In contemporanea a molte altre città nel mondo anche a Milano sabato 22 dalle 11 alle 15 si è svolto un vivacissimo presidio in favore dell’autodeterminazione del Mali. Almeno 200 persone, quasi interamente africane, hanno seguito con grande partecipazione quello che gridavano con forza e coraggio coloro che si alternavano al microfono. Una piazza colorata, con bandiere, striscioni, cartelli, alcuni manifestanti in abiti tradizionali.

Obiettivo principale di interventi e slogan gridati soprattutto in francese: le sanzioni contro il Mali, la guerra presente in buona parte del suo territorio, operata da “un pugno” di terroristi che tengono in scacco l’intero Paese mentre i militari di altre nazioni (con in testa la Francia) fanno ben poco e i manifestanti li invitano ad andarsene.

Oggi i volti di queste persone, in gran parte giovani uomini, sono pieni di rabbia e fierezza: non si tirano indietro se chiedo loro di parlare davanti ad un microfono, dicono senza problemi il loro nome. Sono arrabbiati soprattutto con la Francia che, come scrivono anche nel loro volantino, tiene il ginocchio sul collo del Mali e di altre nazioni africane, proprio come quel poliziotto statunitense che uccise George Floyd. La Francia, come le altre potenze europee, che ha sostenuto dittatori, che ha prelazioni sulle risorse, che addestra i militari nelle sue basi, tiene legati mani e piedi a questi enormi Paesi.

Discutono animatamente tra loro, si ascoltano e si rafforzano, si mettono in posa e si lasciano fotografare con grande orgoglio. E non sono davvero solo del Mali, parlo con alcuni di loro: vengono dalla Costa d’Avorio, dal Senegal, da altri Paesi africani: oggi in piazza si lotta in nome di un panafricanismo che l’Europa coloniale ha spaccato con confini inventati.

Ricordano da dove vengono, lo schiavismo, il passato coloniale, le tremende ricchezze spogliate alle loro terre, la prepotenza francese che impose una lingua e da tanti anni così come una moneta fabbricata in Francia (CFA Franco COLONIALE Francese d’Africa).

Ricordano la bellezza, la ricchezza dell’intero continente, l’amore per la loro terra che hanno dovuto lasciare date le condizioni di miseria e violenza in cui è stata ridotta dallo strapotere europeo. Ricordano i rischi del loro viaggio, nei barconi, per approdare in Europa.

Vogliono la libertà e l’indipendenza.

Sembra davvero di tornare ad immagini degli anni ’50, ’60, quando un continente intero si rivoltò e cacciò le potenze europee: queste non sono mai andate via. Ora si torna a pretendere libertà, autodeterminazione, indipendenza.

Lo gridano con forza: “Non abbiamo bisogno di aiuti! Basta che ve ne torniate a casa, la vostra potenza (pensando soprattutto alla Francia, ma non solo) dipende dalla spoliazione continua delle nostre risorse”.

Rimango colpito. Oggi quei ragazzi che spesso vediamo a testa bassa o correre in bici con un cubo sulla schiena hanno lo sguardo fiero, esprimono rabbia e gioia, forza ed energia.

Pochissimi i bianchi presenti.

Grazie ragazzi, prima o poi queste città europee, vecchie, sonnacchiose e presuntuose, si accorgeranno di voi, e dovranno iniziare col chiedervi scusa.

Foto di Andrea De Lotto