In seguito alla brutale uccisione di tre operatori nel Tigray, in Etiopia, avvenuta lo scorso 24 giugno, Medici Senza Frontiere (MSF) chiede l’avvio immediato di un’indagine e la garanzia per lo staff nell’area di poter operare in sicurezza. MSF annuncia inoltre di essere costretta a sospendere temporaneamente le attività ad Abi Adi, Adigrat e Axum, nel Tigray centrale e orientale. Le équipe presenti nelle altre aree del Tigray continueranno invece con prudenza a fornire assistenza a persone in urgente stato di necessità.

“A quasi due settimane dall’uccisione dei nostri colleghi, nessuno ha fatto luce sulle responsabilità e le circostanze che hanno portato a queste morti” dichiara Teresa Sancristoval, direttrice delle operazioni di MSF. “Chiediamo un’immediata indagine da parte delle autorità competenti per chiarire la dinamica dell’incidente e fornirci un resoconto dettagliato di quanto accaduto. In questo momento terribile, abbiamo preso la dolorosa ma inevitabile decisione di sospendere le nostre attività in diverse aree del Tigray”.

I tre operatori uccisi indossavano vestititi e viaggiavano su un veicolo dove il simbolo di MSF era ben riconoscibile. Lavoravano nell’area da febbraio 2021, esclusivamente per fornire assistenza medico-umanitaria, in linea con quanto stabilito dal diritto umanitario internazionale e in dialogo e accordo con tutte le parti.

“L’omicidio dei nostri colleghi María, Tedros e Yohannes  è un tragico esempio del totale disprezzo per la vita umana che le nostre équipe testimoniano in questo conflitto” continua Sancristoval di MSF. “I livelli di violenza contro i civili e le atrocità commesse nel Tigray sono a dir poco scioccanti”.

Dall’inizio del conflitto nel Tigray nel novembre 2020, lo staff medico e gli operatori umanitari sono stati presi di mira e le strutture sanitarie e le ambulanze sono state saccheggiate, distrutte o utilizzate per scopi militari. I membri dello staff di MSF sono stati minacciati e picchiati e hanno testimoniato incursioni armate nelle strutture sanitarie supportate. Le azioni delle organizzazioni umanitarie, inclusa MSF, sono state ripetutamente minate da pubbliche dichiarazioni che hanno gettato ombre ingiustificate sulle loro attività, mettendo così in pericolo la sicurezza dello staff sul territorio.

“Affinché MSF e altre organizzazioni umanitarie possano continuare a operare nel Tigray e nel resto dell’Etiopia, tutte le parti coinvolte nel conflitto devono garantire che il loro lavoro venga svolto in condizioni sicure” continua Sancristoval di MSF. “Le parti in conflitto devono inoltre assumersi la responsabilità che incidenti come l’uccisione dei tre colleghi non si verifichino mai più. È indispensabile che gli operatori umanitari e lo staff medico riescano a condurre le proprie attività in un contesto di fiducia e supporto. Le organizzazioni umanitarie devono poter fornire assistenza, in modo indipendente e imparziale, secondo i bisogni delle persone”.

La sospensione delle attività di MSF nelle città di Abi Adi, Adigrat e Axum avrà importanti ripercussioni sulla popolazione del Tigray centrale. Negli ultimi sei mesi, i team di MSF in queste tre aree hanno fornito cure mediche di emergenza a 9.440 persone, svolgendo 763 interventi chirurgici salvavita e offrendo cure ospedaliere a oltre 3.000 pazienti. Hanno inoltre aiutato a partorire oltre 3.300 donne, svolto 365 parti cesarei di emergenza, fornito cure mediche a 335 vittime di violenza sessuale e supporto psicologico a 1.444 persone. Prima di sospendere le attività, i team di MSF hanno donato le attrezzature mediche all’Ufficio sanitario regionale del Tigray e agli ospedali, che rimangono sovraffollati a causa dell’elevato numero di persone che necessitano di cure.

“La decisione di sospendere le attività lascerà un vuoto in termini di assistenza salvavita” conclude Sancristoval. “Sappiamo che moltissimi pazienti non verranno curati e alcuni moriranno; sappiamo che quel poco che resta del sistema sanitario verrà schiacciato dal peso di questa situazione. I team di MSF devono poter rispondere ai bisogni delle comunità colpite dalla crisi fornendo assistenza umanitaria in condizioni di sicurezza”.