Iniziamo una disamina sullo stato della sanità e della psichiatria piemontesi, ne abbiamo parlato con la Dott.ssa Rivetti titolare della Segreteria provinciale di ANAAO Assomed Pemonte (Associazione Nazionale Aiuti e Assistenti Ospedalieri).

Come valuta lo stato della sanità piemontese alla luce dell’emorragia di medici verso il privato, i pensionamenti, la mancata assunzione di nuovi medici, i numeri chiusi in facoltà?

La conseguenza più evidente di questa carenza di professionisti è l’allungamento delle liste d’attesa per una visita o un esame nel pubblico, problemi peraltro preesistenti al Covid, che a causa della pandemia si sono amplificati. Purtroppo questi aspetti causano una vera e propria riduzione dei servizi, questo è indubbio.
Ciò avviene sia, come accennato prima, per le prestazioni ambulatoriali (visite, esami), sia per quanto riguarda la difficoltà a ricoverare i pazienti. Abbiamo pazienti che in pronto soccorso che per il ricovero aspettano ore, giorni. Queste difficolta riguardano sia la carenza di professionisti negli ospedali, sia anche la carenza di posti letto.

Come valuta l’appalto del pronto soccorso di Ciriè ai privati?

Questo è assolutamente un fallimento della gestione della medicina di emergenza-urgenza. Problema che noi abbiamo sollevato da tempo, che doveva essere affrontato a livello regionale, ma anche soprattutto nazionale, con degli interventi importanti. Bisognava cercare di rendere più attrattivo il lavoro in pronto soccorso, molto usurante, che adesso vogliono fare in pochi. Occorrono contratti più remunerativi, occorre aumentare il numero di posti in specialità. Ora sono stati aumentati, ma gli specializzati arriveranno tra 5 anni. La privatizzazione del pronto soccorso di Ciriè è una cosa negativa per l’ASL, per la città e per in cittadini.
Un medico deve far parte dell’equipe, deve formarsi all’interno dell’ospedale, un medico a gettone che arriva e fa una prestazione, per quanto possa essere qualificato – anche se su questo aspetto qualche dubbio c’è – non può fornire un servizio adeguato. Comunque se un medico, anche professionalmente qualificato, non fa parte di un’equipe non può dare il servizio che la popolazione meriterebbe.

Come valuta la tendenza a non aprire i bandi di assunzione ai medici stranieri?

In questo momento negativamente. Come ANAAO abbiamo chiesto che attualmente si aprano i bandi a tutti i colleghi, anche extracomunitari quindi, che dimostrano di essere in grado di gestire adeguatamente i pazienti. Non è una soluzione di lungo respiro, ma ineludibile in questa emergenza.

Sentiamo molti pareri negativi, anche da parte di psichiatri, sullo stato della psichiatria piemontese. Cosa ci può dire al riguardo?

La psichiatria è un ambito che in questo momento è particolarmente in sofferenza per due motivi: da un lato c’è stato un aumento dei pazienti, anche la neuropsichiatria infantile per fattori legati alla dad al disagio sociale, ha visto un notevole incremento di casi. Dall’altro lato, c’è stata una diminuzione dell’offerta di servizi. Ci troviamo quindi, a fronte ad un aumento della domanda di servizi, ad un numero limitato di medici sul territorio. Il problema della psichiatria va tuttavia affrontato sotto molti punti di vista: non solo con l’aumento dei medici, ma soprattutto con la prevenzione delle patologie psichiatriche.
I dati ci dicono che c’è una maggior incidenza di queste patologie nelle fasce più povere, disagiate. Non è quindi solo un aspetto sanitario, bisognerebbe agire con dei supporti di inclusione, di cultura, specialmente in talune aree cittadine, ma non solo delle grandi città, per cercare di prevenire questi problemi.

Alcuni psichiatri denunciano l’eccessiva medicalizzazione del disagio psicologico. Dove inizia il compito dei servizi sociali e dove inizia il compito della psichiatria? C’è sinergia tra i due ambiti?

La domanda su dove inizia uno e dove inizia l’altro è molto complessa. Io credo che non ci sia uno che finisca e l’altro che inizia, ma sono due servizi che s’intersecano. Le segnalazioni da parte dei servizi sociali alla psichiatria ci sono, ma spesso tardive. Il paziente ha già sintomi evidenti e lo si riesce solo a contenere. E molto importante rafforzare la sinergia. Credo si debba maggiormente sensibilizzare le forze politiche, sia la Regione che i Comuni, a cercare di agire sulle diseguaglianze sociali, sull’accesso allo studio, al lavoro. Il Covid ha determinato povertà, perdita del lavoro, questo incide sullo stato psicologico, sull’abuso di sostanze. Oltre a questi interventi di prevenzione sul territorio di carattere prettamente politico, certamente occorre agire sulle sinergie, che ci sono ma che vanno indubbiamente migliorate. La psichiatria è un ambito nel quale la sinergia con i servizi sociali è fondamentale.

Dal punto di vista della psichiatria stiamo assistendo ad accorpamenti dei centri di salute mentale. E’ questo uno dei tanti segnali di problemi di continuità assistenziale, medicina territoriale, riabilitativa?

Come sindacato dei medici ospedalieri, nonostante l’aspetto ci riguardi tangenzialmente, riteniamo importante la creazione di Case di Comunità (ex Case della Salute) e che sono finanziate dai fondi del PNRR. Per fare un esempio, abbiamo sostenuto la battaglia, una battaglia di tutti, per la riapertura del Maria Adelaide. Proponevamo, proprio assieme a movimenti, quest’idea della salute territoriale. Un luogo dove ci fosse la collaborazione tra molte figure. Medico di famiglia, infermieri, specialisti ambulatoriali, assistenti sociali. Questo avrebbe permesso di prendere in carico il paziente in modo sinergico e multidisciplinare. Una presa in carico della persona per supportarla nelle sue difficoltà di salute e/o sociali, che spesso sono interdipendenti. La proposta del Maria Adelaide era interessante proprio perché risiede in uno di quei quartieri con maggiore difficoltà a Torino. Proprio dove ce n’era bisogno.

Come valuta le politiche della Regione Piemonte riguardo allo sviluppo della sanità pubblica?

Direi negativamente. In questi anni di Covid la sanità pubblica ha dimostrato di essere l’unica in grado di fronteggiarlo. Di fatto sono stati gli ospedali a gestire le ondate pandemiche. Nello stesso tempo gli ospedali ne stanno subendo le conseguenze perché non riescono a seguire i pazienti cronici, che sono obbligati (quelli che ne hanno i mezzi, n.d.r.) a rivolgersi al privato. Dai dati vediamo che 30% dei pazienti in lista di attesa o si sono rivolti al privato o hanno rinunciato alle cure. Inoltre era fondamentale potenziare la sanità territoriale. Questo forse non è solo responsabilità della Regione ma anche di politiche sanitarie nazionali. Di fatto la sanità territoriale piemontese è com’era ad inizio pandemia. In conclusione mi sento di affermare che la Regione Piemonte non sta favorendo la sanità pubblica.