Vi presentiamo qui l’ultima parte dello studio « Spunti per la nonviolenza » realizzato da Philippe Moal, in 12 capitoli. Alla fine dell’articolo trovate i link alle puntate precedenti.

Non si tratta qui di dare spiegazioni sul complesso tema della dualità, ma di osservare come il modo di affrontarla può portare alla violenza.

Quando rivolgo uno sguardo inquisitore, sospettoso, critico, pusillanime su ciò che è diverso, quando vedo ciò che è opposto come un pericolo, quando affronto il mondo e la sua dualità come un rischio, il mio sguardo mi mette in duello (conflitto) con lui, per riprendere il significato etimologico del termine dualità, duellum.

La dualità è intrinseca nel nostro mondo e il modo in cui la consideriamo condiziona il mio pensiero e le mie azioni.

In generale c’è simbiosi tra le mie percezioni e le mie rappresentazioni interiori, se no sarei costantemente in guerra con il mondo o con me stesso.

A livello sociale, siamo spinti a polarizzarci e a radicalizzarci – per genere, razza, comunità, religione, partito politico, squadra di calcio, nazione ecc. Le relazioni sono a forma di mandorla, con i poli opposti rivolti verso la diffidenza, la paura e la violenza.

Di fronte a un conflitto, la tendenza è di polarizzarsi da una parte, spesso in maniera spontanea a seconda della relazione emotiva che esiste con le persone implicate, o a partire dalle proprie idee, valori, credenze, e a partire dai propri punti di vista legati alla nostra appartenenza culturale o comunitaria, o in funzione dei propri pregiudizi sulla questione sessuale, razziale o generazionale per esempio.

Una volta che ci siamo posizionati, diamo per scontato che la parte scelta (sempre che l’abbiamo scelta veramente) abbia sempre ragione, e che l’altra abbia sempre torto, indipendentemente dalle sue argomentazioni o dalla sua giustezza. Naturalmente tutti pensano la stessa cosa: “È l’altro che ha torto, è l’altro che ha provocato la violenza”. La comunicazione in questo caso è difficile, se non impossibile.

Se consideriamo gli insegnamenti di diverse culture, una veloce carrellata ci fa capire che gli scettici dell’antichità applicavano la sospensione del giudizio, che consiste nel non fidarsi mai della prima impressione, di nessun giudizio di valore, ossia di non accettare un punto di vista piuttosto che un altro senza rifletterci; sappiamo che i massoni studiavano lo scontro degli opposti, l’opposizione di bianco e nero nel pavimento a mosaico, al fine di attingervi l’armonia, l’equilibrio nella simmetria, il multiplo e infine l’unità; nella filosofia cinese, i principi di dualità dello yin e lo yang sono contemporaneamente opposti e complementari e il Tao rappresenta l’unità aldilà della dualità, per la quale la non-azione non vuol dire non agire ma agire senza desiderio, senza attaccamento alla finalità dell’azione; nella dottrina di Śaṅkara[1] conosciuta come non-dualità, la divinità viene considerata nella sua totalità, aldilà di ogni dualità, anche quella tra Essere e Non-Essere. Si tratta di uscire dall’illusione tramite la conoscenza. La liberazione avviene tramite il superamento di questa illusione fondamentale che si traduce a livello individuale con l’ignoranza.

Io sono brahman, io sono tutto. Io sono puro, cosciente, nato da nessuna parte. Io sono l’eterno principio della coscienza, privo di attributi, senza secondo. Io non sono né esistente, né non-esistente, né tutti e due contemporaneamente. Io non sono che Shiva. La mia visione eterna non conosce né giorno, né notte, né crepuscolo. Colui che ha raggiunto questa conoscenza è un perfetto, uno yogi, un brahmane[2].

Ma torniamo al nostro mondo, in cui la non-integrazione del diverso genera contraddizione, odio e distruzione.

Senza negare le nostre appartenenze e convinzioni, come possiamo modificare il modo di relazionarci attualmente guidato da una forma mentale[3] radicata in ognuno di noi che ci spinge a rifiutare ciò che è diverso dal nostro modo di pensare, di sentire e di agire? Come risolvere i conflitti diversamente che con la violenza, diversamente che con il conflitto e la frattura?

La metodologia della nonviolenza del Nuovo Umanesimo Universalista è attivamente impegnata in questa direzione, quindi esaminiamo qualcuno degli spunti che propone.

  • Le pratiche sull’attenzione presentate nel capitolo precedente permettono di non reagire in maniera impulsiva, di riflettere prima di agire partendo dal proprio centro di gravità. La connessione con se stessi ci dà la possibilità di osservare e comprendere la dualità che è in noi. Questo permette di riconoscere i propri limiti, i propri pregiudizi, la propria intolleranza, così come le proprie attitudini e qualità; questo permette allo stesso tempo di riconoscere nell’altro i punti deboli, ma anche la sua forza, la sua bontà, la sua intelligenza, la sua umanità.
  • La violenza dell’altro rinvia sempre alla nostra propria violenza. Il violento ci dà la possibilità di vedere dove siamo rispetto alla nostra. Possiamo osservare la facilità con cui rispondiamo alla violenza a nostra volta con la violenza, e renderci conto della nostra capacità o incapacità di resistere a questa tentazione.
  • La violenza e la nonviolenza sono le due facce di un’unica medaglia. L’una non va senza l’altra; al contrario, l’una esiste perché c’è anche l’altra. Violenza e nonviolenza si alternano come i due poli di un pendolo. Anche se è una risposta ancora non integrata, anche se non abbiamo fatto nostra questa ginnastica mentale a livello personale e sociale, quando c’è violenza, c’è sempre, sistematicamente, possibilità di nonviolenza. Questa può essere una base di partenza, una condizione preliminare al dialogo per risolvere un conflitto: cercare di ottenere una risoluzione nonviolenta a partire dalle convergenze e dagli interessi prioritari.
  • Lo studio dei conflitti avviene tramite una visione del procedimento. Così, davanti a una problematica, cominciamo con l’enunciare in maniera esaustiva ciò che differenzia le parti opposte; poi cerchiamo quello che è complementare, per fare infine una sintesi che ci darà una risposta risolutiva nonviolenta.
  • La nonviolenza attiva si basa su una risposta ritardata ad ogni conflitto, una risposta non automatica, una risposta pensata e sentita. Da quando negli anni 80 abbiamo introdotto questa nozione nella società, l’espressione è stata ripresa poco a poco da diverse correnti attiviste e di questo ce ne rallegriamo. La qualificazione attiva controbilancia l’idea preconcetta ed erronea secondo cui la nonviolenza sarebbe passiva.

Lo spostamento dello sguardo verso l’interno, staccandosi dall’io-incollato alla pelle, modifica la struttura del dualismo, avvicinandoci a un centro di unità e a una nuova comprensione del mondo, in cui gli opposti sono intesi come modi di strutturare e non come realtà in sé. La barriera che separa il tu dall’io è una realtà oggettiva dell’io incollato alla pelle. Se rivolgo lo sguardo all’interno, questa piccola distanza che separa lo sguardo osservatore dall’io abituale avvicina il mio io agli altri, che si riconoscono come ciò che non sono io[4].

  • Almeno due dei Principi di azione valida[5]presi dall’opera Umanizzare la Terra, offrono una risposta al problema della dualità. Prima di tutto, quello che dice: “Se per te stanno bene il giorno e la notte, l’estate e l’inverno, hai superato le contraddizioni”, invita a uscire dal dilemma degli opposti, a superare il circolo vizioso della contraddizione da cui non si può uscire. Quando si affronta un conflitto come un’opportunità che si presenta per risolverlo, le difficoltà che insorgono, invece di essere aggirate in maniera compensatoria, si accettano e se ne scopre il vantaggio.
  • L’altro Principio che dice: “Non importa da che parte ti abbiano messo gli eventi, ciò che importa è che tu comprenda di non aver scelto nessuna parte”, non invita ad abbandonare la propria parte, ma a capire questa scelta a partire da un contesto più grande influenzato da fattori esterni (l’educazione, l’esperienza, l’ambiente sociale, ecc.). Questo permette di capire i punti di vista e le posizioni degli altri, di costruire ponti tra le parti e in questo modo arginare il fanatismo e l’intolleranza.

Oltre alla necessità di dare una risposta alla dualità quando questa porta alla violenza, la meditazione porta a scoprire spazi interiori liberi da ogni dualità, regioni più profonde di se stessi da cui provengono, dietro l’eco del silenzio, le migliori ispirazioni, le più grandi comprensioni, le scoperte infinite, là dove sembra che non esista né la violenza né la nonviolenza.

Esiste uno spazio mentale profondo che non è quello che ci da la percezione, c’è uno spazio profondo nella coscienza che possiamo incontrare e c’è un tempo che non è il tempo sequenziale in cui viviamo abitualmente. Ci sono livelli di profondità negli spazi interiori[6].

Tuttavia, la violenza crea una barriera impermeabile che ci isola da questo mondo interiore più profondo e ci impedisce di connetterci ad esso.

Posso accedere a questi spazi più profondi attraverso un ponte di silenzio. Le mie preoccupazioni quotidiane, le mie inquietudini e anche i miei progetti sono difficili da placare. Le immagini si susseguono in un fiume continuo finché poco a poco, e poi tutto a un tratto all’improvviso, emerge l’assenza di rumore, e allora il silenzio si fa sentire. In questo spazio, senza aspettative, aspetto pazientemente senza aspettare niente.

L’esperienza va oltre le parole e solo attraverso di essa posso accedere ai registri[7] insiti in questi spazi profondi.

Questi spazi sono la fonte dell’ispirazione poetica, mistica, delle grandi mobilitazioni sociali e dell’infatuazione amorosa. Ma di solito la presenza di questa fonte non si percepisce nel turbinio dei rumori quotidiani perché si trova nelle profondità della coscienza umana, [8].

Per concludere, cito il primo capitolo dello Sguardo Interno, in cui Silo annuncia le premesse del suo insegnamento: “Qui si racconta come il non-senso della vita si trasformi in senso e pienezza. Qui c’è allegria, amore per il corpo, per  la natura, per l’umanità e per lo spirito. Qui si rinnegano i sacrifici, il senso di colpa e le minacce dell’oltretomba. Qui ciò che è terreno non si oppone a ciò che è eterno. Qui si parla della rivelazione interiore a cui giunge chi medita in umile e attenta ricerca.[9]

 

Conclusioni

La violenza, la via del dolore e della sofferenza, si impone con l’uso della forza, il controllo coercitivo, la costrizione, la manipolazione, la repressione, lo sfruttamento, il dispotismo e peggio ancora la tirannia.

Per liberarsene, la nonviolenza, la via del cuore e della ragione, non si impone ma è una libera scelta che si basa sulla persuasione.

La violenza è immorale perché trattiamo l’altro come non vorremmo essere trattati noi, ma prima di tutto è un errore di calcolo. Qualunque azione violenta genera automaticamente una risposta dello stesso genere, che non solo si amplifica, ma si sviluppa senza fine e senza via d’uscita, spesso mettendo fine … a una relazione, a una situazione, a un progetto, alla vita…

Bisogna persuadere chi utilizza la violenza ad abbandonare questo errore di procedimento che lo porterà prima o poi, lui e i suoi cari, a soffrirne di rimando.

L’azione nonviolenta è morale perché trattiamo l’altro come vorremmo essere trattati noi, ma prima di tutto è un atto cosciente di ricerca di unità e di coerenza interiore, basato sull’intenzione di andare verso un processo evolutivo della vita.

Bisogna convincere di prendere questa strada e applicarla nella realtà; non può essere solo un’idea o una buona intenzione.

Non posso che incoraggiare a rafforzare la via della nonviolenza attiva, sapendo che niente può giustificare la violenza, che uno non è violento per natura, che la violenza non è una fatalità e che la nonviolenza è il cammino del futuro.

Convinciamoci che è necessario:

  • modificare le idee preconcette, i pregiudizi, i valori e le credenze che portano alla violenza,
  • dare risposta alla violenza che vediamo, riceviamo o creiamo, che sia fisica, economica, razziale, religiosa, sessuale, psicologica, morale o istituzionale,
  • essere tolleranti con chi non la pensa come noi, o chi ha fatto scelte di vita diverse dalle nostre,
  • non discriminare e non sfruttare nessuno,
  • trattare gli altri come vorremmo essere trattati,
  • contare sulle proprie virtù, sulla parte migliore di noi,
  • non alimentare le immagini negative che abbiamo degli altri e di noi stessi,
  • riconciliarci con i nostri cari e con i nostri nemici, così come con noi stessi,
  • non cedere alla vendetta che porta a una spirale di violenza senza fine,
  • stare attenti a non disconnettersi dal mondo, e a non iper-connettersi alla violenza distruttiva,
  • ascoltare la propria coscienza o orientarla positivamente,
  • osservare e migliorare le risposte alla violenza, per resisterle e fermarla,
  • incoraggiare le persone intorno a noi ad adottare la nonviolenza come stile di vita,
  • evolverci personalmente per contribuire a trasformare l’ambiente circostante,
  • osservare la dualità che precipita nella contraddizione, per superarla e cercare nel profondo della propria coscienza la pace e l’ispirazione.

Il pensiero « Quando si libera dalla violenza, l’essere umano può prendere il volo[10] » che appare sulla copertina dell’opera Violenza, coscienza, nonviolenza resta il leitmotiv della mia ricerca che vi invito a condividere.

Nel saggio di settembre 2021 l’autore ringrazia Martine Sicard, Jean-Luc Guérard, Maria del Carmen Gómez Moreno e Alicia Barrachina che, grazie al loro sguardo significativa sul soggetto, hanno dato un prezioso contributo alla realizzazione di questo lavoro, sia per la precisione dei termini che per quella delle idee. Per questo li ringrazio calorosamente.

Note

[1] Śaṅkara (VIII secolo), maestro spirituale dell’induismo, filosofo della scuola ortodossa Advaita Vedānta e commentatore degli Upanishad vedici, del Brahma Sūtra e della Bhagavad-Gita.

[2] I mille insegnamenti, Śaṅkara, Éditions Arfuyen, 2013.

[3] Forma mentale: struttura di base dello psichismo umano che rappresenta il suo substrato più profondo. Le sue caratteristiche di fissità e immobilità provengono: a) dallo sviluppo biologico della specie nel corso della sua evoluzione; b) dalla situazione storica e culturale particolare propria di ciascun essere umano. Questa struttura di base dello psichismo sembra comprendere diversi strati, alcuni profondi e identici per tutta la specie e altri, più periferici, che caratterizzano ogni individuo, ogni gruppo o popolo, tramite le sue credenze. La forma mentale è legata alle profondità dell’essere umano, nonché al sistema dei riflessi incondizionati (tra cui l’istinto di conservazione). La vera trasmutazione – o modifica della forma mentale – si verifica quando è possibile andare consapevolmente contro il sistema di istinti e di riflessi incondizionati. Da lì in poi, l’immagine, compresa quella del proprio io, cambia. Testo apocrifo, Silo.

[4] Studio sull’unità, il dualismo e la libertà in Zarathustra, Dario Ergas, Produzione del Parco di Studio e Riflessione di Punta de Vacas, Argentina, ottobre 2015, p. 13.

[5] I Principi di azione valida, Umanizzare la terra, Silo, Ed. Multimage, 2005.

[6] Il profondo, conferenza di Silo, Santiago del Cile, 8 settembre 2002, « Espacio de representación, profundidad y punto de control », Andrés Koryzma, Ediciones León Alado, 2015, p. 13.

[7] Definizione del termine nel capitolo VI.

[8] Lo spazio di rappresentazione come esperienza psicosociale, Silvia Bercu-Swinden, Parco di Studio e Riflessione La Belle Idée, Francia, 2017, p. 36. Silvia Bercu-Swinden, psichiatra umanista argentina, autrice di numerosi saggi e dell’opera “From Monkey Sapiens to Homo Intentional: The Phenomenology of the Nonviolent Revolution” – Adonis & Abbey, London 2006.

[9] Il Messaggio di Silo, Op. Cit., p. 3.

[10] Violenza, coscienza, nonviolenza, Philippe Moal, L’Harmattan, 2017.

Elenco dei capitoli e link ai capitoli già pubblicati:

1- Dove stiamo andando?
2- La difficile transizione dalla violenza alla nonviolenza.
3- Quei pregiudizi che perpetuano la violenza.
4- Oggi c’è più o meno violenza di ieri?
5- Le spirali della violenza.
6- Disconnessione, fuga e iper-connessione (a – Disconnessione).
7- Disconnessione, fuga e iper-connessione (b – Fuga).
8- Disconnessione, fuga e iper-connessione (c – iper-connessione).
9- Il rifiuto viscerale della violenza.
10- Il ruolo decisivo della coscienza.
11- Trasformazione o paralisi.
12- Integrare e superare la dualità e Conclusioni.

Traduzione dal francese di Raffaella Piazza. Revisione di Thomas Schmid.