Gas lacrimogeni e cariche con manganelli: così la polizia ha respinto un corteo organizzato dai familiari delle vittime dell’esplosione al porto di Beirut di circa un anno fa, che ieri hanno deciso di inscenare una marcia funebre fino all’abitazione del ministro dell’Interno provvisorio, Mohamed Fehmi. I dimostranti contestano in particolare la decisione di Fehmi di negare l’autorizzazione, richiesta dai giudici, di interrogare il generale responsabile della sicurezza, Abbas Ibrahim. Qualche giorno fa il magistrato inquirente Tarek Bitar ha chiesto di togliere l’immunità a diverse figure politiche e militari per poterle coinvolgere nell’inchiesta, essendo ritenute responsabili a vario titolo della sicurezza.

Il 4 agosto del 2020 l’esplosione di 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio lasciate da anni in un angar senza i dovuti standard di sicurezza, ha causato oltre 200 morti e migliaia di feriti al porto di Beirut. E’ andata distrutta anche buona parte dell’infrastruttura portuale e diversi quartieri del centro, tutte zone vitali per la vita economica della capitale. Il corteo ieri ha quindi deciso di deporre le bare nel cortile dell’abitazione ministro per simulare una cerimonia funebre. Decine di agenti in tenuta anti-sommossa sono quindi intervenuti per disperdere il corteo; “Ci hanno ucciso un’altra volta” ha commentato alla stampa internazionale Tracy Naggear, la cui bambina di tre anni è risultata tra le più piccole vittime dell’incidente al porto.

Il Libano da tempo è colpito da una grave crisi finanziaria, dal crollo del potere d’acquisto dei salari e dell’occupazione, tutti indicatori economici che con la pandemia di Covid-19 sono peggiorati. Questo ha inasprito una crisi politico-istituzionale già in atto, con diverse dimissioni di primi ministri e rimpasti di governo. E’ attesa per oggi la presentazione da parte del premier designato Saad Hariri di una nuova squadra di governo, dopo mesi in cui ha governato un esecutivo provvisorio.