Nel terzo anniversario della rivolta popolare del 19 dicembre 2018, che ha spodestato il dittatore Omar Bashir, centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi nelle piazze della capitale Khartoum e in molte altre città sudanesi, per dire no al governo militare.
Malgrado la chiusura delle vie d’accesso al palazzo presidenziale, i manifestanti sono riusciti a raggiungere il piazzale adiacente. La polizia ha sparato lacrimogeni per disperdere i dimostranti provocando, secondo il Comitato dei medici, un morto e 127 feriti.
Lo scorso 25 ottobre il generale Burhan ha compiuto un colpo di Stato, imprigionando il premier e la maggior parte dei ministri, ma un mese dopo ha dovuto cedere alla rivolta popolare ed alle pressioni diplomatiche.
Il premier Hamdouk è stato liberato ed è tornato alla presidenza del consiglio dei ministri, ma i militari continuano ad avere l’ultima parola in tutte le questioni centrali della vita politica del paese.
I partiti progressisti riuniti nella coalizione per la libertà e il cambiamento non intendono più proseguire il percorso di sudditanza al potere dei militari e chiedono il passaggio del governo ai civili fino alle elezioni previste nel 2023.
Il premier Hamdouk ha difeso il compromesso raggiunto tra lui e il generale Burhan con la necessità di ridurre la tensione e salvare la rivoluzione sudanese da una deriva disastrosa, cioè la guerra civile e la dissoluzione dello Stato.