Mi è capitato finora tre volte di mettere i piedi sopra un ghiacciaio, e sempre d’estate: passi discreti e periferici, perché la loro potenza mi inibisce, trattiene. So che però sono stati piedi emozionati e fortunati, perché non tutti possono permetterselo e probabilmente in futuro sarà sempre più rara questa possibilità, anche se, stando vicino a quell’immensità di ghiaccio, crepacci e storia, l’ultima cosa a cui verrebbe da pensare è che siano così fragili e in pericolo.

Da centinaia d’anni i ghiacciai incombono sull’uomo stimolando il suo desiderio di avventura, il suo rapporto con il limite e con la sfida, la scoperta di spazi inesplorati, ma sono quegli stessi ghiacciai che, in modo emotivamente molto impattante ed evidente, ci parlano anche di surriscaldamento globale e dell’irreversibilità dei suoi effetti.

È una delle ragioni per cui i ghiacciai sono tra gli ambienti protetti dalla Direttiva Habitat, lo strumento adottato dall’Unione Europea per preservare la biodiversità nei territori degli Stati membri. Apparentemente può sembrare strano trovarli tra le voci di una direttiva che protegge la biodiversità… quanta mai vuoi che ce ne sia nel ghiaccio? Eppure i ghiacciai sono identificati come “Ghiacciai permanenti – codice 8340” e sono 123 i siti di importanza comunitaria che al loro interno ospitano un ghiacciaio – il 50% di essi in Italia.

Specchi accarezzati dal freddo e inospitali che invece ospitano molteplici organismi, adattatisi a vivere in condizioni ambientali estreme ma ancora poco conosciuti e studiati. Lo sa bene Mauro Gobbi (MUSE – Museo delle Scienze di Trento), coordinatore assieme a Mauro Caccianiga (Università degli Studi di Milano) di un team di ricercatori autori di uno studio sulla perdita di biodiversità proprio degli ambienti glaciali. Pubblicato sulla rivista internazionale «Biodiversity and Conservation», lo studio si concentra sulla criosfera (ghiacciai e permafrost) e sull’ampio spettro di servizi ecosistemici che offre anche nelle aree limitrofe (p.es. le rocce), che sono in stretta relazione con l’uomo. Certo, sono sempre stati considerati – e spesso a ragione – ambienti inospitali e aspri, ma a discapito di quanto si è per molto tempo pensato essi sono abitati da un vasto numero di organismi, dai batteri ai vertebrati. Il fatto è che, se da un lato è già documentata l’estinzione o la riduzione di popolazioni adattate agli ambienti freddi a causa dello scioglimento dei ghiacci e del permafrost, dall’altro lato nessuna delle specie che vivono in questo tipo di habitat è inserita nella lista degli allegati alla Direttiva. Una lacuna che andrebbe colmata in tempi brevissimi quale urgenza dovuta al venir meno dell’habitat stesso, insostituibile e facilmente destinato alla scomparsa nei prossimi decenni.

Lo studio è quindi anche un appello alla comunità europea, scientifica e non, per tutelare questa parte così delicata dell’ambiente alpino, che ospita microorganismi, piante, invertebrati e vertebrati, specie endemiche, esclusive, specializzate a vivere sui ghiacciai e fondamentali non solo per l’equilibrio dell’ecosistema glaciale, ma anche per il suo rapporto con gli habitat circostanti e la cui sopravvivenza, va da sé, dipende proprio dall’esistenza dei ghiacciai stessi.

Il tempo stringe e per chi senza scrupoli prosegue in azioni che mettono a rischio a livello locale, ma più in generale a livello globale, l’esistenza di questi ambienti la perdita può sembrare irrilevante, accettabile. Il fatto è che, se il tempo non è sufficiente per studiare ed effettuare un monitoraggio costante delle specie presenti, il rischio è quello di non sapere mai quali effetti la scomparsa di queste specie potrà avere sulle interconnessioni di cui, che ci piaccia o meno, anche noi teniamo – e siamo – i fili.

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