Noi, inteso come Stato Italiano, che ci rappresenta, come stiamo trattando le persone migranti?

Emblematica è la storia di Moussa Balde, che, selvaggiamente picchiato, non è stato considerato una vittima ma è stato privato della libertà il giorno dopo in un CPR (centro di permanenza per il rimpatrio), dove si è dato la morte 13 giorni dopo.

Possiamo davvero esimerci dal dire che Moussa è stato trattato con cattiveria?

L’Arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, in una dichiarazione rilasciata ai nostri microfoni, ha parlato dell’importanza della cultura nella questione del rapporto con persone che provengono da lontano, lo ha fatto proprio in occasione della preghiera funebre interreligiosa dove ha definito Moussa Balde una persona che “ha subito violenza, ingiustizia, fino alla morte“.

Agli agenti delle Forze dell’Ordine non si richiede cultura: si richiedono addestramento e professionalità; è evidente che nell’esercizio delle proprie funzioni un agente possa essere chiamato ad esercitare un rapporto di forza, ma ciò deve avvenire in modo commisurato alla situazione, la sua funzione primaria è di tutela, la professionalità è proprio questa.

Professionalità e addestramento che devono essere garantiti dalla catena di comando, che da un certo punto in su prevede che le persone siano laureate, cosa che avviene anche in tutti gli organi istituzionali.

E’ quindi lecito pretendere che in qualunque funzionario dello Stato con cariche decisionali, detentore di cultura, questa prevalga.

Le persone migranti vengono private della libertà nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) senza alcuna comunicazione di notizia di reato: in parole povere entrano in un sistema detentivo senza aver commesso nessun reato.

Sui CPR si è aperto finalmente uno squarcio, l’istituto della privazione della libertà ai fini di rimpatrio è un sistema su cui lo Stato ha esercitato un’enorme opacità: c’è differenza tra questa opacità e quella che ha fin’ora impedito di fare piena luce su fatti drammatici come ad esempio gli omicidi di Falcone e Borsellino?

Sono in molti a definire i CPR come luoghi di sospensione dei diritti, questo forse spiega l’opacità: in Italia sospendere i diritti è illegale.

Proviamo a fare un’esercizio di fantasia: immaginiamo di essere nati, ad esempio, a Bologna e che una volta arrivati a Palermo veniamo privati della libertà semplicemente perché siamo di Bologna: come ci sentiremmo? Perché, in estrema sostanza, è proprio questo di cui si sta parlando: pare incredibile vero?

Persone che hanno semplicemente varcato il confine italiano, che non hanno i requisiti che ci obbligano – obtorto collo? – a dare loro asilo, o che li hanno ma non hanno le competenze per esercitarli, vengono private della libertà, vengono inserite in un sistema detentivo semplicemente per questo motivo: semplicemente perché persone migranti.

Nonostante l’omertà dello Stato questo si sa con certezza: sono innumerevoli gli atti di autolesionismo che avvengono nei CPR, alcune persone hanno concretamente rischiato di morire.

Siamo quindi sicuri che privare della libertà una persona semplicemente perché migrante non si configuri di fatto come una forma di tortura psicologica?

L’art. 613-bis del Codice Penale (reato di tortura) parla di “verificabile trauma psichico”: sono state fatte indagini e studi sugli effetti psichici che la privazione di libertà senza reato e la detenzione nei CPR provocano alle persone migranti?

Moussa aveva detto al suo avvocato: “Avvocato io non posso stare qui dentro, io voglio uscire” e quando lo ha salutato gli ha detto: “avvocato, io esco“.

Due giorni dopo si è impiccato ad un lenzuolo.

La tragica morte di Moussa Balde sta causando ciò che lo Stato, data l’opacità, meno voleva: la diffusione nell’opinione pubblica di ciò che è il sistema detentivo per i migranti, di ciò che comporta, come viene esercitato, e, certamente non ultima, un’indagine della Magistratura che ci si augura eserciti fino in fondo la propria prerogativa di indipendenza dagli altri poteri dello Stato facendo piena luce su responsabilità dirette e indirette.

Ma sta provocando anche qualcosa di molto più insidioso per lo Stato: l’esercizio delle coscienze.

L’istituto della privazione della libertà alle persone migranti è di competenza del Ministero dell’Interno e, a livello territoriale, delle Prefetture. Questa è l’anomalia di base che ne crea inevitabilmente molte altre: il sistema detentivo italiano ricade sotto la competenza del Ministero della Giustizia, questo implica che le questioni legate alle persone migranti non attengano alla Giustizia.

Sono sempre più coloro che volgono lo sguardo alle Prefetture e più su, al Ministero dell’Interno: sarebbe gravissimo se si trasformassero in sguardi inorriditi, come lo sono quelli rivolti ai fatti della Diaz, della Caserma di Bolzaneto, parliamo di Genova e del 2001.

Reiterati atti persecutori nei confronti di categorie di persone non mantengono l’ordine pubblico, lo sovvertono, perché minano concretamente la pace sociale.

Ecco perché è così dirimente la cerimonia funebre avvenuta a Torino in memoria di Moussa Balde, avvenuta nel dialogo, nella pace, nella nonviolenza: un esercizio delle coscienze, modo mirabile per mantenere la pace sociale.