Terra Nuova, storica rivista ecologista, è arrivata in edicola. Ne parliamo con Nicholas Bawtree che la dirige.

Nicholas intanto vuoi ricordare la storia della rivista?

Volentieri, cercherò di sintetizzare! Terra Nuova nasce nel 1977 come associazione e nel 1978 come “bollettino di coordinamento” del movimento del biologico in Italia. In quegli anni la scelta del biologico non era certo diffusa come oggi – anzi, chi mangiava bio era “strano” – e aveva anche un forte carattere politico.

L’intuizione dei fondatori della rivista fu quella di portare insieme gli ambiti del cambiamento che si erano avviati in ambito agricolo, con la certificazione biologico, ma anche in campo alimentare con la diffusione ad esempio della macrobiotica e di altri percorsi volti alla ricerca di una dieta salutare, e poi ancora in campo medico, con l’omeopatia e in generale con la medicina non convenzionale. Il numero zero della rivista-bollettino (12 pagine in formato A5, ciclostilate in verde) si chiamava infatti “A.A.M.”, che stava per Agricoltura, Alimentazione, Medicina, e veniva veicolato proprio nei negozi bio. A quel tempo non c’era internet (difficile immaginarselo oggi!) e quindi la rivista aveva anche la preziosa funzione di condividere contatti, esperienze, eventi, come peraltro continua a fare tutt’oggi sia sulla carta che online.

Dopo poco tempo la rivista cambiò il suo nome in “AAM Terra Nuova” e poi più recentemente in “Terra Nuova”. Negli anni è diventata una rivista che tratta l’ecologia a 360°: è passata dal movimento anti-nucleare (e anche per questo ci ha fatto molto piacere pubblicare insieme a Multimage l’Atlante dell’Uranio), dal mondo degli ecovillaggi (il nostro ex direttore Mimmo Tringale, che oggi dirige la redazione libri, è stato anche presidente della Rete italiana dei villaggi ecologici).

Oggi Terra Nuova include anche tanti altri temi, come l’ecoturismo, la bioedilizia, la ricerca interiore, l’animalismo, l’ecologia informatica e così via, senza mai dimenticare la dimensione politica – quella con la p maiuscola. L’intento di base rimane comunque quello originario: portare insieme ogni mese gli ambiti del cambiamento in un oggetto da toccare con mano e leggere con cuore, con l’intento non solo di offrire al lettore l’argomento che “si aspetta” e per il quale magari si è avvicinato all’ecologia, ma anche quello che non si aspetta, in modo che possa avere l’opportunità, se vuole, di allargare le proprie scelte ad altri ambiti della propria vita o del proprio pensiero. Senza la pretesa di avere la verità in tasca e sempre con uno spirito propositivo e perché no, ogni tanto anche con un pizzico di autoironia. Ecco, sì: forse chi si occupa dei nostri temi dovrebbe imparare ogni tanto a ridere di se stesso. Sono sicuro che alla fine giovi alla causa!

In un momento così difficile qual è il senso di andare in edicola?

Oggi è più che mai urgente ispirare uno stile di vita sostenibile a un numero sempre più ampio di persone e le edicole rappresentano ancora un prezioso presidio sul territorio per veicolare un’informazione indipendente e di qualità, libero dagli algoritmi di Google e dalle censure di Zuckerberg. Come affermava Sepulveda, “La vera informazione, che io sento come necessità nella mia vita, non mi arriva da internet. Mi arriva attraverso la riflessione, la lettura lenta e meditata dei giornali o dei libri”. Prendere in mano un quotidiano o una rivista di carta oggi non è tanto un atto retrò, quanto un’opportunità per ritagliarsi uno spazio di ecologia mentale, lontano dal flusso ininterrotto delle notifiche e dei feed. Solo una precisazione: continuiamo ad essere presenti anche nei negozi bio, anch’essi un prezioso presidio culturale da tutelare.

Terra Nuova rappresenta da tempo una realtà aziendale che però mantiene i suoi valori etici e sociali: come vedi la conciliazione tra questi due aspetti?

Credo che alla fine la differenza la facciano le persone, al di là del “vestito”. Le persone non sono facili, ognuno di noi porta la sua storia, le sue emozioni, le sue contraddizioni… come dice Pino De Sario, uno dei fondatori di Terra Nuova: “Siamo tutti sgangherati!”. E forse se lo riconosciamo prima di tutto per noi stessi, abbiamo una possibilità in più per comprendere gli altri e di costruire relazioni sane.

Nella sua lunga storia Terra Nuova ha attraversato molte difficoltà, sia relazionali che finanziarie: entrambi gli aspetti vanno curati e tutelati e non sempre è facile, soprattutto in un settore come il nostro in cui la marginalità è sempre più ridotta. In ambito culturale infatti non c’è solo una crisi di valori, ma anche una crisi di valore, proprio di percezione di valore della produzione di cultura. Nel momento in cui la parola si è smaterializzata, oltre agli indubbi vantaggi – tra i quali la lettura di questo articolo – si è creata l’illusione che l’informazione sia qualcosa che magicamente appare su uno schermo, piuttosto che il risultato del duro lavoro di professionisti. E’ successo un po’ come quello che è successo per il cibo dopo la rivoluzione verde. E adesso che si parla sempre di più della filiera del cibo si riesce perlomeno in quell’ambito, se non a fare la scelta giusta, almeno a percepire in maniera diffusa quale sarebbe idealmente la scelta giusta. Ecco, lo stesso passaggio bisogna farlo, è urgente farlo, anche per l’informazione, per il “cibo della mente”. Perché altrimenti rimarrà solo da una parte l’informazione-spazzatura del copia-incolla, dall’altra l’informazione forgiata ad arte dai grandi interessi in gioco.

E’ per questo che a me piace molto raccontare come si fa una rivista, come si fa un libro, spiegarne i tanti passaggi, le complesse relazioni, le professionalità coinvolte, le straordinarie opportunità di trasformazione e di incontro. Perché è sapendo quel che c’è dietro le cose – tutte le cose, beninteso – che se ne comprende a pieno il valore. A quel punto si può anche fare un passo in più e capire che ci sono delle scelte in quella filiera che possono essere più o meno sostenibili. E così come nella filiera del cibo si può scegliere un biologico di prossimità senza pesticidi né sfruttamento del lavoro, nella filiera editoriale si può ad esempio scegliere la carta riciclata, la stampa in Italia e un compenso dignitoso per tutti gli attori della filiera. E per “dignitoso” non dico “ideale”, perché non nascondo il fatto che chi fa questo mestiere, se non riceve finanziamenti o altre agevolazioni – e non è il nostro caso – si deve anche accontentare. La ricompensa è soprattutto motivazionale, perché quando esce un nuovo libro o un nuovo numero della rivista è una festa. E se riusciamo a creare lavoro attorno alla veicolazione di una informazione indipendente e di qualità sui temi dell’ecologia e della sostenibilità beh, forse è già un miracolo. Un miracolo che si compie nell’alleanza con i nostri lettori che ogni anno scelgono di abbonarsi a Terra Nuova (che se ci pensi bene è una specie di crowdfunding ante litteram), o di acquisarla in un negozio bio o in edicola.

Terra Nuova si batte, si è sempre battuta, per una visione ecologica della vita, per il miglioramento radicale dell’educazione: quanto possiamo incidere nella cultura della nonviolenza, e come?

Una visione ecologica della vita deve partire da una presa di coscienza profonda, sia individuale che collettiva, del delicato equilibrio su cui dipende la qualità della nostra esistenza su questo Pianeta. E sottolineo qualità, perché se c’è una cosa che ci ha insegnato questa condizione di emergenza è che purtroppo l’essere umano tende ad abituarsi a tutto.

La presa di coscienza di cui parlo può avere i motivi ispiratori più vari: la nascita di un figlio, un’attenzione alla propria salute, un’esperienza di vita positiva o anche negativa, la scelta di una viaggio… o magari la lettura di una rivista! Da quel momento in poi si inizia un percorso che ovviamente è diverso per tutti noi, ma è comunque fatto di scelte quotidiane, alcune delle quali molto semplici, altre più impegnative. L’importante è che rimanga sempre una disponibilità al confronto e la volontà di rapportarsi alla complessità delle cose, cercando di non cadere nella trappola della polarizzazione che oggi sempre di più domina il dibattito, rendendolo sterile e fine a se stesso.

Non credo che al mondo serva l’ennesima religione o ideologia, ma piuttosto una biodiversità sia materiale che immateriale. Alla base di certe scelte l’augurio è che ci sia uno slancio goioso e aperto all’altro, perché esse rappresentano prima di tutto un’avventura straordinaria. L’ecologia autentica è intrinsecamente nonviolenta, anzi forse è proprio l’antitesi della violenza, è cercare di disinnescare quella che lo scrittore Charles Eisenstein chiama la “logica della guerra”, che poi è il paradigma della separazione. La guerra ha tanti volti. Vi racconto una storia semplice, del mio paese: quando ci fu la guerra in Iraq, un signore che viveva in condominio attaccò al balcone la bandiera della pace. Gli amici del bar lo presero in giro: “Ma cosa vuoi fare tu, con quella bandiera? Tanto i potenti fanno quello che vogliono in Iraq!” gli dicevano. “Ma io mica l’ho messa su per la guerra in Iraq!” rispose lui. “E’ che nel mio condominio non fanno altro che litigare!”. Ecco, questa storia mi piace perché ci ricorda che, per quanto sia importante avere una visione ampia, non bisogna mai dimenticarsi del piccolo, del quotidiano, delle umili scelte che ciascuno di noi fa ogni giorno, magari con tanto sforzo. Come dice il maestro zen Thich Nhat Hanh, “la pace è ogni passo”.