Bassam Saleh* spiega una delle ragioni degli scontri che in questi giorni si stanno verificando a Gerusalemme, dove i coloni sono scesi in strada gridando “morte agli arabi” aggredendo i palestinesi appoggiati dalla polizia dell’occupazione israeliana. Oggi, in Italia, 25 aprile, è la giornata della Liberazione dal nazi-fascismo, è più che mai importante appoggiare celebrare questo giorno appoggiando la Resistenza dei popoli oppressi, come quello palestinese, che non si arrende di fronte all’aggressione costante di USA e Israele.

 

Cosa sta accadendo in questi giorni a Gerusalemme?

Da dieci giorni Gerusalemme è in rivolta. Rivolta contro i coloni sionisti, che dall’inizio del mese di Ramadan, hanno intensificato le provocazioni nei confronti dei palestinesi di Gerusalemme. Protetti e appoggiati dall’esercito, manifestano con parole d’ordine come “morte agli arabi”, aggrediscono i cittadini, e distruggono le loro macchine. La cosa più grave è che questa occupazione non ha limiti e non si vede una luce in fondo al tunnel. Allora i palestinesi hanno reagito, hanno risposto alla violenza, si sono difesi come si dovrebbe fare davanti alle continue aggressioni. Un altro motivo della rivolta di Gerusalemme è che il governo israeliano non vuole permettere loro di partecipare alle elezioni palestinesi.

Devo sottolineare, per chi ancora non vuole capire, che Gerusalemme araba fa parte dei territori palestinesi occupati nella guerra del 4 giugno 1967 ed è la capitale del futuro Stato di Palestina. Ci sono anche le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che obbligano la potenza occupante a ritirarsi da questi territori. Queste risoluzioni sono la base per una pace fra arabi e israeliani, e vengono confermate tutti gli anni dall’assemblea generale dell’Onu.

Solo Trump, e successivamente alcuni Stati asserviti al volere USA, ha riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato occupante e ha trasferito l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, violando le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Onu.

Ancora ricordo, a chi non vuole vedere e capire, che le autorità di occupazione, hanno messo in atto un piano per evacuare i palestinesi dalla loro città santa, tramite la demolizione delle loro case, o inventando fasulle proprietà ebraiche di interi quartieri, come Sheikh Jarrah, e costringendo centinaia di famiglie palestinesi a lasciare le loro case per metterci dentro famiglie di coloni sionisti. Inoltre ci sono tante altri restrizioni per i palestinesi, che vanno dalle multe salatissime per la costruzione di una stanza o di un secondo piano per i figli, alla proibizione di comprare terreni a Gerusalemme per l’edificazione, oltre a molte altre limitazioni quotidiane.

Questa situazione di repressione, di oppressione e discriminazione, voluta dal governo israeliano, ha portato alla rivolta palestinese che potrebbe estendersi su tutti i territori occupati. E, infatti, le prime notizie di oggi, venerdì, sono di manifestazioni in tutte le città palestinesi in sostegno a Gerusalemme.

Parliamo delle prossime elezioni: quali sono le ragioni per cui il governo israeliano cerca di impedire le elezioni palestinesi a Gerusalemme Est? 

Non credo che abbia alcuna ragione. Gerusalemme Est, come dicevo prima, fa parte dei territori palestinesi occupati, e, come previsto dagli accordi di Oslo, nel 1996 e nel 2006 i palestinesi hanno tenuto libere elezioni. Quindi non è la prima volta. Il fatto che il governo israeliano, con pretesti vari, non voglia la partecipazione dei palestinesi di Gerusalemme alle elezioni democratiche nei territori occupati, è la prova della sua natura anti democratica.

Sono possibili elezioni senza Gerusalemme? Israele ha così tanto potere e capacità d’azione anche a Gerusalemme Est? 

Le elezioni palestinesi sono una necessità, dopo tanti anni, per rinnovare le istituzioni palestinesi, Consiglio legislativo (parlamento) e presidenziale. Questo non piace al governo d’occupazione, che cerca con ogni mezzo, di mantenere lo status quo: il dominio dell’occupazione e la divisione palestinese. E’ un modo per continuare a dire che non trova un partner per la pace, e fare ricadere la colpa sui palestinesi.

I palestinesi, storicamente, hanno sempre esercitato il diritto di eleggere i loro rappresentanti, in tutte le organizzazioni politiche e sociali, studenti, donne, lavoratori, professionisti, e faranno tutte le battaglie di pressione politica a livello internazionale, sul governo israeliano, affinché non sia ostacolato il processo democratico palestinese e sia permesso ai cittadini di Gerusalemme di votare come tutti i palestinesi. Senza Gerusalemme, non ci saranno le elezioni.

Accettare le elezioni senza Gerusalemme significa, per noi palestinesi, accettare il defunto piano Trump, che è stato rigettato da tutte le organizzazioni palestinesi, e accettare il fatto compiuto dell’unificazione di Gerusalemme come capitale di Israele.

La potenza occupante, è certo che può bloccare tutto, e già lo vediamo con gli arresti di diversi candidati, o come vieta una campagna elettorale, come non permette di allestire le cabine elettorali, o sequestra le urne. Può anche imporre il coprifuoco, non solo in Gerusalemme ma su tutto il territorio occupato.

Per questo è molto importante la pressione della comunità internazionale, compresa l’UE, che è fra i sostenitori delle elezioni in Palestina.

Cosa significa l’occupazione in Palestina? 

In poche parole, significa, privazione dei diritti fondamentali, del diritto alla vita, del diritto alla dignità, del diritto di movimento, del diritto alla libertà e all’autodeterminazione.

Puoi parlarci dell’assedio di Gaza? Cosa significa vivere in questo territorio di 12 km per 40?  

Gaza è la porta della Palestina sul Mediterraneo. Ma Gaza ora è un carcere a cielo aperto, dove sopravvivono più di due milioni di palestinesi. Ha un’altissima densità abitativa a livello mondiale con i suoi due milioni di persone in 400 Km2. L’occupazione israeliana ha imposto un assedio totale, terra e mare, e l’ha sottoposta a continui bombardamenti. Questo ingiusto embargo è stato imposto a Gaza dopo la vittoria di Hamas nelle elezioni del 2006, non riconosciuta da Israele, e il conseguente rifiuto di Hamas di riconoscere Israele e di rinunciare alla resistenza che per Israele è “terrorismo”. La situazione non è cambiata neanche quando Hamas ha modificato il suo programma.

Gaza ha subito ben tre aggressioni, 2009, 2012, 2014, attacchi che hanno causato migliaia di vittime, distrutto tante case, le infrastrutture, lasciando le gente senza acqua, luce, e cibo. Gaza è diventata un mercato di guadagno per gli occupanti israeliani perché è costretta a comparare, quasi tutto, da chi la sta assediando. Questa è la politica dell’occupazione a costo zero, anzi è piuttosto remunerativa, ed è applicata anche alla Cisgiordania.

Il popolo palestinese sente supporto da qualche parte? Come definiresti il governo israeliano? 

Il popolo palestinese è supportato prima di tutto dalla giustizia e dal diritto storico, dal diritto internazionale, all’autodeterminazione, dai popoli amanti della giustizia e della pace, e da tanti paesi, 137, che hanno votato a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina all’Onu come Stato osservatore. Comunque rimane l’impotenza della comunità internazionale che non è in grado di imporre la sua volontà sul governo israeliano. Finché il criminale continua a circolare impunito, il crimine non si ferma.

Come definisco il governo israeliano? quale governo? Ancora, dopo 4 elezioni in meno di due anni, con Netanyahu che non molla, Israele vive una profonda crisi politica e sociale. Partiti religiosi di estrema destra che contrattano interessi personali o di partito, pur di entrare nel governo, e chiunque vinca è sempre e comunque contro il popolo palestinese. Per noi palestinesi non cambia che al governo ci sia Netanyahu o un altro della destra. E’ sempre un governo che guida un Stato che occupa il nostro paese, e applica un regime di segregazione e di apartheid.

Ci sono israeliani che prendono posizione contro il sionismo? 

Certo. Ci sono, pochi, ma è un movimento destinato a crescere. Basti pensare ai nuovi storici israeliani, Ilen Pappè, Penny Morris, Shlomo Sand, o alle diverse associazioni israeliane che sostengono i diritti dei palestinesi, contro il governo israeliano, come B’Tselem “Il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei territori occupati”.

Secondo recenti sondaggi, la società israeliana, con i governi di estrema destra, sta andando verso un nazionalismo becero, ma penso che questo spingerà la parte più illuminata verso la ribalta, contro la politica della paura permanente imposta dal sionismo e dai governi israeliani, per mettere fine a questo stato di guerra che dura da più di 70 anni.

 Quali sono le ragioni per diventare un prigioniero politico in Palestina? 

Quando vivi sotto occupazione, ogni cosa che fai, può dare un motivo/pretesto per arrestarti al governatore militare o al soldato in servizio. Una protesta pacifica e non violenta, dove tu difendi la tua casa o il tuo pezzo di terra, o il fatto che non ti sei accorto del checkpoint, tutto questo costituisce ragioni per portarti dentro il carcere. Inoltre ci sono i motivi di eventuale appartenenza a qualsiasi organizzazione di resistenza all’occupante, naturalmente. Insomma anche il fatto di essere nato in Palestina è un motivo per incarcerarti, per non parlare della detenzione preventiva che può durare mesi. Pensa che dal 1967 Israele ha arrestato più di un milione di palestinesi, su una popolazione di cinque milioni.

Puoi descrivere alcune immagini che ti puoi trovare di fronte se fai un giro nei territori occupati?

Io sono nato in un villaggio nel nord della Cisgiordania, e sono tornato dopo 43 anni, ti racconto le immagini che ho visto, da Ramallah a Nablus la maggior parte delle colline palestinesi sono diventate colonie abusive israeliane. Costruzioni che occupano le colline e che rovinano la bellezza del paesaggio. Sulla strada circolano mezzi blindati, che creano in ogni momento in cui ne abbiano voglia, posti di blocco, improvvisati (noi li chiamiamo volanti) in qualsiasi momento. Per non parlare dei posti di blocco fissi, con torri di controllo, quasi all’ingresso delle città o dei villaggi palestinesi, in questi posti di blocco, può accadere di tutto: umiliazione, attesa infinita per futili motivi, e tu non puoi fare neanche un cenno di protesta, per non rischiare di essere maltrattato o arrestato. E devi anche fare attenzione ai tuoi spostamenti perché potresti essere nel mirino di un cecchino, come è successo molte volte in varie zone della Palestina occupata. Quando fai un giro nei villaggi palestinesi, un’altra immagine che mi viene in mente è quella dei contadini che continuano a piantare gli olivi, anche dopo che i coloni li hanno sradicati. Questi contadini fanno parte di questa terra, e la assomigliano, nella durezza e nella generosità.

*Giornalista palestinese, segretario di Fatah- Italia e attivista per i diritti dei popoli.

 

 

 

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