In ogni guerra non ci sono i buoni e i cattivi, ma i contendenti che non hanno saputo o voluto dialogare. Dobbiamo uscire da questa visione stereotipata che ci portiamo dalla scuola dove ci facevano dividere la lavagna tra buoni e cattivi e dove si era spinti ad annotare chi disturbava (i cattivi) senza pensare per un attimo che forse i disturbatori a volte erano quelli che non resistevano alle provocazioni dei buoni. Dai fallo ridere, dicevano… così il bersagliato ci cascava e sappiamo come andava a finire.

Quando scoppia una guerra le idee dei contendenti sono opposte, a volte inconciliabili e trovare un punto di incontro diventa troppo complicato. Le guerre insanguinano il pianeta da sempre e al posto di dialogare si cercano sempre nuove e moderne tecnologie per combattere e tentare di vincere il nemico; chi soccombe a tanta ferocia sono però solo i popoli, i cosiddetti civili, che subiscono morte e distruzione senza trarne alcun vantaggio. Ma l’uomo, con la sua corteccia cerebrale così evoluta rispetto a quella di tutti gli altri abitanti del pianeta, non potrebbe trovare una soluzione a questa piaga distruttiva del vivere civile? Il Dialogo, termine greco composto da dià, attraverso e logos, discorso, è una parola lunga millenni, di cui il filosofo Socrate ne ha dato un significato profondo e di cura interiore. Il dialogo nasce come confronto verbale, ma non è un parlare per parlare, esso è un passare attraverso l’altro in senso metaforico, è un “perforare” simbolico e pacifico per incontrarlo. La speranza che si dialoghi è forte, ma la speranza da sola non basta, essa è un’attesa fiduciosa, uno stato dell’anima ottimista che da solo non risolve il problema. Si rende invece necessario educare alla nonviolenza e quando, sfiduciata, penso che tutto sia perduto per l’umanità mi torna in mente una domanda: “È possibile vivere in modo nonviolento?” la risposta è: “Sì, se si osserva la vita nei suoi diversi aspetti”. Non si può pensare di riuscirci se si continua ad abusare i bambini, le donne e trattare crudelmente gli animali, ad inquinare senza tregua, ad essere violenti a partire dagli sguardi feroci verso chi non la pensa come noi. La violenza di cui la guerra è massima esponente si argina, nel tentativo di superarla, comprendendo che si possono ottenere risultati solo con l’uso della parola di cui noi umani siamo gli unici detentori. Il dialogo non è solo un vocabolo, ma una modalità per vivere in pace nel Mondo. Eppure non si dialoga davvero ma troppo spesso si mettono solo in mostra le proprie posizioni, la parola dialogo è diventata una parola priva di significato concreto, è un flatus vocis che vola nell’aria disperdendosi, un paravento per far vedere che si vuole il confronto senza cercarlo davvero.

Non dimentichiamo, come sosteneva Gino Strada, che la guerra non è mai la soluzione ma il problema.