È primavera, è la stagione in cui la Natura si risveglia e allo stesso tempo è la stagione in cui si “fa pulizia”. Questa è la tipica espressione che viene usata per “sistemare i boschi” e “tenerli in ordine”, ma che spesso sfocia in incendi dolosi o addirittura in massicci disboscamenti mai motivati, se non in vista dei periodi di caccia. Queste espressioni linguistiche e modi di dire non denotano i saperi tramandati dai nostri nonni, dai vecchi contadini e agricoltori, ma un retaggio culturale che ormai si è insediato “normalmente” nelle nostre società: il distacco tra essere umano e Natura. Le pratiche di disboscamento incondizionato, immotivato e irrazionale che vengono spacciate con il termine di “pulizia” assomigliano più a una pratica di “polizia”, in cui la Natura deve sottostare al modo in cui viene concepita dall’essere umano.

Tra le vittime di queste pulizie c’è una pianta che il nostro linguaggio definisce “inutile”, “nociva”, “degradante” e che “danneggia il bosco”. Può essere decorativa ed ornamentale solo nei parametri previsti dall’essere umano: stiamo parlando dell’edera. Il suo nome scientifico è Hedera helix ed è un arbusto rampicante che viene spesso distrutto perché accusato di essere “specie parassita” responsabile del soffocamento e del disseccamento degli alberi.

Nulla di più falso e a dirlo non sono fricchettoni hippy che amano incommensurabilmente Madre Natura, ma la scienza botanica. L’edera svolge un importantissimo ruolo ecologico per i micro-ecosistemi, l’equilibrio del bosco e la fauna selvatica. Sebbene venga spesso tagliata “per il bene del bosco”, l’edera non si nutre della linfa dell’albero, ma semplicemente si serve dell’albero ospite in quanto pianta rampicante come la passiflora, la vite, il glicine, la bignonia e il caprifoglio.

Inoltre le foglie dell’edera sono scure perché sono molto ricche di clorofilla e possono svolgere la fotosintesi anche in condizioni di luce molto sfavorevoli per le altre piante. L’edera si arrampica sul tronco senza mai arrivare dove si trovano le foglie della pianta ospite, senza mai entrare in competizione con essa per la luce. Le radici dell’edera la rendono autosufficiente, non competono con la pianta ospite, ma addirittura la aiutano. La sua massima attività fotosintetica avviene quando la pianta-ospite è in riposo vegetativo, contribuendo così ad accumulare risorse energetiche anche durante l’inverno e a metterle a disposizione della pianta-ospite quando essa ne avrà bisogno per riprendere l’attività vegetativa in primavera. L’edera ha tutto l’interesse che la pianta su cui si arrampica sia sana e che si spinga in alto a sovrastare le altre piante del sottobosco, con le quali invece essa compete.

Non bisogna dimenticare che con i suoi frutti e i suoi fiori l’edera attira mammiferi, uccelli ed insetti che contribuiscono anche all’impollinazione e alla disseminazione della pianta ospite. Secondo degli studi, i suoi fiori sono di enorme importanza per le api che li visitano immettendo grandi quantità di nettare e polline. Per le api i suoi fiori sono una salvezza, in quanto sono disponibili in settembre-ottobre, periodo in cui mancano tutti gli altri fiori. Secondo la Federazione Apicoltori Italiani, un ettaro coltivato ad edera potrebbe fornire dai 200 ai 500 chilogrammi di miele ogni anno.

Le foglie sempreverdi dell’edera sono molto importanti per i boschi, in quanto cibo per rare specie di farfalle come la falena dell’edera e per animali erbivori come cervi, daini, caprioli soprattutto nella stagione invernale, quando scarseggiano altre fonti alimentari. Quando cadono sul suolo si decompongono rapidamente e formano humus di buona qualità per altre specie vegetali. La copertura delle sue foglie, che avvolge i tronchi, protegge gli alberi dalle temperature rigide. Le radici dell’edera e quelle della pianta ospite sono intimamente connesse grazie alle micorrize, scambiandosi sostanze nutritive e messaggi molecolari per contribuire allo stato di salute e benessere di entrambe le specie.

L’edera, la pianta di Dioniso per gli antichi Greci, opera anche una selezione naturale del bosco e con il suo peso contribuisce a far cadere gli alberi meno resistenti o malati, accelerando il processo di maturazione e di rinnovo del bosco. Secondo il ciclo biologico, e quindi senza l’intervento dell’uomo, le piante morte che cadono al suolo diventano alimento per gli insetti xilofagi e i funghi che si nutrono del legno in decomposizione.

In questo stadio l’edera non è dunque un parassita, ma è la pianta ospite a lasciarle più spazio per conquistare la chioma, permettendole di compiere il suo ultimo compito ecologico: accompagnare lentamente la morte della pianta, diventando un importante fattore di stabilità ecologica del bosco.

Oltre ad offrire tra i suoi rametti un luogo accogliente per la nidificazione di uccelli, le sue bacche, sebbene siano velenose per l’essere umano, vengono consumate da tordi, merli, storni e molte altre specie, che in determinate stagioni dell’anno si nutrono quasi esclusivamente dei suoi frutti in assenza di altri.

L’edera è infine una pianta molto utilizzata in fitoterapia ed erboristeria, in quanto contiene saponine, tannino, resine, sali minerali e svolge una funzione espettorante[1], emmenagoga[2] e antireumatica. Può essere usata anche a livello cosmetico con un infuso in acqua per sciacquare i capelli dopo lo shampoo, rendendoli lucidi e scuri, oltre ad avere proprietà astringente e a coadiuvare cure anticellulite.

Una decina d’anni fa la NASA[3] ha divulgato le caratteristiche di alcune piante con proprietà fito-depurative in funzione anti-inquinamento; tra queste veniva menzionata l’edera, in quanto avrebbe la capacità di assorbire il 90% del benzene ed oltre il 10% del tricloroetilene, due grandi sostanze inquinanti per l’aria e il suolo.

Tagliare l’edera significa dunque danneggiare i boschi e soprattutto eliminare un’indispensabile fonte trofica per le specie di animali selvatici. In Natura nulla si presenta per caso e nulla è inutile, ma tutto è interconnesso e coopera in un delicato e complesso sistema ecologico fatto di equilibri, interdipendenza e autosostentamento.

In un periodo storico in cui i temi ambientali sono sempre più al centro del dibattito politico e culturale, è arrivato il momento di abbandonare le gestioni selvi-colturali delle guardie forestali e dei piccoli privati indirizzate verso la “capitozzatura” e la “tabula rasa” tout court, approfondendo invece la conoscenza botanica che ci permette di capire come le piante possano vivere benissimo da sole senza troppo intervento antropico.

Forse dovremmo imparare dalle piante e in particolare dall’edera a pensare come il nostro sviluppo possa essere uno sviluppo per tutti, senza che rimanga un’azione egoistica.

[1] che facilita l’espulsione del catarro bronchiale per via orale

[2] capace di stimolare la mestruazione

[3] https://archive.org/details/nasa_techdoc_19930072988