È quasi buio, usciamo dall’acqua che inizia a fare freddo.

In Senegal, ad aprile, c’è un’escursione termica che si fa sentire: mentre durante le ore del giorno il sole picchia forte, la sera fa freddo e per entrare nell’acqua dell’oceano serve avere una forte motivazione. Come il surf.

Malik fa l’insegnante di surf da diversi anni. Sempre sorridente, dread gialli per la magica combinazione di sale e sole, è uno degli insegnanti migliori che si possa avere.

“Nice, nice”, continua a ripetermi di fronte al mio ennesimo tentativo, ovviamente fallito, di saltare sulla tavola. Tra me e me penso, se i miei professori del liceo fossero stati così incoraggianti, come sarebbe stata diversa la scuola?

Ma dicevamo, ad aprile l’Atlantico è tosto. Senza la muta è impossibile surfare e i rari bagnanti che si vedono in acqua sono quasi sempre occidentali. Difficile vedere senegalesi bagnarsi. Quest’anno ancora di più, dato che il mese di aprile è coinciso con il Ramadan. Durante il mese del Ramadan, in Senegal si digiuna, niente acqua, niente cibo. Fino al tramonto.

Lavate le tavole dall’acqua salata, Thierno, un giovane surfista senegalese, anche lui insegnante e atleta al tempo stesso, mi fa assaggiare del caffè Touba. “Sono le 19.30, ora possiamo rompere il digiuno”, spiega offrendomi un bicchiere della bevanda speziata largamente bevuta in Senegal. Il sapore è intenso, dolce. Il ragazzo ha fatto surf tutto il giorno, a stomaco vuoto: aveva degli impegni con i clienti della scuola. “Non potevo annullare i corsi”, dice.

Thierno spera di essere qualificato per le Olimpiadi che si terranno a Tokio quest’anno. “Faccio surf da quando ero piccolo”, racconta. “Sono cresciuto a Ngor, quartiere di pescatori di etnia lebous che si trova a Dakar. Ogni giorno, alla fine della scuola, invece di andare a giocare a calcio come la maggior parte dei miei compagni, andavo in spiaggia, guardavo i turisti occidentali che si allenavano su quelle tavole. Erano lunghe e avevano dei colori fantastici”. In Senegal il surf non è praticato da molto, è arrivato da relativamente poco tempo, ma oggi il paese può contare su una squadra nazionale che è riuscita ad accedere alle qualificazioni finali per tentare l’accesso alle Olimpiadi di quest’anno.

“Per me una tavola da surf era troppo costosa, non potevo permettermela. Cosi, di nascosto dai miei genitori che non riuscivano a capire il senso del montare sopra un pezzo di plastica in mezzo al mare, mi sono procurato un vecchio pezzo di legno e ho iniziato a fare pratica con quello. Tutti noi surfisti della mia generazione abbiamo imparato a surfare in questo modo”.

Ancora oggi, camminando lungo la spiaggia di Ngor, capita di vedere decine di bambini, pantaloncini corti e coperti di sabbia dalla testa ai piedi, giocare fra le piccole onde del bagnasciuga con tavole da surf improvvisate, assi di legno recuperate chissà dove o pezzi di polistirolo.

“Quando la mia famiglia ha capito che per me il surf era una vera e propria passione, ha iniziato a darmi fiducia. Così un po’ alla volta mi sono procurato una tavola seria e adesso insegno in una scuola”.

Alla fine Thierno purtroppo non è riuscito a passare le qualifiche per andare in Salvador dove si stanno svolgendo in queste giornate le selezioni per le Olimpiadi. “Ma non importa, un mio amico è riuscito a passare. Faccio il tifo per lui. Per me l’importante è stare in acqua, fra le onde”.

 

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