I paesaggi sono in continua evoluzione tra la natura e la storia. In Sicilia solo l’Etna, costantemente rinnovando le sue lave, presenta paesaggi oggettivamente naturali. Altrove, pascoli e disboscamenti, coltivazioni e incendi, biodiversità cancellate o alterate, asfalto, cemento, suoli e acque contaminate formano quelli che, con noncuranza, chiamiamo paesaggi antropici e, con una certa impudenza, paesaggi naturali. Gli uni (se hanno mantenuto il valore di paesaggi culturali) e gli altri vanno però salvaguardati, gestiti, conservati, difesi. Lo ha ricordato una legge regionale (98\81) che dopo quarant’anni merita di essere celebrata: nata dopo la marcia degli ambientalisti per la salvezza dello Zingaro, alla quale si devono 4 parchi regionali e 77 riserve cui si sono aggiunte le aree della rete Natura 2000, il parco nazionale di Pantelleria e diversi siti minori.

Ogni territorio, per il peculiare incontro tra storia, natura e valori culturali, ha una sua specificità e le minacce e le difficoltà si differenziano e crescono anche in base agli interessi speculativi: voraci come erano (e sono ancora) quelli tra Castellammare e San Vito, silenti ma pur sempre in agguato, quelli per la Riserva di monte Pellegrino e della Favorita. Per la Favorita – compendio del paesaggio della Conca d’oro –  le norme della legge, il coraggio dei gestori hanno finora impedito danni irreparabili. Ma se per il monte è alle porte il piano di gestione forestale, tutto tace, al di là di velleitarie iniziative, per il parco. Non può essere altrimenti: se il piano di utilizzazione, redatto a norma di legge ormai venti anni fa, frena irresponsabili appetiti, l’assenza di un documento di indirizzo strategico che individui, attraverso un processo partecipativo, i soggetti, i finanziamenti, gli strumenti e le azioni necessarie impedisce ogni utile evoluzione. Non è compito di queste poche righe immaginare cosa ancora è oggi e cosa possa diventare la Favorita. Utile, invece, ricordare cosa ha rischiato e cosa potrebbe ancora diventare.

Correva il 1969 quando il Comune commissionò un progetto di massima che, a ripercorrerlo, evidenzia i pericoli corsi e una diversa coscienza culturale. Il modello dichiarato erano i parchi di divertimento del Prater di Vienna o di Disneyworld In Florida. Prevedeva (l’elenco lascia senza fiato) un lago centrale con isole e pontili. Sotto di esso un garage per 5000 auto a coprire un grande serbatoio. Al lago si arrivava navigando un “fiume magico” di 2 km. La viabilità era assicurata da strade di servizio e da una funivia che portava sul monte (e che rimane una buona idea) e da una monorotaia di 5,7 km che collegava uno zoo con arena per elefanti, acquario, delfinario a forma di antico teatro greco, voliera, serpentario, nove specchi d’acqua, e un parco faunistico per animali esotici in libertà. Non mancava una pista del ghiaccio in caverna, una tenda per circo, biblioteca, museo d’arte moderna e degli agrumi, spazio per orchestra all’aperto, teatro dei pupi, villaggio dei bambini e un eliporto. Avrebbe dato lavoro a 267 persone, tra amministrativi e tecnici. Pubblicato nel 1979, il progetto è stato subito abbandonato. Le sue vicende, che si raccontano tormentate, sono nei faldoni dell’Associazione e dell’Archivio Pietro Porcinai a Fiesole. La presenza di un così illustre paesaggista, in un comitato composto per lo più da potenti accademici e professionisti palermitani digiuni di paesaggismo, è uno dei misteri che varrebbe la pena di risolvere per ben raccontare la storia tormentata dei giardini palermitani.

foto di Margherita Bianca