosa che principalmente spinge le persone verso altri paesi è la scarsità di lavoro. Anche se hai finito il college e sei veramente preparato e intelligente è difficile ottenere un lavoro. E anche se ottieni un lavoro la paga è molto bassa – penso che sia molto deprimente per i giovani vedere che non c’è futuro in Bhutan. Se tu vieni in Australia a semplicemente per fare pulizie, per esempio, guadagni più di un ufficiale in Bhutan.

Penso che se ora tornassi in Bhutan mi sentirei davvero triste, perché qui posso continuare la mia carriera artistica mentre lì non c’è futuro per l’arte e il fashion designer. Se ci fosse il lavoro molti rimarrebbero lì. Aldilà di questo aspetto, mi manca tutto del Bhutan, ogni singola cosa.

Riesci a tenere vive alcune tradizioni lì?

Quando siamo arrivati qui abbiamo portato con noi delle maschere bhutanesi, dei dipinti buddisti e delle statue per creare un ambiente confortevole. Le tradizioni bhutanesi sono quasi tutte religiose e riguardano le connessioni tra famiglie. Credo che il valore più grande che noi abbiamo portato qui è la nostra famiglia e il nostro legame. Vedo che qui molti ragazzi a 18 anni sono già fuori dalla famiglia e vivono da soli, ma io sono ancora qui insieme ai miei genitori e ci aiutiamo l’un l’altro. Questo penso sia il vero cuore della cultura bhutanese: il forte legame con la famiglia.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Ora sto studiando podologia, penso che sia una saggia decisione per me perché potrò lavorare facilmente da terapista e quando avrò abbastanza risorse per mantenermi da sola studierò arte. Penso che resterò qui in Australia, di pubblicare le mie storie e di vendere i miei libri in tutto il mondo per raggiungere più persone possibili. Quando le cose andranno bene mi dedicherò a tempo pieno all’arte e metterò da parte l’attività da terapista. Penso che andrò in Bhutan ogni anno per le vacanze e per trascorrerci un mese, tutta la mia famiglia, i miei nonni e i miei amici sono lì.

Per chi volesse scoprire di più su Sonam e la sua arte, su Instagram troverete molti disegni, storie e abiti reinventati con un approccio attento alla sostenibilità. Di seguito i link con i suoi profili

https://instagram.com/brokebhutaneseartist?igshid=YmMyMTA2M2Y=

https://instagram.com/brk_designing?igshid=YmMyMTA2M2Y=

Tavola di Dear Myself, 2021 disegni con stampa digitale, per gentile concessione dell’artista. Sonam Yangdon e l’opera Dear Myself esposta al museo Mamalbury, Australia.