3 km di freddo: un corto teatrale, diretto dalla regista Barbara Altissimo, che ci parla dal di ‘dentro’.  

L’ultimo report della Direzione centrale della Polizia criminale dichiara che sono 103 le donne assassinate in Italia nel 2021: circa il 40% di tutti gli omicidi commessi nel Paese.  Il 25 di novembre era la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ma, alla fin fine, ogni alba nasce senza sapere a che giorno del calendario è associata e i dati ritraggono un quadro tale dove, in ogni singolo istante delle nostre vite e in ogni angolo del mondo, si compie un atto di violenza.  Ogni volta che apriamo gli occhi su un nuovo giorno, che accendiamo la macchina, chiudiamo una porta e sorridiamo; in quella precisa frazione di tempo, mentre i nostri occhi inquadrano un dettaglio e il battito del nostro cuore, magari, accellera…a una donna viene tolto il soffio vitale.  
Barbara  Altissimo, regista teatrale torinese, ci restituisce un punto di vista e uno sguardo diverso sulla violenza:  quello degli uomini maltrattanti. Lo fa attraverso un  viaggio che confluisce in un ‘drama short movies’che ci restituisce il freddo di quei km, che sono il reale cammino compiuto, quotidianamente per recarsi a scuola, da uno degli uomini narranti ma è anche il freddo e la paralisi che ci assala davanti all’indicibile. 

« Barbara, tu scegli di far parlare gli uomini e lo fai attraverso la teatralità .Quanta libertà e quanto poco giudizio ti consente l’utilizzo dell’arte nel parlare di un tema così lacerante?»

Il teatro è uno strumento di indagine potente e la recitazione permette di ‘sublimare’ un contenuto che non appartiene più alla carne ma può permettere di avere uno sguardo esterno. ‘3 km di freddo’ è il risultato finale di un progetto promesso dall’associazione  Liberamenteunico  sul tema della violenza sulle donne affrontata dal punto di vista degli uomini.  Il dialogo profondo si è costruito con il Gruppo Abele che ha permesso a Liberamenteunico di lavorare con un’utenza maschile  entrata in contatto con questa tematica.  Il percorso teatrale è durato circa tre  anni. Tempo necessario, a uomini con reati pregressi più o meno gravi, per mettersi in ascolto e in cammino. La recitazione è stato lo strumento non ‘giudicante’ e terapeutico per permettere a loro, e a noi artisti, di guardare dal di fuori le loro storie, andando oltre il velo dell’ipocrisia e prendendo coscienza di come, infine, la vita possa e debba offrirti delle altre possibilità. 

« All’interno della narrazione c’è un elemento che ritorna: un filo  rosso. È  il classico file rouge che unisce tutte le storie e le accorpa in un’unica grande sofferenza o è qualcosa di diverso?»

Il filo  tesse, senza alcun dubbio,  la continuità tra una storia e l’altra. È un colore che viene ripreso anche in scatti apparentemente innocui e quotidiani ma è simbolico di come le ferite aprano solchi profondi dentro i corpi, i cuori e le memorie delle persone.  Molti degli uomini incontrati in questo itinerario arrivano da storie sociali di estrema miseria dove diventa complicatissimo e quasi impossibile  far fronte a una rabbia atavica e un modello genetico e comportamentale ancestrale. La giustificazione, prima, e la legittimazione della violenza, poi, avviene attraverso l’acquisizione di immagini e realtà subite fin dalla prima infanzia in ambito familiare.  

« I corsi e i ricorsi della vita, quell’aver vissuto violenze che, in modo e nell’altro, ti segnano, quanto hanno a che fare con la scelta stilistica dell’indossare maschere animalesche? »

La scelta delle maschere è rappresentativa dell’animalità che c’è in ognuno di noi. Gli animali feriscono e aggrediscono ma, quasi sempre, lo fanno per difesa e sopravvivenza.
L’uomo, al contrario, dovrebbe essere in grado di gestire il proprio sentire.  Quando ciò non accade e si diventa incapaci di ‘stare’ e ‘accogliere’ la sensazione del rifiuto e dell’abbandono, elaborandola, ecco che si arriva a compiere gesti estremi e l’animalità prende il sopravvento. 

«Giorgio Gaber cantava  che la  libertà è partecipazione. La violenza parte da una parola urlata che uccide l’animo dell’altro, che viola il rispetto e che va combattuta subito. Giovani, teatro e violenza: come e quanto investire per sensibilizzare e guidare le nuove generazioni?»

Questo lavoro ha messo in luce che i primi da smuovere sono proprio i bambini e gli adolescenti: scuola e società  possono e devono lavorare all’unisono affinché,  anche se in famiglia si annida il seme della violenza, i giovani giungano  a vedere  e conoscere un modo di ‘essere’ e di’ vivere’ le relazioni attraverso un punto di vista e un’informazione che contrasta con ciò che accade dentro le mura domestiche. In quest’ottica, dal 17 al 27 di gennaio 2022 al Liceo Primo Levi di Torino, iniziamo con un percorso di teatro-danza sul tema della violenza. Sarà il primo di tanti passi volti a un cambiamento sociale generale che faccia dell’arte il motore pulsante per ‘formare’ e ‘informare’ su modalità di dialogo, di rispetto e, soprattutto,di difesa del  diritto alla vita, alla libertà e all’inviolabilità di ogni persona. 


INFO:
www.liberamenteunico.it/progetto-versus-3-km-di-freddo/
www.liberamenteunico.it